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Sbadiglio, infastidita da me stessa. Avrei potuto dormire almeno due ore in più e invece mi sono svegliata alle sette e un quarto. La causa? Sempre la sottoscritta che ieri ha dimenticato di disattivare la sveglia. Insomma, c'è un motivo se il mio quoziente intellettivo è più basso di quello di un genio e adesso ho finalmente capito il perché.
Tracanno caffè come fosse la mia sorgente di vita; il viso del medico che mi rimprovera sfiora i miei pensieri, ma subito lo scaccio via con altra caffeina. Ci vedremo quando starò male, per il momento mi godo la tranquillità.
Mando un messaggio a Grace per chiederle come sta e informo Vivienne che ho ricevuto l'e-mail che mi ha mandato ieri sera con tutti i dettagli. Trascorro il restante tempo a sistemare casa, ho in mente una pulizia più approfondita per questo monolocale ma questa accadrà dopo le festività. Torno stremata dal lavoro e tutto quello che voglio fare – a parte stare con Devon – è poltrire a letto. Per il momento mi manterrò sul superficiale.
Alle dieci meno dieci Devon mi informa di essere appena arrivato. Indosso il cappotto, afferro la borsa e filo dritta verso il portone. Quando esco trovo un furgoncino bianco ad attendermi.
«Non sapevo oggi ci fosse in programma un rapimento» lo saluto prendendo posto sul sedile del passeggero.
«Non parlarne con me, siete tu e mia madre che scegliete questo genere di mezzi» ribatte partendo.
Sbuffo una risata. «Scusa, la prossima volta porteremo composizioni e mazzi di fiori su una decapottabile. Che ne pensi?» lo punzecchio.
«Dico che sembri fatta. Hai bevuto più di due tazze di caffè?» indaga.
Come fa a saperlo?
«Solo tre» lo informo mentre accendo la radio. Il meteorologo ci sta informando che sono previste piogge fitte e persino spruzzi di neve. Suppongo questa sia una notizia notevole da sentire per i futuri sposti.
«Appunto» sospira. «Mettiti comoda» fa un cenno in direzione della fila di macchine davanti a noi.
«Ovviamente dovevamo beccarci il traffico» sospiro accasciandomi sul sedile.
«Era in programma, nulla che non sapessimo già» tamburella le dita della mano destra sul volante.
«Da quanto suoni?» domando.
La mia domanda lo coglie alla sprovvista. Si volta nella mia direzione e mi guarda in attesa che gli dia una spiegazione più dettagliata. «Volevo chiedertelo tempo fa ma mi è sfuggito le prime volte... ho notato la custodia di una chitarra all'angolo della tua camera.»
«Non è una chitarra, ma un basso» mi informa.
Resto piacevolmente sorpresa da questa scoperta. Devon Bradshaw suona il basso. Santo cielo, riesco a immaginarlo ed è una visiona paradisiaca e dannatamente sexy allo stesso momento. Sudato, il basso in mano e la vibrazione delle corde a ogni tocco dei polpastrelli.
Accidenti.
«E lo suoni da molto?» chiedo interessata.
La sua espressione si incupisce. Forse ho toccato un tasto particolarmente delicato? Non saprei. Non voglio rovinare la nostra permanenza all'interno di questo furgoncino, perciò, cambio stazione radio e sorrido quando il cantante degli Imagine Dragons ci delizia con la sua voce. «Mi piacciono loro.»
«Anche a me» risponde.
«Non ascoltavo molta musica prima, sai? Non avevo il tempo materiale di mettermi a cercare il mio genere preferito, perciò, ho preferito restare in silenzio e accontentarmi solo della compagnia dei miei libri.»
Raccontargli uno spiraglio della mia vita precedente non era in programma, ma come ho già detto, non voglio che si crei tensione durante questa sorta di gita fuori porta. Parlargli di me sembra essere l'unica cosa in grado di distrarlo dai suoi pensieri.
«Niente amici?» domanda dopo qualche minuto di silenzio.
Scuoto il capo, fissando le macchine davanti a me iniziare finalmente a muoversi. «I libri di testo contano?»
«Direi di no» ribatte.
«Allora no, niente amici» confermo.
Devon si muove, accelerando solo quando gira a destra in direzione dell'autostrada. «Avery, non era la tua prima volta quando siamo stati insieme, giusto?»
Alla sua domanda sorrido. È gentile che si preoccupi di chiederlo dopo aver scoperto che ero sola come un cane. Non posso far altro che domandarmi anch'io se si pentirebbe di essere stato con me nel caso gli dicessi di sì. «No, sono stata con un paio di ragazzi prima. A volte riuscivo a sgattaiolare da casa e andavo in qualche locale. Volevo fare le stesse esperienze dei miei coetanei» spiego.
