17.

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«Qualcuno ha preso Halloween molto seriamente.»
Queste sono le prime parole che mi rivolge Devon Bradshaw non appena varca la soglia del buco. «E cosa te lo fa credere?» assottiglio gli occhi per quanto mi è possibile.
«La tua faccia» ribatte, un sorriso divertito sul volto.
Gli riservo un bel dito medio.
«Devon» lo riprende Danny.
Il figlio lo guarda con aria innocente, come se non mi avesse appena presa in giro. «Che c'è? È perfetta come clown» stavolta una vera e propria risatina gli sfugge dalle labbra mentre mi guarda.
Un altro dito medio da parte della sottoscritta. A volte non c'è bisogno delle parole, basta solo un minuscolo gesto.
Suo padre lo guarda esterrefatto, ma è veloce a nascondere lo shock.
Santo cielo, a questo ragazzo deve essere proprio estranea la parola 'divertimento' altrimenti non si spiega la reazione tanto sconvolta di Danny.
«Sbrighiamoci, ci sono un altro paio di cose da mettere in macchina.»
Devon si rivolge a suo padre. «Mi è sembrata abbastanza carica. Passa alla mia.»
Danny annuisce, stiracchia le braccia e fa ruotare piano il collo. «Pensavo l'avessi venduta.»
«No, era in deposito. Uso la moto di solito.»
E allora perché oggi ha deciso di usare la macchina? Pft, uomini, si capiscono da soli.
«D'accordo, mettiamoci a lavoro. Avery non può stare seduta a lungo.»
«No,» intervengo, «prendete tutto il tempo necessario. Non preoccuparti di me, D» sorrido.
«Forza, martire, dimmi cosa resta da imballare» sospira Devon.
Il resto dell'ora lo passo ad esaminare ogni singolo movimento del ghiacciolo palestrato. Si china... si solleva... si piega... e la mia parte preferita: si stiracchia, mettendo in mostra le braccia definite da centinaia di muscoli e ossa che conosco a memoria ma che lui sembra aver annebbiato. Appoggiata al bracciolo della poltrona, non mi perdo nemmeno una mossa, soprattutto quando si trova di schiena e, costretto a chinarsi, mi mostra un fondoschiena di tutto rispetto. Studiarlo così nel dettaglio fa di me una maniaca? Spero di no, non voglio finire in centrale per l'ennesima volta. Comincio a credere che dovrei cercarmi un avvocato, solo per avere le spalle coperte in caso ne avessi bisogno.
«Finito» ansima Danny, entrando in casa. «La poltrona passa a prenderla Caleb nel pomeriggio, ha più spazio nel pick-up.»
«Quand'è che l'ha preso?» domanda Devon, prima di buttare giù un sorso d'acqua.
«Due anni fa, mi sembra. Volevano viaggiare comodi, quindi avevano bisogno di spazio. Lo sai com'è tua zia» Danny alza gli occhi al cielo.
Devon annuisce e si porta ancora una volta la bottiglietta alle labbra. La mia bottiglietta, ci tengo a precisare.
«Allora, Ry, te la senti di muoverti?» chiede il mio salvatore.
«Credo di sì. Dovrei prendere un altro antidolorifico non appena torniamo, però, inizio a sentire più male» strizzo gli occhi mentre mi tiro su e prendo un respiro profondo- peccato si blocchi in gola, visto il dolore. «Okay, okay» mi rimetto giù, sul bracciolo. «Ho bisogno di un attimo» sollevo una mano, posando l'altra sullo stomaco. Detesto trovarmi in questa situazione, ma so che non molto in fondo è anche un po' colpa mia. Non rimarrò con chissà quanto denaro e questo spiega il perché io fossi così contraria al trasferimento, ma preferisco restare con pochi spiccioli piuttosto che affrontare i miei genitori.
«Facciamo così: il signor Gamble mi conosce, perciò, mi avvio così da poter cominciare a scaricare gli scatoloni. Devon ha più spazio in auto, ti porta lui. Ti va bene?» Danny si avvicina, accarezzando la mia chioma scura.
Lo guardo. «Certo. E grazie. Davvero»
«Non c'è di che, lo sai» mi sorride e poi esce di casa.
«Prendi l'antidolorifico.»
Guardo il moro e annuisco, poggio la borsa sulle gambe e ci rovisto dentro in cerca della salvezza. Butto giù una pasticca con un po' d'acqua e tento di alzarmi per la seconda volta. Strizzo gli occhi e tento di rimettermi giù, visto che mi sento parecchio stanca, ma una mano stretta alla mia non me lo permette. Porta il mio braccio attorno alla sua nuca mentre il suo avvolge piano i miei fianchi.
