39.

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Il suono continuo del campanello mi fa sobbalzare sul divano. Che diamine?
Mi metto a sedere mentre mi guardo intorno sentendomi spaesata. Il campanello continua a suonare, perciò, mi avvicino alla porta e guardo dallo spioncino. Che ci fai lui qui? Non era da sua madre?
Sbadiglio e apro la porta. Lo sguardo furente che mi rivolge mi atterrisce. «Che... che succede?» mormoro strofinandomi l'occhio sinistro.
«Che succede? Sono le dieci e quarantacinque e tu non ti sei presentata in palestra. Al cellulare non rispondevi. Cazzo, ho pensato ti fosse accaduto qualcosa!» sbraita. «Sei un'incosciente, lo sai?!»
Le dieci... ma- oh, cacchio. Oh, cacchio, cacchio, cacchio. Dovevo andare in palestra alle nove ma dopo cena mi sono sistemata sul divano per guardare un paio di puntate e poi andarmi a preparare. Devo essere crollata dalla stanchezza senza capirci più niente. «Mi dispiace tantissimo, Devon. Siamo piene di lavoro e torniamo a casa distrutte. Dopo cena mi sono messa sul divano per aspettare che si facesse l'ora per prepararmi ma a quanto pare mi sono addormentata e non ho sentito il cellulare» spiego, dispiaciuta.
Che gli importi di me o meno, sono stata aggredita due volte il mese scorso e in una di queste ho rischiato grosso. Sono stata fortunata ad essermi ritrovata solo con un paio di costole incrinate. Dunque, non posso biasimarlo se mi ha appena aggredito. Aveva tutte le ragioni di pensare al peggio.
«Non mi sembravi distrutta quando te ne sei andata con quel tizio che - fra parentesi - non si è ancora capito chi è» ringhia.
Okay, questo non è carino da dire. «Sono molto stanca, è vero, ma mi sarei presentata in palestra. Lo sai. Oggi è stata più pesante del solito e non vedo dove sia il problema se prima di tornare a casa mi fermo a prendere un caffè con una conoscenza» stringo le braccia al petto, adesso infastidita dalle sue insinuazioni.
«Non mi sei sembrata contenta di rivederlo, eppure, ci sei uscita comunque.»
«Harry lavorava con me in ospedale, a Oxford» spiego. Nonostante dovrei farlo bollire nel più bollente dei brodi per come si è rivolto nei miei confronti, è vero che non sprizzavo gioia quando l'ho rivisto e pertanto, posso comprendere se abbia fatto qualche brutto pensiero a proposito di Harry.
«E?»
«E cosa?»
«Che voleva?» chiede tranquillamente.
Non ce la faccio ad esaminare il suo comportamento, sono assonnata e voglio solo tornare a dormire. «Informarmi che nemmeno lui vuole fare il medico e che ne parlerà con suo padre.»
«Ah.»
Già. Ah. Dov'è che vuole arrivare con questa conversazione, sul serio non riesco a capirlo. «C'è altro che posso fare per te?» sbadiglio.
«Fatti perdonare. Io l'ho fatto un bel po' di volte e mi sei costata più di un giro in moto.»
«Okay, ehm...» ci rifletto su per un paio di minuti. Beh, io di sicuro non posso offrirgli un giro in moto visto che non ne posseggo una e non ho nemmeno la patente. Allora, vediamo... «Non sono il massimo, ti avviso, ma sto imparando a cucinare e me la cavo. Va bene se ti offro una cena? Primo, secondo e dolce.»
«Stai per dirmi che il dolce sei tu? Perché per quanto possa apprezzare, un dolce vero non sarebbe male» dice.
Arrossisco. «No che non l'avrei detto!» esclamo. «Quindi accetti?» borbotto nella speranza di cambiare argomento.
«Sì. Ti converrà non avvelenarmi. I Bradshaw sanno chi sei, dove vivi e quali sono i tuoi legami con loro» mi avverte.