«Bene.»
«E se anche lo fosse stata? Te ne saresti pentito?» espongo i miei quesiti, non potendone fare a meno. Ho bisogno di saperlo. Finalmente siamo riusciti a raggiungere l'autostrada, da qui in poi non dovremmo incontrare tanto traffico.
Devon mi lancia uno sguardo prima di tornare a concentrarsi sulla strada. «No, ma di certo sarei stato più delicato. Se ricordi non c'è stato niente di delicato quella volta.»
Sento il calore imporporarmi il viso. Eccome se lo ricordo. Un evento del genere non si scorda nemmeno fra duecento anni. «Lo ricordo» mormoro. «E ti ringrazio. È carino quello che hai detto» sorrido.
«Io non sono carino» sbuffa.
«Infatti mi riferivo a quello che hai detto, sciocco» ripeto.
Mi rivolge un'occhiata tagliente, facendomi scoppiare in una sonora risata. So benissimo cosa sta per dirmi.
«E non sono nemmeno sciocco. Piantala» ringhia, mentre poggia una mano sul cambio pronto a cambiare marcia.
Dio, questo gesto non smetterà mai di farmi accaldare.
Mi sporgo nella sua direzione e presso le labbra sulla sua guancia ruvida. «Ammettilo, un po' lo sei» continuo a stuzzicarlo.
«Avery» mi avverte.
Ridacchio, tornando al mio posto. Scorgo il cartellone stradale che ci informa che siamo appena arrivati a Wollaston. Dalle indicazioni, non dovrebbe mancare molto ad Allerton, giusto? Sarà meglio chiedere al navigatore. «Quanto manca all'incirca?»
«Mezz'ora, trentacinque minuti al massimo se non incontriamo- come non detto» rilascia un profondo sospiro.
Sto per chiedergli che gli prende ma il furgoncino si ferma, perciò, ottengo la mia risposta: traffico. Sono le dieci e quarantacinque e manca ancora più di mezz'ora, forse anche qualcosina in più visto che siamo imbottigliati.
Trascorriamo il restante tempo in silenzio: io tento di sonnecchiare – con scarsi risultati, visto tutto il caffè che ho bevuto – mentre Devon guida e cambia spesso stazione radio. Quando finalmente scorso il cartello che ci dà il benvenuto ad Allerton quasi non piango di gioia. E no, non perché siamo arrivati, ma perché mi scappa da morire e la vescica rischia di scoppiare da un momento all'altro.
Devon parcheggia nell'ampio spiazzale dell'hotel intorno alle dodici e venti. Apro lo sportello e scatto in direzione delle reception. Non c'è verso che io affronti la giornata quando mi scappa così tanto. La donna al bancone mi guarda con aria perplessa mentre mi indica i servizi. Sfreccio verso le porte e solo quando mi sono seduta sulla tazza sospiro di sollievo.
Torno da Devon qualche minuto dopo. Quando mi vede scuote il capo e apre le ante del furgoncino.
«Ehi, Avery!»
Mi volto in direzione della voce e sorrido sollevando una mano in direzione dei miei colleghi. «Ehi, Jeff. Ciao, Harley.»
«Come stai, ragazzina?» Harley mi sorride stringendo un braccio attorno alle spalle.
«Bene» ricambio la stretta. «Lui è Devon, il figlio di Vivienne. Mi dà una mano a scaricare il materiale» indico il moro.
«Ah, che bella sorpresa!» esclama Jeff porgendogli una mano.
Devon la stringe e lo stesso fa con Harley.
«D'accordo, voglio un aggiornamento» guardo i due uomini.
«La chiesa è sistemata: le panchine sono a posto, le composizioni perfette e il banco non ha nemmeno mezza rosa fuori posto» spiega Jeff.
«C'è stato un intoppo con le ultime decorazioni sulle scale ma abbiamo risolto fissandole con dello spago» aggiunge Harley.
Sospiro sollevata e annuisco. «Bene. La cerimonia è alle tre, il ricevimento alle cinque. Se avete finito in chiesa potete darci una mano a scaricare, una volta aver portato tutto dentro non ci vorrà molto a sistemare tutto.»
«Le previsioni non portano buon tempo, converrà sbrigarci» prende parola Devon.
«Buona idea» annuisce Jeff. «Se i centritavola si bagnano è la fine. Non credo tu ne abbia portati altri 30» mi rivolge un'occhiata divertita.
«No, perciò sbrighiamoci!»
