46.

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Harry Ford è una spina nel fianco. Lo sapevo prima, quando mi torturava in reparto, lo so adesso che si professa il mio nuovo migliore amico. Oggi è il trentuno dicembre e sono cinque giorni che mi assilla a proposito di Capodanno. Gli ho già detto che non era in vena, che non avevo nulla da festeggiare e che avrebbe fatto meglio a tornarsene a Londra. Mi ha ascoltato? Ovvio che no. Tre giorni fa sono stata costretta a illustrargli i motivi per cui non ero nel mood dei festeggiamenti e l'unica cosa che mi ha risposto, come se ci trovassimo nel peggiore dei Teen Drama, è stata: «è uno stronzo, non ti merita. Tu sei fantastica e lui un coglione. Fine della storia. Adesso pensiamo a dove trascorrere il Capodanno.»
Non c'è stato verso di dissuaderlo, perciò, secondo il mio nuovissimo migliore amico stasera andrò a cena in un risto-pub per festeggiare l'anno nuovo. Me ne frega qualcosa? No. Mi presenterò? No. Tuttavia, sarebbe scorretto negare che la sua presenza mi abbia infastidita del tutto. Harry è stato in grado di rubarmi quasi due sorrisi in questi giorni. Un'impresa titanica se consideriamo che non ho fatto altro che piagnucolare e poi fissare il soffitto una volta rientrata in casa.
«Ehilà, cavernicola?! Ti ho portato un vestito!» esclama Harry chiudendosi la porta di casa alle spalle.
Proprio così, ha beccato il nascondiglio sotto la pianta accanto alla porta e ha fatto un doppione della chiave, poi ha ripetuto il procedimento con quella del portone.
Grugnisco, sprofondando il viso sul cuscino e tiro sopra la testa le coperte.
«Su, su, su. Devi farti una doccia e prepararti» si fionda sul letto schiacciandomi il piede destro.
«Ahia!» sbuffo.
«Forza, gattina, alzati» strattona le coperte così da rivelare il mio brutto muso.
«Lasciami in pace, non ho dormito e ho sonno» bofonchio.
«Puoi dormire un'ora. Poi ti alzi. Volente o nolente» mi punta un dito contro e lascia il letto.
Oh, grazie al cielo.
Chiudo gli occhi nella speranza di addormentarmi e in effetti è quello che sembra succedere.
Sbatto le palpebre quando il mormorio di voci mi arriva alle orecchie. Possibile che Harry sia ancora qui? Quello è tutto pazzo; fa ciò che vuole, quando vuole.
«Ti ho detto che non me ne frega un accidente. Tu non sali» sibila Harry. «Hai fatto già abbastanza.»
«E io ti ho detto che devi spostarti, altrimenti ci penserò io e non sarà piacevole» ringhia una voce.
Mi gelo sul posto quando la metto a fuoco. È lui. Si trova all'intero del monolocale, a pochi passi da me. Il cuore traditore prende vita nell'istante in cui realizza che Devon si trova davvero vicino. Niente pensieri, ipotesi, scenari immaginari... è qui, in carne e ossa.
«Non ti muovere» dice Harry. L'attimo dopo sta salendo le scale con lo scopo di raggiungermi.
Mi metto a sedere, agitata e nervosa ma comunque per buona parte restia. Non mi fido di lui, potrebbe benissimo essere passato a pugnalarmi per l'ennesima volta, a infliggere il corpo di grazia. Devon Bradshaw è un maestro nell'arte del non mostrare mai quello che prova davvero nei confronti di un essere umano. Ne so qualcosa.
«Ehi» bisbiglia Harry avvicinandosi. «Ascolta, ha usato la chiave di riserva, quindi, non ho potuto fare niente per impedirgli di entrare. Un consiglio: penso che tu debba nasconderla meglio la prossima volta.»
Sfrego il viso con una mano, poi scosto i capelli dalla fronte. Mi sento così stanca, vorrei dormire per una settimana di fila e svegliarmi fresca e riposata. Invece, ogni volta che lo faccio, mi sembra di stare peggio del giorno precedente. Se ripenso a quegli stupidi consigli che ho letto a proposito dei cuori infranti mi viene davvero da ridere. Sono patetici. E io più di essi perché ho persino pensato che avessero potuto aiutarmi.
«Lo penso anch'io» sospiro.
