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Sbarro gli occhi, mettendomi seduta all'istante. Mi guardo intorno in preda al panico. Di nuovo quel rumore assordante. Mi chino verso il comodino e afferro il cellulare. Merda. Sono le sette e dieci, non ha nemmeno suonato la sveglia. Scosto le coperte e mi affretto a raggiungere la porta di casa. Guardo dallo spioncino e sbadiglio aprendo la porta di casa.
«Sei impazzita?» gracchio.
Vivienne entra in casa come una furia. «Cosa diamine è successo ieri?! Te ne sei andata e poi non hai più risposto ai miei dannati messaggi!»
Massaggio le tempie, un altro sbadiglio. «E non potevi aspettare un altro paio d'ore? Mi hai spaventata a morte» biascico avvicinandomi al bancone. «Caffè?» indico la macchina con un cenno del capo.
«Sì» brontola. «Spiega, adesso.»
Mi volto e prendo posto su uno sgabello. «Adesso non riesco nemmeno a capire se sono viva o morta, Vivi. Giuro che parleremo, ma prima voglio essere abbastanza sveglia da capire che non sei un'allucinazione.»
«Stai bene almeno? Mi sono preoccupata» sospira mentre afferra la tazza che le porgo.
«Sto benissimo. Sul serio. Adesso calmati, facciamo colazione e poi parliamo, va bene?»
«Okay... scusa di essere piombata qui a quest'ora ma non riuscivo più ad aspettare.»
«Nessun problema. Ora mangia» tiro fuori dal cassetto una manciata di merendine.
Vivienne aggrotta la fronte. «Questa è la tua colazione?»
Faccio spallucce. «Non avevo voglia di preparare niente ieri sera. Al massimo, appena usciamo passiamo a prendere una brioche.»
«Ci penso io» sospira e si alza. «Dio solo sa quanto mi manca preparare la colazione per i miei bambini.»
«Vivienne» mi intenerisco. Detesto proprio con tutta me stessa vederla così a causa dei suoi stessi figli.
«Va tutto bene. Prima o poi torneranno, lo sento» mi riserva un veloce sorriso e inizia a cercare gli ingredienti per preparare i pancakes.
Quando finiamo la colazione e io sono pronta Vivienne versa del caffè in due bicchieri di carta e li copre con due coperchi, poi mi cede il mio. Percorriamo il tragitto fino al Velia's in un silenzio confortante e una volta arrivate ci prepariamo per affrontare la giornata.
Molti clienti acquistano composizioni fatte di viole del pensiero – un fiore prettamente invernale – e di gelsomino, altri si mantengono sul tradizionale con il classico intreccio di rose, iperico, gipsofila e per non farci mancare nulla un tocco di felce e aspidistra. Durante i primi mesi di lavoro ho notato che parecchia gente va pazza per la felce cuoio, una pianta che in molto hanno descritto come delicata ed elegante. Dunque, ho proposto a Vivienne di ampliare le composizioni floreali di quel genere e devo dire che gli incassi sono pian piano aumentati.
La pausa pranzo arriva prima che possa accorgermene e con essa anche il pensiero che dovrò raccontare la verità. In fondo, molto in fondo, so che Devon ha ragione: non posso mentire a Vivienne su una cosa del genere, è giusto che sappia come mi sento.
«Allora? Ho aspettato abbastanza, sto fremendo» dice la mora girando il cartellino appeso alla porta.
«Non prenderla male, va bene? Voglio che sia chiaro che tu non c'entri nulla.»
«Bene, mi stai spaventando.»
Prendo posto sul divano, mi allungo per recuperare la porzione di spaghetti di riso con verdure e gamberi e inalo il profumino delizioso che emanano. «Mi sono sentita un'intrusa ieri e non sono riuscita a rimanere» ammetto in tutta onestà.
Lo shock dipinto sul viso di Vivienne mi fa mettere da parte il pranzo. «Mi avete tutti accolto alla grande e so che mi volte bene, davvero, Vivienne... è solo che io non faccio parte della vostra famiglia e ci sono cose che giustamente non conosco. Cose personali e che appartengono al passato. Mi sono sentita... a disagio. Come se non vi stessi lasciando libertà di potervi esprimere. E quindi ho preferito andarmene.»
«Non so cosa dire» mormora scuotendo il capo. «Ti vogliamo tutti bene e non pensiamo affatto a te come un'intrusa, Avery» prende parola dopo qualche minuto di silenzio. «Semmai, è tutto il contrario. Porti così tanta allegria e freschezza, è una meraviglia poter conversare con qualcuno del più e del meno senza avere la costante ansia di poter piombare in qualche discorso più rognoso.»
«Mi dispiace di essermene andata via in quel modo e mi scuserò con gli altri, non è stato carino.»
«Non importa» sventola una mano. «Adesso ficcati in quella testolina che non sei un problema per noi e iniziamo a pranzare, ci resta a malapena mezz'oretta.»
Accenno una risata e annuisco. Dirle la verità è stata davvero la cosa migliore da fare; pian piano metterò la testa a posto e cercherò di non pensare al peggio. Odio essere così insicura a volte.