Perdo il conto di quante volte percorro lo stesso tragitto dopo la sesta volta. Si potrebbe pensare che essendo in quattro bastino solo pochi viaggi, ma c'è talmente tanta roba da mettersi le mani in testa. Sistemare i centritavola è un lavoro da ragazzi e con l'aiuto dei camerieri risparmiamo un sacco di tempo. Posizionare le composizioni ai lati della stanza è tutt'altra cosa. Si tratta di assemblare sul posto queste grandi repliche del bouquet della sposa, dunque, il tempo che perdiamo è triplo.
Finiamo intorno alle quattro e venti. Mi accerto che sia tutto perfetto, controllo ogni decorazione con sguardo critico e annuisco soddisfatta quando non trovo impicci. Gli sposi saranno qui tra una quarantina di minuti, perciò lasciamo il campo libero ai camerieri che si occuperanno di spazzare via rametti, foglioline e cordicine di spago che si trovano sul pavimento in marmo.
«Fuori diluvia talmente forte da non riuscire nemmeno a vedere la strada» mi informa Devon.
«Cosa?» scatto in direzione dell'ampia vetrata. Non mi ero minimamente accorta che stesse piovendo così forte, troppo presa dal lavoro.
«Ho sentito uno dei camerieri, a quanto pare sono tutti bloccati in chiesa.»
«Oddio» porto una mano in fronte. «E adesso che si fa?» lo guardo in cerca di aiuto.
«Noi niente. Hai fatto il tuo lavoro. Ci tocca solo aspettare che smetta di piovere o che almeno si calmi» risponde.
«Ragazzi...» ci richiama Harley. «Penso che stia nevicando.»
«Eh?!» mi volto e... sì. Sta nevicando. Ripeto: sta nevicando. Come faremo a tornare a Boston con un tempo del genere? Per non parlare degli sposi e gli invitati. È un disastro su tutti i fronti. «Dammi il tuo cellulare, chiamo la sposa per sapere se hanno novità» guardo Jeff.
L'uomo mi cede il suo telefono senza ulteriori chiacchiere. Ecco perché l'apprezzo tanto.
«Pronto, Johanna? Sono Avery Miller. Del Velia's
«Avery, ciao! Siete in hotel?»
«Già. Qui è tutto pronto ma ho visto che fuori c'è una tempesta.»
«Non me ne parlare» piagnucola. «Stiamo cercando di spostarci adesso che la neve ha appena iniziato a scendere, ma dobbiamo sbrigarci se vogliamo metterci al riparo.»
«Fate attenzione. Noi aspetteremo al bar, nella speranza che si calmi un po'» sospiro.
«Ascolta, sono tremendamente dispiaciuta ma temo che non possiate tornare a Boston, almeno per stasera. Le strade sono intasate e in radio stanno dicendo che a breve scatterà l'allarme bufera.»
«Oh, no, ti prego» poggio la testa sulla colonna in marmo. «È terribile, accidenti.»
«Ascolta, non c'è molto che posso fare ma... vi prenoto due camere in hotel, a spese nostre. Almeno avrete un posto in cui passare la notte. E non ribattere, insisto.»
«Ma Johanna... sono spese in più» mormoro dispiaciuta.
Si tratta di un hotel a cinque stelle, il costo di una di queste camere penso equivalga alla cifra che pago mensilmente per il mio monolocale.
«Non è un tuo problema. Adesso chiamo la reception e ti faccio consegnare le chiavi. Siete in quattro, no?»
«Sì... io- ti ringrazio. Davvero.»
«Non dirlo nemmeno. E ancora grazie, sono certa che abbiate fatto un ottimo lavoro. Adesso vado, a dopo.»
«Allora?» Devon mi guarda in attesa. Come lui, Harley e Jeff.
«Beh... la cattiva notizia è che a quanto pare ci sarà una bufera di neve e non si potrà stare in strada. La buona, invece, è che la sposa ci sta prenotando due camere per poter passare la notte qui. Speriamo solo che domani mattina la situazione sia più stabile.»
«Volevi il week-end fuori porta, no? Eccoti accontentata» dice il moro al mio fianco.
«Ah-ah-ah. Spiritoso» borbotto.
Vedrò Allerton innevata dalla finestra di un hotel lussuoso. Poteva andarmi peggio. 

𝐀𝐕𝐄𝐑𝐘 [𝐁𝐨𝐬𝐭𝐨𝐧 𝐋𝐞𝐠𝐚𝐜𝐲 𝐒𝐞𝐫𝐢𝐞𝐬 𝐕𝐨𝐥.𝟏]Where stories live. Discover now