«Lo caccio? Dimmi tu» Harry mi guarda apprensivo e solo adesso leggo negli occhi una certa preoccupazione nei miei confronti. Possibile che nell'arco di poco tempo – cioè da quando è tornato a Boston per farmi visita – stia sviluppando una sorta di affetto nei miei confronti? Non abbiamo mai parlato sul serio, a parte la volta al Canyon's, mi ha sempre preso in giro e senza dubbio è questa la motivazione per cui sono così poco propensa a fidarmi del tutto. Ma lui? Harry sembra davvero tenerci e nonostante tutto lo apprezzo tanto.
«Non so che fare. Mi è mancato da morire, ma... mi ha ferito altrettanto.»
«Mi pentirò di cosa sto per dire» borbotta. «Vi lascio un'ora. Lo fai parlare, fissare, quello che vuole. Se quando torno non vi trovo a limonare allora lo faccio smammare a suon di pedate. O almeno, ci tenterò. Tu non sei costretta a fare nulla, puoi fissare il muro se lo desideri. E se invece vuoi che se ne vada prima, basta farmi una telefonata. D'accordo?»
Lo guardo dritto negli occhi, rimanendo in silenzio per qualche istante. «Va bene» acconsento. «E grazie.»
Lui mi sorride e dopo avermi lasciato un buffetto sul mento si allontana. Lo sento tornare di sotto e informare Devon che tornerà fra un'ora, poi la porta di casa si chiude lasciando il silenzio a regnare sovrano.
Mi volto dando le spalle alle scale che scricchiolano lievemente ad ogni suo passo. Il calore che percepisco dietro la nuca si fa sempre più intenso, fino a bruciare quando realizzo che è in piedi davanti al letto. Non mi giro a guardarlo, non mi passa nemmeno per l'anticamera del cervello. Se vuole parlare, può farlo benissimo con la mia schiena. Del resto, è quello che ho fatto io in questi mesi, no? Ho parlato, mi sono lasciata andare... e tutto per cosa? Per una chiacchierata con la montagna di scudi che ha elevato attorno a sé.
Rabbrividisco sentendo il materasso sprofondare sotto al suo peso. È davvero così vicino... mi basterebbe voltarmi per saltargli addosso, ma non lo faccio. Sobbalzo, quando qualcosa di solido atterra di fronte a me. Fisso con occhi sgranati il cappellino che ho raccolto da terra durante il nostro primo incontro.
Il pezzo di ghiaccio mi fulmina con lo sguardo e poi si volta. Apre la porta e una folata di vento lo investe. Porto una mano a coprire il viso per ripararmi dalla folata gelida e aggrotto la fronte quando noto il cappellino da baseball sul pavimento. Talmente preso da chissà cosa che si è dimenticato del carico prezioso. Afferro il pezzo di stoffa, notando due iniziali incise sotto la visiera e apro la porta.
«Ehi, D.B. hai dimenticato questo!» esclamo sventolando il suo cappellino.
Sbatto le palpebre tornando alla realtà. Che me ne faccio del suo cappello?
«Darren Brody» bisbiglia. «Il nome del mio migliore amico.»
Sfioro le iniziali incise sulla visiera ma non emetto fiato. Non ho alcuna intenzione di interrompere quello che verrà.
«Eravamo un trio io, lui e Aurora. Almeno, lo eravamo fino a quattro anni fa, quando ci ha lasciati. O dovrei dire, quando è stato costretto a lasciarmi perché un bastardo lo ha ammazzato.»
Strizzo gli occhi, forzando la presa sulla visiera. Rilascio un respiro tremolante. Non mi volto ancora.
«Ci siamo conosciuti alle elementari e abbiamo fatto tutto insieme da allora. Aurora era più piccola ma non c'è voluto tanto prima di entrar a far parte del nostro duo. Siamo cresciuti insieme, come fratelli» spiega. «Avevamo ventuno anni, Rori diciotto. Era l'estate della nostra vita, quella che aspettavamo dall'inizio dell'università. Era l'ultima estate libera di Aurora, prima che iniziasse lei l'università e... volevamo godercela. L'abbiamo fatto, sai? Ci siamo divertiti un sacco tra spiagge, locali e feste. Poi il disastro» deglutisce, battendo piano il piede sul pavimento. «Stavamo tornando a Boston da New York, era sera ma c'era bel tempo e niente faceva pensare a qualche disastro. Io stavo sui sedili posteriori perché Rori si era addormentata mentre Darren guidava.»
Pronunciare il suo nome ad alta voce gli procura dolore, riesco a percepirlo e mi fa soffrire.
