37.

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«Furia, vieni qui, amore» apro le braccia accovacciandomi sul pavimento. La grande felpa che indosso, rubata al proprietario dell'appartamento, sfiora le mattonelle gelide. È larga, ma mi serviva qualcosa di comodo da indossare.
Il furetto si alza su due zampe, a giudicare da come mi guarda sembrerebbe che mi stia rivolgendo un sorriso entusiasta. Cielo, lo amo. Sfreccia nella mia direzione salendomi addosso, si arrampica sulla schiena e si accoccola attorno alla nuca. Pare piacergli. Punzecchio il suo fianco facendolo squittire e attendo che si sposti. Furia si infila dentro la felpa, zampettando sul mio corpo e facendomi il solletico. Ridacchio quando lo vedo sbucare dal colletto e accoccolarsi sul mio petto. Poggio una mano sul suo corpicino e gli accarezzo la testolina pelosa. «Da un bacino alla mamma» stringo le labbra in attesa.
Furia sfrega la testa sotto al mio mento, lo stringo più a me e mi sposto sul divano. «Se ti addormenti anche tu mi lasci sola come ha fatto papà, non ci provare» gli punto un dito contro.
Mi ignora completamente e chiude i piccoli occhi neri, appisolandosi sul mio collo.
«Non pensavo di avere figli.»
Inclino il capo all'indietro trovando Devon sul penultimo scalino della scala. «Rassegnati, che ti piaccia o meno siamo diventati genitori.»
«Potevi svegliarmi» sbadiglia, incamminandosi verso la cucina.
«Nessun problema, scherzavo» rispondo, facendo attenzione a spostare Furia sul morbido cuscino. Afferro i miei vestiti – lasciati in precedenza sul divano – e mi avvio in direzione del bagno. «Mi cambio e mi riporti a casa?»
«Sono a pezzi. Puoi rimanere se vuoi. Ti accompagno domani mattina presto però, ho il turno alle nove» dice intento a prepararsi una tazza di latte e cereali.
«Sì, va bene» annuisco mordicchiando il labbro inferiore. «Mi stavo chiedendo...» inizio, sapendo che forse me ne pentirò. «Giovedì non lavori, giusto?»
Devon alza il viso, mollando il cucchiaio dentro la tazza colma di latte. «No. Perché?»
«La ragazza che lavora part-time al Velia's, Winter, mi ha parlato dell'Airbrush Boston, un posto che si occupa di robe artistiche, organizzano eventi e fanno body painting. Hanno aperto un locale non molto lontano da qui. Io non l'ho mai fatto e sono troppo curiosa. Mi fai compagnia?» sbatto le ciglia e sorrido a trentadue denti, nella speranza di risultare convincente.
«Fammi capire: vuoi che ti porti a fare body painting?» chiede.
«Beh... sì. Insomma, tu non devi farlo per forza ma non ho uno straccio di amica della mia età e non volevo andare sola. Per favore, per favore» mi avvicino.
«Cosa ottengo in cambio?» domanda, avvicinando il viso al mio. Piccolo manipolatore che non è altro.
«Non lo so, sesso con tanta pittura in mezzo? Sarà incasinato ma divertente!»
Devon rilascia un profondo sospiro.
Ci siamo, lo sto convincendo. Ne sono certa.
«E adesso?» arcua un sopracciglio.
«Sesso sul bancone?» lo guardo, nella speranza di avercela fatta davvero stavolta. Quest'oggi i suoi occhi sono di un verde chiarissimo, quasi trasparente. Sfioro il suo mento con l'indice, graffiandolo piano, e avvicino le labbra alle sue, rubandogli un bacio che mi spetta di diritto. «Allora?» mi scosto in attesa della sua risposta.
«Me ne pentirò, lo so già-»
Non lo lascio finire, mi fiondo su di lui attaccando la bocca alla sua e iniziando ciò che gli ho appena proposto.

Mi guardo intorno estasiata. È un posto sensazionale. Pensavo si trattasse di una specie di grande magazzino ma in realtà ci sono delle stanze vuote dalle ampie pareti bianche che, nel caso il corpo non fosse abbastanza, si possono dipingere come più desidera il cliente. Sul retro, c'è un giardino spazioso che ospita i più piccoli, dove gli artisti si occupano di dipingere sul volto o sulle braccia dei bambini mentre i genitori si godono un drink al bar. Come ho già detto... sensazionale.
«Ho intenzione di riempirti di pittura» fremo sul posto.