Il lavoro prosegue a tutta velocità: tra ordini giganti per due eventi di beneficenza, clienti abituali e alcuni che hanno chiesto quando avremmo esposto le composizioni floreali natalizie, siamo riuscite a concludere un'intensa giornata.
«Vivienne, devo chiederti una cosa ma mi piacerebbe che non fraintendessi» schiarisco la voce. So per certo che si farà quali idee malsane ma devo davvero solo consegnare una camicia. Ieri Devon ha lanciato la sua camicia da qualche parte sul pavimento e quando si è rivestito non deve averci fatto caso. L'ho intravista stamattina, una manica fuoriusciva da sotto il divano e così, mentre Vivienne era in bagno, l'ho infilata in borsa velocemente. Onestamente non avrei avuto assolutamente la forza di guardarla in faccia e dirle che la camicia di suo figlio era finita sotto al mio divano perché avevamo fatto sesso la sera prima. No.
«Mi serve l'indirizzo dell'appartamento di tuo figlio» sgancio la bomba.
«Voglio sapere il perché? Ti prego, non ucciderlo» indossa il suo cappotto.
«No e non lo farò» rispondo in fretta.
La donna snocciola l'indirizzo e in fretta lo segno su Maps. Scopro che non si trova tanto distante dal Velia's e sorrido soddisfatta. Bene, meno tempo ci impiego, più ne avrò per farmi una bella doccia calda prima di crollare a letto. «A domani» la saluto prima di aprire la porta.
«Avvisami!» urla dallo studio.
«Sarà fatto!» ribatto con una risatina.
Stringo il cappotto e percorro il tragitto segnato sullo schermo del cellulare. Sorpresa, noto che ho appena superato la True Gym, dove lavora il moro. Mi fermo di fronte a una palazzina molto carina, rimetto il cellulare in tasca e mentalmente esulto vittoriosa quando noto una signora uscire. Le sorrido, facendola passare e scruto i sei campanelli. Il terzo è quello di Devon. Bene. In ascensore mordicchio nervosamente l'interno guancia, spero non gli dia fastidio che sia passata ma si trovava nelle vicinanze e non mi costava nulla.
Arrivata davanti alla porta dell'appartamento mi faccio coraggio e dopo aver rilasciato un profondo respiro mi allungo per suonare il campanello. Stringo il manico della borsa in una morsa letale, perciò, mi costringo ad allentare la presa. Non capisco perché io debba essere così nervosa, voglio solo ridargli la camicia e filare a casa, non ho davvero alcun doppio fine.
I miei pensieri si interrompono quando la porta si apre, sulla soglia Aurora Sullivan mi sorride sorpresa. «Ciao, Avery!»
«Ehi... ehm, disturbo?» balbetto, colta alla sprovvista dalla sua presenza.
«Macché. Devon è sotto la doccia, ma credo abbia quasi finito. Dio solo sa quanto è lento. Entri?» sorride piegando il braccio dietro la spalla per indicare dietro di sé.
Sta indossando una felpa grigia piuttosto grande per la sua corporatura che tuttavia le lascia le gambe scoperte e non vorrei fare assunzioni, ma credo sia proprio quella di Devon visto che gliene ho vista una identica addosso qualche settimana fa. Anzi, no, ne sono certa. Gli ho pure detto di cambiare colore quando l'ho vista.
«Cosa? No, no» scuoto il capo. «Sono solo passata per ridargli questa» tiro fuori la sua camicia. «Puoi dargliela? Io vado un po' di fretta» accenno un sorriso tirato.
«Sicuro» l'afferra. «Sei certa di non voler restare anche solo per un caffè? Non voglio vantarmi, ma sono proprio brava a farlo.»
Immagino.
«Grazie, ma no. Ci vediamo, saluta la tua famiglia» le sorrido davvero stavolta.
Lei annuisce sempre con il sorriso sul volto e attende che mi incammini prima di chiudere la porta.
Deglutisco, portando una mano al petto per calmare i battiti accelerati del mio stupido cuore. Non voglio una relazione. Non voglio un ragazzo. E allora perché il solo pensiero che lui mi abbia mentito su Aurora mi fa contorcere le viscere? Perché il pensiero che sia un bastardo doppiogiochista mi fa male? E perché diamine Aurora Sullivan non mi sta simpatica quando nemmeno la conosco?
È snervante. Davvero snervante.
Mi sbrigo a raggiungere il portone, rimetto Maps e filo dritta a casa. Quando arrivo avviso Vivienne, mi svesto e zampetto verso il bagno. Mi chiudo la porta alle spalle e con essa qualunque azzardatissimo sentimento stesse nascendo nei confronti di Devon Bradshaw. Non so dove pensassi di arrivare con lui, ma sicuramente a nulla di buono e questa serata è stata la conferma.

𝐀𝐕𝐄𝐑𝐘 [𝐁𝐨𝐬𝐭𝐨𝐧 𝐋𝐞𝐠𝐚𝐜𝐲 𝐒𝐞𝐫𝐢𝐞𝐬 𝐕𝐨𝐥.𝟏]Where stories live. Discover now