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Luise Miller mi trafigge con lo sguardo. Detesta quando le parlo con insolenza. Beh, io detesto quando la gente mi picchia e devo dire che ultimamente sta succedendo spesso. Sento il sapore metallico del sangue arrivare dritto in gola. Forse ha riaperto una vecchia ferita. Fantastico, no? Porto di sicuro un'ottima pubblicità al Velia's. Di sicuro non contesterò quando Vivienne mi licenzierà perché non può permettere che cose del genere accadano nel suo negozio. Le darò perfettamente ragione. Poi mi leccherò le ferite per qualche ora e il giorno dopo andrò alla ricerca di un nuovo lavoro. È così che agisco. O almeno, è così da nove mesi a questa parte.
«Prendi le tue cose. Ce ne andiamo» sibila, guardandosi intorno con disgusto.
«Lei non prende proprio niente!» ribatte Vivienne.
«Dovrebbe imparare a farsi gli affari suoi» mia madre abbassa lo sguardo sui jeans di Vivi risalendo sul maglione e i capelli legati in una coda bassa. Arriccia le labbra e torna a guardarmi.
«Quando si trova sul mio luogo di lavoro e picchia una mia dipendente, allora sì, sono assolutamente affari miei» ringhia la mora. Poco dopo afferra il mio braccio e mi trascina alle sue spalle, Molly proprio al suo fianco. «Se ne vada. Se oserà rimettere piede qui dentro un'altra volta la denuncerò.»
Mia madre fa un passo indietro, scuotendo il capo. «Lei non sa con chi sta parlando, mi creda.»
Vivienne ne fa uno avanti. «Nemmeno lei, glielo assicuro.»
Questo sembra divertire la donna che mi ha messo al mondo. «Ah, ma davvero? Avery, queste persone conoscono il tuo cognome o hai nascosto pure quello?» tenta di trovare il mio sguardo.
«La domanda che dovrebbe porsi, signora, è se lei sa chi si trova davanti» Molly stringe le braccia al petto.
Vivienne allunga una mano in direzione di mia madre. «Vivienne Fitzgerald-Bradshaw, non è affatto un piacere.»
Alla menzione del cognome di Vivienne mia madre compie l'ennesimo passo indietro, sgranando gli occhi. «Fi-Fitzgerald» balbetta. «Come Howard e Colette Fitzgerald?»
«Oh, conosce mio padre e sua moglie? Ma che meraviglia! Sono certa che sarà molto interessato alla storia che gli racconterò sulla signora Miller» finge un sorriso entusiasta Vivienne.
Mi sistemo al suo fianco, apprezzo tanto quello che stanno facendo ma non mi nasconderò dietro a loro. Onestamente non avevo idea che il mio capo fosse niente meno che la figlia di Howard Fitzgerald, un vecchio caro amico dei miei. L'ho conosciuta Bradshaw e non ho mai indagato oltre. Sono più interessata alla persona che al cognome che porta.
«Lo sa, io avrò smesso anni fa di frequentare i vostri stupidi eventi mondani ma quello è il mondo di mio padre, un mondo che continua a frequentare. E... lei sa bene come le chiacchiere viaggino in fretta, no? Bene» Vivi si avvicina pericolosamente a mia madre e sorride ancora una volta. «Veda di sparire e non disturbare la mia dipendente dentro e fuori a questo negozio. Io e Avery siamo molto amiche, saprò se ha provato a disturbarla e allora informerò mio padre dello scempio a cui ho assistito.»
Vorrei baciarla. Applaudire. Abbracciarla. Vorrei piangere. Sì, vorrei tanto piangere per l'umiliazione che ho ricevuto per la milionesima volta nella mia vita.
Devon non aveva affatto ragione: non sono una persona del tutto onesta. È vero, tecnicamente non ho mentito, ho solo omesso il nome dei genitori, ma Vivienne e la sua famiglia non meritavano una cosa del genere, avrei potuto benissimo avvertirla. Invece, non l'ho mai fatto. Tra l'altro, mentendo anche sul monolocale. Le racconterò ogni cosa non appena ci saremo liberate di mia madre, lo merita.
«Se avessi conosciuto il cognome della donna che mi ha dato un lavoro, le avrei chiesto questo favore mesi fa» fisso la donna così tanto simile a me. Odio la somiglianza che mi lega a lei.
«Non sai di che parli, sciocca.»
Accenno una risata tristemente divertita. «Lo so molto bene invece. Adesso, per favore, smettila di chiamare, mandarmi messaggi, perseguitarmi. Smettetela e basta.»
Mia madre non risponde, alza il mento e sloggia dal Velia's. Mi sgonfio come un palloncino, accartocciandomi su me stessa.
«Mol, tesoro, ti spiace andare? Io e Avery abbiamo un po' di cose di cui parlare» Vivienne accarezza la mano della cognata.