«Non posso prenderti in braccio, rischio di farti male, ma così dovrebbe andare. Ci sei?» mi guarda, lo sguardo adombrato.
Annuisco e striscio fino alla porta di casa.
«Merda» mormora fissando le scale.
«Già. Prima è stato difficile, però l'effetto della medicina mi ha aiutata. Adesso...» rabbrividisco al solo pensiero.
«Ci sono due possibilità: la prima è quella di fare le scale uno per volta, soffrendo il triplo, la seconda è quella di farle di corsa. Ti sollevo e ti trascino giù. Farà male, ma sarà breve. Che dici?»
Mordicchio il labbro inferiore e fisso le scale. Questa gente ha passato l'intera mattina a prendersi carico delle mie cose e soprattutto della mia persona, il minimo che posso fare e non far perdere loro ulteriore tempo. Mi sento già in colpa per dimorare a casa dei Bradshaw, poi il trasferimento... e adesso questo. «Scelgo la seconda.»
Devon non mi lascia il tempo di prepararmi mentalmente – e credo sia un bene se consideriamo che avrei iniziato a tremare di paura al pensiero di soffrire – afferra il retro delle mie gambe e mi solleva. Una fitta di dolore si irradia lungo lo sterno e il petto, facendomi biascicare qualcosa di incoerente. Tengo gli occhi chiusi, sobbalzando ad ogni movimento e quasi non piango di gioia, quando realizzo che siamo arrivati.
«Ehi, tutto bene?» piano, mi aiuta a posare i piedi a terra.
Il suo tono mi fa venire voglia di piangere lacrime disperate. Mi piacerebbe dare tanto la colpa a tutte le medicine che ho ingoiato da questa notte in poi ma non è così. C'è troppo in ballo e questo stupido pestaggio non ci voleva proprio.
«Credi che una settimana di riposo continuo basterà a farmi tornare al lavoro?» ribatto, ignorando la sua domanda.
«Una settimana non credo basti, ma sei giovane e non penso che ti servirà un mese di riposo» spiega, aprendo lo sportello della sua auto.
Nonostante la sofferenza di dovermi chinare e sedere, le sue parole mi rincuorano. Spero tanto che andrà così. Non voglio stare a letto per tutto questo tempo, è inconcepibile. Amo il lavoro che faccio, stare a contatto con Vivienne e discutere di fiori e piante. Non posso perderlo.

Arriviamo al famoso monolocale dopo una ventina di minuti, c'è molto traffico all'ora di pranzo. Per fortuna l'antidolorifico inizia a fare effetto e meraviglia delle meraviglie, c'è l'ascensore! Ad accoglierci ci sono Danny e il signor Gamble. Dopo i saluti e aver spiegato cosa mi è accaduto, firmo il contratto e ricevo le chiavi della mia nuova abitazione. Rivedendolo è ancora più bello: i soffitti alti, l'ampia vetrata da cui riesco a scorgere i grattacieli di Boston e quell'adorabile bagno con dettagli in legno. Un'ondata di ottimismo mi travolge. Posso farcela. Le cose accadono per un motivo, di questo ne sono sicura, e io farò il possibile per trarre il meglio di questa nuova situazione. In effetti, potrei persino valutare di venire a stare qui tra un paio di giorni. Con le medicine e la poca distanza da percorrere tra una stanza e l'altra, posso gestirla. Allestirò un bel letto qui sul divano et voilà, il gioco è fatto.
«Mi piace da morire» sospiro, guardandomi intorno.
«Ti troverai benissimo, te l'assicuro» sorride Danny. «Quand'era piccolo, questo era il posto preferito di Devon» dice, lanciando uno sguardo al figlio intento a trascinare dentro le mie due lampade.
«Davvero?» domando sorpresa.
«Hm-hm. Ha iniziato a passarci più tempo dopo che io e Molly abbiamo discusso. Voleva stare con lei per paura che ci allontanassimo di nuovo.»
Aggrotto lo fronte, confusa dalle sue parole.
Danny lo nota e accenna una risata imbarazzata. «Avrai notato che Tom è dodici anni più grande di lei. Ai tempi lei ne aveva venti e lui trentadue...»
«E quindi?» arcuo un sopracciglio.
«Diciamo che non ho preso bene la cosa all'inizio. In più, l'incidente che mia madre e Greg avevano avuto non aveva affatto migliorato la situazione. È stato devastante. Erano – e sono – le mie bambine, nonostante adesso siano delle mamme» spiega.