«È la quattro, muoviti» Devon mi trascina verso la stanza che ho prenotato in mattinata.
Quando entriamo Devon si chiude la porta alle spalle mentre io mi guardo in giro. Ci sono delle tute piegate minuziosamente su uno scaffale, accanto ad esso un carrello dove pennelli e barattoli di vernice sono sistemati.
Visto che la vernice va via con l'acqua, non è necessario indossare le tute. Tuttavia, sono curiosa perciò, mi avvicino allo scaffale e prendo la prima tuta. «Ecco la tua» gliela cedo. Poi prendo la mia e la indosso alla svelta. «Sembro un'imbianchina» mi ammiro allo specchio attaccata alla parete sinistra. Qui si possono scattare foto per poi metterle sui social e taggare l'Airbrush Boston. È una bella idea per guadagnare visibilità.
«Io sembro un idiota» borbotta il ghiacciolo.
«Sembri?» arcuo un sopracciglio, prendendolo in giro.
Devon assottiglia gli occhi riducendoli a due fessure, poi si avvicina al carrello e apre il primo barattolo di vernice. Ha optato per il rosso.
«Che vuoi fare con quello?» indietreggio.
«Togli la tuta» mi punta un pennello contro. «Non ti serve.»
«Toglila tu per primo» incrocio le braccia al petto in segno di sfida. Non esiste che io mi libera della mia protezione quando lui è al sicuro e con un'arma in mano.
«Mi hai appena insultato. Togliti la tuta. Adesso» si avvicina dopo aver intinto il pennello nella vernice rossa.
Deglutisco e poso la mano sulla zip, la faccio scendere fino all'altezza della vita e poi mi disfo del resto con l'aiuto dei piedi. Quando la tuta è solo un ammasso bianco sul pavimento, Devon copia le mie azioni e ben presto anche la sua fa compagnia alla mia.
«Devon» indietreggio di un altro passo. Non doveva andare così, ugh. Dovevo essere io quella a minacciarlo e a farlo pregare.
Il moro si avvicina e senza dire una parola pressa il pennello sulla mia fronte, facendolo scendere sul naso, le labbra e il mento fino al collo.
Spalanco la bocca ormai tinta come un quarto della mia faccia. «Non ci credo.»
«Hai detto che sono un idiota, no? Volevo solo provartelo» ghigna.
Inizio a preferirlo quando l'unico movimento delle sue labbra era talmente impercettibile da non farci nemmeno caso. Non rispondo alla sua provocazione, piuttosto mi avvicino al carrello e tiro fuori la vernice blu e quella verde. Voglio solo che la tinta si abbini ai suoi occhi, ho un certo stile io. «Questa è guerra» intingo il pennello nel barattolo e grondante di blu mi fiondo sul moro che non perde tempo a bloccarmi. Tiro fuori il secondo pennello che avevo nascosto dietro alla schiena, anch'esso blu, e lo strofino su metà del suo viso, fino ad arrivare alla spalla. Rido vittoriosa e mi scosto. «Ah!»
Devon non mi lascia esultare, mi trascina fino al carrello e con mio enorme stupore, piuttosto che utilizzare il pennello, intinge la sua stessa mano nella vernice verde.
«Devon!» strillo quando mi tiene ferma con un braccio.
Usa la mano colma di verde sulla mia maglia, pressando il palmo sul mio seno sinistro.
«Ehi!»
Il moro emette una vera e propria risata mentre mi trascina sul pavimento e compie la stessa azione sul seno destro. «Sono un artista» ammira compiaciuto le sue impronte.
«Sei ingiusto» sbuffo scalciando sotto al suo corpo. Lui è troppo impegnato a gongolare, perciò, allungo una mano verso un barattolo e lo apro malamente. Un po' di vernice gialla cade sul pavimento ma non importa. Bagno la mano con quanto più colore mi è possibile e la ondeggio. È troppo tardi quando si accorge di quello che ho appena fatto, grandi schizzi gialli gli ricoprono la maglietta nera, finendo persino sul suo mento. «Beccati questa!»
«Ah, sì? È così che la metti?» mi guarda, sistemandosi meglio sui miei fianchi.
Apprezzo che, nonostante si trovi su di me, bilanci il suo peso per non schiacciarmi. Il pensiero svanisce come una nuvola di fumo quando Devon afferra l'intero barattolo di vernice arancione e senza dire altro ne versa almeno la metà su tutto il mio corpo. «Devon!» strillo agitandomi sotto di lui.