La bionda annuisce. «Ma certo. Ci sentiamo più tardi» ci saluta e dopo aver preso le viole del pensiero, lascia il negozio.
Vivienne si avvicina alla porta e gira il cartellino. Sgrano gli occhi, scioccata dal fatto che ha appena chiuso il negozio per parlare con me. Deglutisco, giocando nervosamente con le mani. «Vivienne, non c'è bisogno che tu dica niente. Capisco benissimo e mi basterà solo prendere le mie-»
«Di che diamine stai parlando?» interrompe il mio monologo fulminandomi con lo sguardo. «Non ho la minima intenzione di licenziarti.»
«Ho mentito sul monolocale e ho chiesto a Danny di tenere segreta la cosa. Lui non sa il perché, non me la sentivo di parlarne» sputo fuori. Non voglio più mentirle, non posso.
Vivienne si avvicina, invitandomi a seguirla nel suo studio – più precisamente, sul divano. «Mi spieghi un po' meglio? Non devi per forza entrare nei dettagli, vorrei soltanto collegare i puntini, ecco.»
Massaggio le tempie. Glielo devo. Dopo tutto quello che ha fatto per me il minimo che io possa fare è essere onesta con lei. «Ho concluso l'università a diciannove anni. Oxford» mormoro. «Non è stato affatto semplice per me frequentare un posto come quello sapendo che avrei dovuto essere al primo anno. I miei mi facevano studiare come un mulo e a quanto pare sono una mezza cervellona, quindi, apprendere in fretta non era un problema. I miei genitori se ne sono accorti alla fine delle elementari e hanno iniziato a trascinarmi ovunque per capire se effettivamente fossi dotata o solo fortunata. È uscito fuori che posseggo un QI di 130.»
«Porca merda» biascica Vivienne.
«Non è il massimo, Vivienne, un genio possiede un quoziente intellettivo che parte dai 140, quindi... nulla di troppo speciale. È solo che immagazzino in fretta, ho una buona memoria e ai tempi mi piaceva anche apprendere, certo, ma la cosa è andata troppo oltre.»
La mora stringe la mia mano con affetto e questo mi porta a ricambiare la stretta con tutta me stessa. «I miei genitori insistevano per farmi saltare anni scolastici e alla fine ci sono riusciti. Ho frequentato medicina, fatto il tirocinio e iniziato la specializzazione in chirurgia. Ma dico, mi ci vedi come chirurgo?»
«Non ti vedo proprio come medico. Senza offesa, ovvio.»
Sorrido, accennando una risata vera. Incredibile come le basti aprire bocca per migliorare l'umore di una persona. «Me la cavo bene, in realtà. È solo che non è affatto il mio posto. Io non sono assolutamente tagliata per fare quel genere di lavoro. Fine.»
«Questo, però, i tuoi genitori non l'hanno capito.»
Nego con la testa. Non l'hanno capito e mai lo faranno. Ero solo un bel gioiellino da sfoggiare, di cui tanto vantarsi. La mia utilità si fermava a questo. «Un giorno è successa una cosa a una donna e io non ce l'ho più fatta. Ho mollato tutto, sono filata a casa per riempire le valigie con quanta più roba potessi e sono corsa in aeroporto. Ho scelto una meta a caso ed eccomi qui» faccio spallucce.
«Non sei capitata per caso. Il tuo cervello ti ha indirettamente indirizzata verso la via di casa» accarezza la mia mano.
Stringo le labbra, percependo i miei occhi inumidirsi. Non voglio piangere. Sono stufa.
«Adesso andiamo a disinfettare quella ferita. Eravamo finalmente riuscite a cicatrizzarla ed eccoci di nuovo punto e a capo» scuote il capo, infastidita. La vedo recarsi all'armadietto attaccato al muro e prelevare un batuffolo di ovatta e dell'acqua ossigenata.
«Vuole avere l'onore, dottoressa, o posso pensarci io?» mi prende in giro, sollevando un sopracciglio in attesa della mia risposta.
«Tutta sua, infermiera Fitzgerald.»
«Piuttosto» si avvicina mentre versa un po' di disinfettante nell'ovatta. «Come spiegherai a mio figlio quest'opera d'arte?» lo pressa sul mio labbro.
Sibilo, strizzando l'occhio al fastidiosissimo pizzicore e rilascio un profondo respiro per focalizzare l'attenzione altrove. Direi che le sue parole sono un'ottima distrazione. «Non lo so, mi inventerò qualcosa.»
«Certo, sei un quasi genio» ridacchia.
«Smettila di prendermi in giro» sbuffo.
Vivienne continua a ridere, poi preme più forte sul labbro. «Mai.»

𝐀𝐕𝐄𝐑𝐘 [𝐁𝐨𝐬𝐭𝐨𝐧 𝐋𝐞𝐠𝐚𝐜𝐲 𝐒𝐞𝐫𝐢𝐞𝐬 𝐕𝐨𝐥.𝟏]Where stories live. Discover now