I Bradshaw.
Lo dice come se si estraniasse, quando in realtà, porta lo stesso identico cognome. C'è ancora parecchia strada da fare per questo ragazzone qui, ma speriamo che migliori ogni giorno di più.

Il mattino dopo arrivo al Velia's con cinque minuti di anticipo. Mi sono svegliata poco prima che suonasse la sveglia e non avendo granché da fare, mi sono recata a lavoro. Mi assicuro che sia tutto a posto, cambiando l'acqua delle rose poco dopo.
Vivienne mi sorride non appena mi vede e mi porge un bicchiere colmo di caffè.
«Grazie, ti voglio tanto bene» afferro il bicchiere come fosse il mio tesoro più prezioso.
«Anch'io. Devo dirti una cosa» continua a sorridere.
«Sapevo che c'era qualcosa sotto» le punto l'indice contro con finto fare accusatorio.
«No, non è vero» smonta il mio show e prende un sorso di caffè. «Però, ho una cattiva notizia.»
«Cioè? Smettila di lasciare le frasi in sospeso e parla, donna!» sbuffo.
«Domani non posso accompagnarti ad Allerton. Ieri sera le gemelle mi hanno detto che si fermano per tutto il fine settimana e... non posso dire loro di no, non adesso che stiamo ristabilendo una connessione» spiega.
«Vivienne» sorrido stringendo la sua mano. «Non importa se non puoi venire. È giustissimo che tu trascorra del tempo con le tue figlie. Non hai la più pallida idea di quanto sia felice di sentirtelo dire.»
«Davvero non sei arrabbiata perché ti sto dando buca?» mi guarda dispiaciuta.
Scuoto il capo, il cuore pieno di gioia. «Assolutamente! Parlerò con Jason più tardi.»
«No, io... gli ho dato la giornata libera. Jeff e Harley partono oggi e pernotteranno in un motel così da accogliervi domani e aiutarvi a scaricare tutto.»
Accogliervi? Aiutarvi? Ha appena detto di aver dato la giornata libera a Jason. Di che sta parlando? «Non capisco a chi ti riferisci» ammetto.
«Ieri, a cena, ho chiesto a Devon se fosse disponibile per accompagnarti visto che avevo già prenotato il furgone. È saltato fuori che non lavora e quindi...» la mora distoglie lo sguardo.
«Hai chiesto a tuo figlio di portarmi ad Allerton?!» esclamo, scioccata dalla rivelazione. Ieri sera è passato da me, mi ha sbraitato contro e non si è nemmeno degnato di informarmi sui cambiamenti? Ugh!
La giornata è un'esatta replica della precedente: fuori controllo. Mi trascino fino alle cinque con le ultime forze restanti e quando Vivienne gira il cartellino quasi lacrimo di gioia. Ci salutiamo tra le mille raccomandazioni di Vivi e le mie rassicurazioni. Sembra che io stia per partire per chissà quale meta ignota, quando la realtà si trova a soli cinquanta minuti di distanza da Boston.
Entro in casa e mi disfo della borsa e il cappotto lasciandoli sul divano, tolgo le scarpe e calzo le mie pantofole morbide. Ho lasciato il pollo a marinare, perciò cucinarlo sarà un gioco da ragazzi. Devo tagliare e grigliare le verdure e preparare il dolce. Taglio peperoni e zucchine in un mix di striscette e rondelle, li metto da parte e mi concentro sulla preparazione di una semplice torta di mele.
Qui a Boston è molto acclamata, soprattutto nel periodo autunnale, quando si partecipa alle raccolte di mele nei meleti in zona. Se non sbaglio, penso sia stata proprio Delia a raccontarmi della volta in cui lei, Trevor, Vivienne e Danny si sono recati nella contea di Franklin per raccogliere mele e divertirsi alla fiera che si tiene annualmente. Credo ci fosse di mezzo anche un vitello, ma di questo non ne sono certa. Era tardi e avevo bevuto qualche bicchierino di troppo per ricordare tutti i dettagli.