Annuisco, riflettendo sulla storia appena sentita. «Beh, sei stato comunque uno stronzo. Questo lo sai, giusto?»
La risata di Danny mi arriva alle orecchie mentre annuisce ben consapevole. «Abbastanza. Nessuno ha mancato di farmelo notare.»
«Bene» annuisco, «perché sono le tue sorelle ma questo non significa che siano di tua proprietà.»
«L'ho capito. E proprio per questo è stato più semplice accettare Caleb in famiglia.»
«Fammi indovinare: anche lui è più grande di Paige?» rido, non potendone fare a meno.
«Sei anni. Però ha aiutato il fatto che lo conoscevo già. Dopo la partenza di Trevor per New York, Caleb è diventato socio del Red Moon, dunque, conoscevo il suo modo di fare e sapevo che fosse un bravo ragazzo.»
«Scusa,» prendo parola, «ma conoscevi anche Tom. Era l'ex di Delia, mi sembra.»
Devon si avvicina, interessato alla nostra conversazione. «Certo che conosceva Tom, è solo che era troppo morboso con le gemelle.»
«Come pensavo» affermo.
«Poi è diventato morboso con noi. Lasciata una vittima doveva trovarne un'altra» Devon guarda suo padre.
Danny Bradshaw arrossisce. Ripeto, arrossisce. «Sono vostro padre, devo assicurarmi che voi abbiate tutto quello che vi serve per stare bene. E questo include analizzare chi portate a casa. Quel Brandon era un tossico, lo sai bene» punta un dito contro suo figlio.
«Potevi essere più gentile, però» ribatte Devon.
«Chi è Brandon? E poi che razza di nome è?!» sbuffo.
«L'ex di Valentine. Papà pensava che sua figlia sarebbe diventata una tossica frequentandolo, ma in realtà Val si faceva solo qualche canna» spiega Devon, guardandomi.
«Andava in giro chiamando la gente: 'bello' o 'bella', andiamo!» esclama inorridito Danny.
Il brontolio del mio stomaco spezza il divertimento, facendomi arrossire fino alla punta dei piedi. «Scusate» biascico, fissando il pavimento.
«Andiamo a pranzo. Ti fermi da noi?» Danny guarda suo figlio in attesa. Riesco a percepire le onde di speranza che il suo corpo emana e sono certa che ci riuscirei anche se mi trovassi a Città del Capo. Noto lo sguardo di Devon incupirsi e non mi piace affatto, lo vedo aprire bocca per rifiutare ma sono svelta a crollargli addosso. «Oh, che male!» esclamo teatralmente mentre il moro tenta di reggermi.
Avery, tutto okay?!» domanda allarmato Danny.
«Sì, potresti solo prendermi un po' d'acqua? Poi andiamo» sbatto le ciglia.
«Ma certo» annuisce Danny prima di allontanarsi.
Approfitto della sua lontananza e avvicino le labbra all'orecchio di Devon. «Ti converrà accettare l'invito di tuo padre. Muore dalla voglia di stare con suo figlio e tu non lo priverai di questo» sibilo.
«Piantala» ringhia di rimando.
«Altrimenti che fai, mi lasci cadere?» lo provoco, sapendo che non farebbe mai una cosa del genere.
«Sono a tanto così dal farlo» mi fulmina con lo sguardo.
«Avanti» sospiro piano sul suo collo. «Fallo per la tua famiglia. Non so quale sia il problema e non ti sto chiedendo di raccontarmelo, ma sono i tuoi genitori e vogliono solo stare con te. Non vuoi deludere anche questa povera inferma, vero?» lo guardo supplicante.
Rilascia un respiro più profondo degli abissi. Bene, almeno si sta calmando. «Sei una tale manipolatrice...» sibila.
Sorrido, mollandogli un velocissimo bacio sul collo. «Non so di cosa tu stia parlando» bisbiglio l'attimo prima che Danny ci raggiunga.
«Non resto molto, ho il turno alle tre» dice Devon guardando suo padre.
Danny quasi non sviene dalla gioia. «Va bene uguale, tua madre deve tornare in negozio alle due. La chiamo subito. Porti tu Ry a casa?» chiede, gli occhi colmi beatitudine.
«Sì, ci penso io al clown.»
«Ehi!» lo spintono malamente. 

𝐀𝐕𝐄𝐑𝐘 [𝐁𝐨𝐬𝐭𝐨𝐧 𝐋𝐞𝐠𝐚𝐜𝐲 𝐒𝐞𝐫𝐢𝐞𝐬 𝐕𝐨𝐥.𝟏]Where stories live. Discover now