Lui se la ride ed è allora che agisco: il pavimento è scivoloso; quindi, sguscio a fatica dalla sua presa e mi getto a capofitto sulla sua schiena, sporcandolo di arancione. «Sta fermo!» sbuffo allungando alla cieca la mano verso uno dei barattoli. «Ecco qua» spiaccico la mano sul suo viso. Devon mugugna e mi tira in avanti. Finisco sul pavimento per l'ennesima volta ma lui mi tira su, trascinandomi sulle cosce multicolore.
«Non è stato molto carino quello che hai fatto» ringhia.
«Ma davvero?» ansimo a causa dello sforzo. Il mio petto si abbassa e solleva, toccando il suo ad ogni movimento.
«Ti farai perdonare, non temere.»
Non ho il tempo di domandargli cosa diamine intende dire, Devon mi versa dritto in testa il barattolo di vernice rosa facendomi urlare e contorcere su di lui. Riesco a liberare una mano, così scaccio via il barattolo e mi spingo in avanti in modo da fargli perdere l'equilibro e farlo finire al tappeto. «L'hai voluto tu!» afferro un altro barattolo e glielo svuoto addosso. Mmh, blu. Gli dona.
«Avery!» gesticola, cercando di ripararsi dalla cascata di colore.
Rilascio una risata soddisfatta e mi chino sulla sua bocca. «Sto per farti assaggiare il dolore sapore della vendetta» sospiro prima di baciarlo con tutte me stessa.
Devon rilascia un gemito e stringe la presa sulle mie cosce. Ricambia il bacio con forza, giocando con la mia lingua e martoriando le mie labbra con piccoli morsi. Capovolge le nostre posizioni, sovrastandomi con la sua figura, riporta la bocca sulla mia e spinge i fianchi sui miei. Sibilo, stringendo le gambe attorno alla sua vita e le braccia attorno al suo collo.
«Ehm... ragazzi. Detesto interrompere il divertimento ma vi ricordo che la stanza è video sorvegliata» una voce metallizzata si espande per la stanza.
Devon si scosta, aiutandomi a mettermi seduta. In questo momento sono grata alla vernice che mi ricopre il viso, camuffa l'enorme imbarazzo che sto provando.
«Grazie!» squittisco mentre mi avvicino al moro. Affondo il viso nel suo collo e premo le labbra sulla pelle colorata. «Penso che sia ora di andare.»
Devon china il viso così da potermi guardare negli occhi. «Lo penso anche io.»
Mi alzo, ridacchiando quando noto il disastro che abbiamo combinato. «Aspetta, devo fare una foto.»
Prendo uno degli asciugamani disposti accanto alle tute e pulisco le mani alla bell'e meglio. Frugo nella borsa alla ricerca del cellulare e quando lo trovo mi pianto davanti allo specchio. Scatto un paio di foto e mi volto in direzione del moro. «Vieni, voglio fare una foto da mostrare a Furia.»
«No, credo che si farà bastare le tue» ribatte intento a pulirsi il viso.
«Per favore, per favore» lo supplico.
Devon afferra le nostre tute da terra e sospira sonoramente. «Lo sai, sei peggio di Alec quando fa i capricci.»
«Grazie!» sorrido raggiante.
Devon si piazza alle mie spalle, un'espressione annoiata sul volto. Me la faccio andare bene, senza dubbio è meglio che non averne nemmeno una da mostrare a nostro figlio adottivo. Che situazione stramba si è venuta a creare: non ho una relazione con il tipo alle mie spalle ma siamo genitori di un pelosetto a quattro zampe con il muso più carino dell'universo.
«Indossa la tuta, non faremo un disastro in macchina.»
«Hai ragione» annuisco. «Avremmo dovuto portare un cambio» rifletto a voce alta mentre inizio a vestirmi.
Usciamo dalla stanza ricoperti di vernice sul viso e capelli e con indosso la tuta che, per fortuna, copre la maggior parte del corpo.
«Grazie di avermi accompagnato, è stato divertente» sorrido a Devon prima di dirigermi verso l'uscita. L'espressione che mi rivolge è indecifrabile, ma ho imparato a non chiedere. Non mi darebbe comunque alcuna spiegazione, perciò, mi godo la giornata e custodisco i ricordi con il sorriso. 

𝐀𝐕𝐄𝐑𝐘 [𝐁𝐨𝐬𝐭𝐨𝐧 𝐋𝐞𝐠𝐚𝐜𝐲 𝐒𝐞𝐫𝐢𝐞𝐬 𝐕𝐨𝐥.𝟏]Where stories live. Discover now