Quando inforno la torta sono quasi le sette, dunque, Devon dovrebbe arrivare a momenti. Apparecchio sbadigliando ogni dieci minuti e mi piazzo davanti alla cucina pronta per grigliare le verdure. Ho appena posato la griglia sul fornello quando Devon suona il campanello. Gli apro e torno in cucina.
«Che profumo.»
Sorrido. «Il sapore sarà migliore» lo rassicuro.
Un potpottio che riconoscerei ovunque si espande per la stanza, poi il rumore di zampette che si muovono frenetiche. Un secondo dopo l'animaletto più bello di sempre si sta arrampicando sulla mia schiena. «Furia!» mi giro, allontanandomi dalla cucina per evitare che si faccia male.
Il furetto mi accoglie stringendo le zampine attorno al mio collo, si accoccola sulla mia spalla e senza aggiungere altro, si addormenta.
Ridacchio piano, lanciando uno sguardo a Devon e sorrido. «Come hai fatto a portarlo? Lo sai che qui è vietato portare animali.»
«Lo so, ma non volevo lasciarlo a casa da solo visto che sono stato tutto il giorno fuori.»
Collo la palla al balzo. «Ah, sì? E come farai domani?»
Devon capisce che Vivienne mi ha informato ma la sua espressione non muta. Si accomoda al bancone e si versa del vino in uno dei due calici disponibili. «Starà bene.»
«E quando pensavi di informarmi del cambio di programma?» chiedo, tornando a grigliare le verdure con una mano e tenere Furia con l'altra.
«Non lo so, adesso?»
Rilascio un sospiro scuotendo il capo ma non commento oltre. Finisco con le verdure e cedo Furia al moro, poi mi dedico al pollo. Faccio tutto sulla griglia, è inutile utilizzare un'altra padella. «Come ci organizziamo quindi? I fiori e i centritavola devono essere consegnati al massimo nel primo pomeriggio. Harley e Jeff sono partiti oggi, perciò penseranno loro alla chiesa.»
«Sono cinquanta minuti di strada per Allerton ma conosciamo bene Boston, potrebbero tranquillamente diventare due ore. Pensavo di partire per le dieci, essere in anticipo» spiega Devon, affiancandomi in cucina.
«Spegni il forno, per favore» dico intenta a girare il pollo. «Va bene, sono d'accordo sul partire prima. Non ho intenzione di farmi prendere dal panico ore prima del matrimonio. Voglio fare le cose con calma e soprattutto voglio farle in maniera impeccabile.»
«Siamo d'accordo, allora» dice mentre fuori la torta dal forno. «Ehi, quella è in più?» chiede indicando una fettina di pollo avanzata.
«Hm-hm. L'ho lasciata da parte nel caso avessi ancora fame» rispondo, spegnendo la fiamma.
«No, tagliuzzala per Furia. A noi basterà tutto quello che hai preparato.»
Annuisco e faccio come mi dice. Quando si sveglierà il signorino avrà fame, ne sono certa. «Grazie di averlo portato» sorrido avvicinandomi al furetto. Lascio un piattino e una ciotola colma d'acqua accanto al divano, poi mi chino e poggio il mio fidato plaid sul corpicino di Furia. So che non ha freddo, ma è così dolce e desidero solo che stia al meglio. «Ceniamo?» mi avvicino al bancone.
Devon annuisce e si accomoda. Se non sapessi con sicurezza che si tratta di una cena per rimediare al disastro di ieri, giurerei di trovarmi ad un appuntamento con Devon Bradshaw. 

𝐀𝐕𝐄𝐑𝐘 [𝐁𝐨𝐬𝐭𝐨𝐧 𝐋𝐞𝐠𝐚𝐜𝐲 𝐒𝐞𝐫𝐢𝐞𝐬 𝐕𝐨𝐥.𝟏]Where stories live. Discover now