25.

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«Dico solo che dovresti stringere di più» incrocio le braccia al petto.
La testa di Devon fa capolino dalle ante dell'armadietto. «Sul serio vuoi dirmi tu cosa fare quando non hai nemmeno idea di quale sia il problema?»
Alzo gli occhi al cielo. Sono uno pseudo medico-fiorista, mica un idraulico. «Ma Google dice-»
«Google sbaglia» mi interrompe tornando a smanettare sotto al lavandino.
«Sul serio stai dicendo che Internet, fonte di conoscenza dagli anni '90 – beh, dall'ottantanove se vogliamo essere precisi – sta sbagliando?» lo guardo torva nonostante non possa vedermi.
Lo sento sospirare e ignorarmi totalmente. Butta qualcosa di nero e rotondo sul pavimento e una manciata di minuti dopo si rimette in piedi. «Internet sbaglia almeno un quarto delle volte» aziona la manopola e inizia a lavarsi le mani. «E per tua informazione, sì, era solo una guarnizione difettosa.»
Gli passo l'asciugamano. «Quindi sei certo che non si tratti del sifone.»
Lui l'afferra, trafiggendomi con lo sguardo. «Te ne saresti accorta se si fosse trattato del sifone, non temere» esce dal bagno.
«E questo che vuol dire?» lo seguo in sala.
«Che non sarebbe stata una perdita così minima.»
«Anche fastidiosa. Riuscivo a sentirla anche dal soppalco» borbotto raggiungendo la cucina. «Vuoi un caffè?» chiedo mentre inizio a riempire il bollitore.
Devon si accomoda sullo sgabello e annuisce. «Che udito raffinato.»
«Nah, ho solo dimenticato la porta aperta e mi scocciava scendere a chiuderla. Si gelava» spiego poggiando due tazze sul bancone. Verso la miscela di caffè nel bollitore e do una mescolata. «Tieni» gli cedo una tazza quando ho finito.
«Grazie» prende un sorso.
«Ehi, hai intenzione di raccogliere quella roba disgustosa dal mio pavimento, giusto? Perché ti avviso che sono un po' schizzinosa» rabbrividisco al solo pensiero di dover toccare quel pezzo di gomma.
Devon mi fissa per qualche secondo, porta ancora una volta la tazza alle labbra e si alza. «Si chiama guarnizione e ti assicuro che non è radioattiva.»
Si allontana dal bancone e percorre la distanza che lo separa dal bagno. Oh, menomale.
«Sai cosa farò, Mr. Guarnizione?» sorrido, appena ritorna e fa il giro del bancone.
«Illuminami» dice, gettando quell'affare nella pattumiera.
Spero non puzzi.
«Entrerò su Google e cercherò come riparare una guarnizione. Non prima di aver comprato dei guanti in lattice.»
Devon arcua un sopracciglio e torna al suo posto. «So che mi pentirò di averlo chiesto ma... a che ti servono i guanti in lattice?» sospira.
«Chiaramente a non toccare a mani nude quella cosa. Sai quanti germi si accumulano? È disgustoso» arriccio il naso.
«Credo sia proprio per evitare i germi che hanno inventato una cosa magica che si chiama sapone» mi informa come fossi una stupida qualunque.
«Lo so cos'è il sapone e so anche cos'è un disinfettante ma il solo pensiero di toccare qualcosa che è stato a contatto con lo scarico mi fa schifo. Contento?»
«E naturalmente non vorremmo che quelle belle unghie si spezzassero, giusto?» mi prende in giro lo stronzo.
«Naturalmente» assottiglio gli occhi, fulminandolo con un singolo sguardo. Se i miei potessero parlare lo manderebbero per certo a quel paese ma purtroppo non funziona così. Incredibile come un momento desideri di essere presa su qualsiasi superficie disponibile da questo bell'imbusto e quello dopo desideri soffocarlo con le mie stesse mani. Deve essere un dono il suo. Anche se mi costa ammetterlo, nonostante tutto... mi fa impazzire, giuro. Non cambierei una singola cosa di come procede questo pseudo rapporto tra di noi.
Il mio cellulare squilla da qualche parte nella casa interrompendo il nostro stuzzicamento. Mollo la tazza e mi avvicino al divano. Quando siamo arrivati un paio d'ore fa ho lasciato tutto sul divano, devo aver dimenticato di riprenderlo dopo. Tiro fuori l'aggeggio dalla tasca del cappotto e fisso lo schermo. Questa volta c'è un numero. Il prefisso mi fa ben capire di chi si tratti. Chiama dal lavoro. Non posso credere che a distanza di qualche ora io debba essere ulteriormente sottoposta all'ennesima tortura. Fisso lo schermo per un altro minuto, quest'ultimo smette di lampeggiare.
Rilascio un sospiro rassegnato e alzo lo sguardo puntandolo sul moro intento a bere il suo caffè. «Ti spiace andare? Devo fare una telefonata personale.»
Si gira, posando la tazza sul bancone. «Certo. Nessun problema.»
«Grazie» mormoro. «E scusami... non è davvero mia abitudine cacciare di casa la gente.»
«Ammetti che stavolta non ti dispiace così tanto» continua a stuzzicarmi. «Ricordati di cenare, è già tardi» aggiunge l'attimo successivo recuperando la sua giacca. La indossa e tira fuori le chiavi della motocicletta.
Annuisco e lo accompagno alla porta, aprendola per lui. «Grazie... per il bagno» arrossisco.
Devon mi guarda, un ghigno sul volto. «Non abbiamo ancora finito.»
«Bene, lo speravo» ammetto in tutta onestà.
«Mangia» ribatte.
Annuisco di nuovo. «Lo farò. Ci vediamo» chiudo la porta e ci poggio le spalle. Stringo il cellulare in mano, infastidita dall'interruzione. Avrei voluto trascorrere le ore successive a rotolarmi tra le lenzuola con un certo Bradshaw ma la sua chiamata ha dovuto rovinare tutto. Del resto, più lo faccio aspettare, peggio sarà per me. Se c'è una cosa che Kenneth Miller non conosce bene quella è la pazienza. Mi stupisce che sia riuscito ad attendere per nove mesi, che non si sia presentato al Velia's e mi abbia trascinato fuori per i capelli. È davvero bizzarro.
Mi trascino sul divano, stendendomi per poter riposare. Avvio la chiamata e chiudo gli occhi.
«Ho intenzione di escluderti dal testamento» risponde dopo qualche squillo.
Sbarro gli occhi. Non mi aspettavo di certo che mi accogliesse con dolcezza estrema decantandomi tutto il suo amore ma nemmeno che potesse dirmi una cosa del genere dopo nove lunghi mesi.
«Potrai richiedere la tua parte ma sappiamo bene che dispongo dei migliori avvocati londinesi e americani. Non ti converrà iniziare una causa che non potrai portare avanti.»
Sono... sono senza parole. Mi sarei aspettata una sfuriata, un discorso pieno di delusione e rancore, tutto. Ma non questo.
«Avery, mi senti? Spero che nella topaia in cui ti trovi ci sia segnale» sospira infastidito.
«Ci sono» gracchio. «Ho sentito perfettamente.»
«Benissimo.»
Benissimo? Deglutisco, mandando giù il nodo in gola che sembra serrarsi sempre di più. «Non mi senti da quasi un anno e la prima cosa che vuoi dire a tua figlia è questa?»
«Hai perso il diritto di essere mia figlia quando hai ricoperto di vergogna questa famiglia» sibila.
Wow... faccio il possibile per ignorare la vista appannata. Batto le palpebre e annuisco anche se non può vedermi. «Benissimo» ripeto le sue parole. Non piangerò con lui al telefono. «Ho solo una domanda, papà» sputo l'ultima parola con estrema difficoltà.
Lo sento sospirare per l'ennesima volta, quasi fossi uno dei suoi tirapiedi fastidiosi. «Sbrigati, ho delle cose da fare.»
«Tu lo sapevi che mamma mi picchiava?»
Ironico come il suo silenzio mi colpisca in pieno viso. Ma certo che lo sapeva, preferiva solo far finta di non vedere. Anche tutte le volte che mi sono presentata con quintali di trucco in faccia o la volta in cui mia madre mi costrinse a presentarmi a una cena di beneficenza dopo che mi aveva quasi strangolata.
Ovviamente lo sapeva.
«La tua risposta è esaustiva, papà» una lacrima sfugge al mio controllo. «Non vi porterò in tribunale e non chiederò un centesimo, sta tranquillo. Buona vita» attacco e mollo il cellulare sul divano. Un singhiozzo abbandona le mie labbra. Poi un altro. Per la prima volta, dopo tanto tempo, mi sento completamente sola. 

𝐀𝐕𝐄𝐑𝐘 [𝐁𝐨𝐬𝐭𝐨𝐧 𝐋𝐞𝐠𝐚𝐜𝐲 𝐒𝐞𝐫𝐢𝐞𝐬 𝐕𝐨𝐥.𝟏]Where stories live. Discover now