«C'era un po' di traffico ma è la norma da noi. Darren aveva preferito partire di sera così da non doversi svegliare troppo presto il giorno dopo e ci andava bene, non vedevamo l'ora di arrivare a casa e fiondarci a letto. Stavamo ridendo a proposito di un nostro amico quando improvvisamente un bastardo ci è venuto addosso facendoci schiantare contro la barriera jersey che ci separava dall'altra corsia. L'impatto è stato talmente forte da far sbalzare Darren fuori dall'auto. Noi ce la siamo cavata con un paio di cose rotte, nulla di grave, Darren... lui è morto sbattendo la testa contro la barriera fatta in cemento armato.»
Sopprimo un singhiozzo più forte degli altri, ma rimango immobile. Povero Darren... stava solo tornando a casa insieme ad un paio di amici, non stava facendo nulla di male. Non oso immaginare come abbiano potuto prendere la notizia i famigliari. Il dolore li avrà scossi da cima a fondo togliendo loro l'aria dai polmoni. Credo sia la stessa cosa successa a Devon e Aurora.
«Da quel momento sono cambiato, mi sono trasformato in cemento armato, lo stesso che aveva ammazzato il mio migliore amico. Ho smesso di parlare con i miei, con Aurora... sono tornato a New York e ho iniziato a lavorare nella palestra in cui mi allenavo. Rori mi ha contattato dopo un anno, informandomi che le cose con le mie sorelle andavano sempre peggio. Era lei che mi raccontava di cosa accadeva a Boston ma io non ci mettevo piede nemmeno morto. Poi, la prima persona che incontro quando mi passa per la testa di ritornare, piuttosto che mia madre, è una fiorista che mi guarda male e ha la lingua più affilata di sempre. Bella da mozzare il fiato, ma comunque una piccola vipera.»
Mi trascino il cappello al petto, ignorando i battiti impazziti del mio cuore. Sentirlo raccontare di come ha perso il suo migliore amico mi fa stare male e la voglia di girarmi e stringerlo a me è pari a mille. Nonostante ciò, il mio cervello continua a mettermi in guardia. Si sta finalmente aprendo con me, sta facendo tutto quello che desideravo, ma.
C'è sempre un 'ma'.
Cosa mi assicura che le cose tra di noi cambieranno? Cosa mi assicura che lui voglia cambiarle? Forse è qui per spiegarmi il perché del suo comportamento, ma di certo non per cambiarlo... non lo so, è tutto confuso al momento, io lo sono.
«Ho iniziato a pensare che mi sarei dedicato solo a rapporti occasionali perché... era già difficile pensare agli scenari peggiori per la mia famiglia, ma cosa avrei fatto se la stessa cosa di Darren fosse successa alla donna che ho iniziato ad amare? Meglio fare solo sesso ogni tanto, piuttosto che affezionarmi e vivere con il pensiero costante di poter perdere qualcun altro.»
Beh, come biasimarlo dopo la terribile esperienza che ha vissuto? Il suo ragionamento fila, certo, ma non è abbastanza. La vita è colma di imprevisti, di incidenti dietro l'angolo, però c'è anche tanto altro... solo che lui non lo sa, perché si sta accontentando di sopravvivere. Tutto qui.
«Mi dispiace di averti ferito. Di averti lasciata andare. Soprattutto durante la Vigilia di Natale, quando sapevo perfettamente quanto fosse importante per te quel momento. Io... è complicato, ma ci tengo a te. Tanto. Una persona che amo tanto mi ha detto che non posso impedire che le cose accadano, mi ha detto che devo smettere di sopravvivere e devo imparare a vivere perché sapevo quanto bella fosse la vita prima dell'incidente, conoscevo il suo sapore e me la godevo. Credo che abbia ragione sai? Non ho fatto altro che ferire chi mi stava attorno. Compresa te. E mi dispiace davvero fottutamente tanto di averti trascinata in questo casino, ma ormai ci sei e se tu... se tu sei disposta a darmi una chance, io sono pronto a prendermela. La meritiamo un po' di serenità, no?»
Il tono speranzoso con cui mi parla mi dilania perché sono terrorizzata dalle sue parole. Mi ha appena dichiarato di volerci provare e so che dovrei essere al settimo cielo ma la paura mi sta soffocando. Adesso dice così, ma domani? Che succederà se fra una settimana cambierà idea e mi spezzerà il cuore? Non voglio soffrire di nuovo a causa sua, mi sento stanca. «Penso... penso che tu debba andare adesso» gli rivolgo parola dopo una settimana, lo sguardo fisso sulla parete.
E Devon mi ascolta senza esitare: si alza e mi lascia sola. 

𝐀𝐕𝐄𝐑𝐘 [𝐁𝐨𝐬𝐭𝐨𝐧 𝐋𝐞𝐠𝐚𝐜𝐲 𝐒𝐞𝐫𝐢𝐞𝐬 𝐕𝐨𝐥.𝟏]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora