28.

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«Devon» mormoro aprendo la porta ancora scioccata dalla sua presenza. «Che... che ci fai qui?»
Entra in casa, superandomi.
Chiudo la porta con estrema lentezza e mi volto a guardarlo. Sembra infastidito, parecchio infastidito. «L'emergenza era quella?» indica il cartone di pizza sul bancone.
Abbasso lo sguardo, imbarazzata dal doverne parlare con lui e soprattutto dal dovermi scusare. «Ti devo delle scuse, Devon.»
Questo lo coglie alla sprovvista e si vede. Aggrotta la fronte, confuso da dove le mie parole andranno a parare.
«Non conosco le vicende che sono accadute prima della mia presenza a Boston-»
Lui apre la bocca pronto ad interrompermi, ma non glielo permetto. «Lo so che non sono affari miei e stavo per dirlo» accenno un brevissimo sorriso. «Ti chiedo scusa perché se non sei vicino alla tua famiglia avrai le tue ragioni e lo capisco, credimi, lo capisco davvero... perciò, sì, cercare di farti passare del tempo con loro quando chiaramente non è ciò che desideri fare è stato davvero scorretto da parte mia.»
«Continuo a non capire dove vuoi arrivare» sibila.
«Sto dicendo che quella è la tua famiglia, non la mia e non avrei dovuto interferire. Oggi ho realizzato davvero cosa ho fatto e me ne dispiaccio. Per quanto possiamo conoscerci poco e tu possa essere così fastidioso, non sei male e voglio continuare assolutamente a venire a letto con te, lo preciso perché è molto importante» cerco di stemperare la situazione con una battuta.
«Che dolce» esibisce un sorriso fintissimo. «Ma davvero non comprendo perché tu te ne sia andata.»
«Ci sono cose private nella vostra famiglia e...» Dio, non posso credere di stargli sul serio per rivelare il motivo per cui me ne sono andata. «lo so che mi vogliono bene, Devon, lo vedo e i tuoi genitori... sono magnifici, però- ugh, perché è così complicato!» sbuffo. «Mi sono sentita un'intrusa. Ecco. L'ho detto» allargo le braccia prima di lasciarle ricadere con un tonfo ai lati del corpo.
«Avery, c'è più probabilità che sia io l'intruso che tu» sospira scuotendo il capo.
«No, ed è quello che tu non capisci» mi avvicino. «Puoi pensare tutte le cose che vuoi, anche le peggiori, ma non sarai mai un intruso per quelle persone perché ti amano nonostante tutto.»
«Tu non sai niente. Cosa accidenti ti fa credere che sia così?!» ringhia esasperato.
Deglutisco, il cuore colmo d'emozione. Sono stata a letto con questo ragazzo una sola volta e continuo a ripetere che non voglio relazioni perché voglio focalizzarmi sul lavoro, eppure, ogni volta che lo guardo mi sembra di rincitrullirmi. Non so affatto dove mi trascinerà questa cosa tra di noi. Diamine, non so nemmeno se esiste o esisterà mai un noi, ma voglio fargli capire che non tutte le persone sono marce e io ne ho avuto la prova nove mesi fa, quando sua madre mi ha accolta nel suo negozio. «Non ho bisogno di sapere niente, mi basta vedere il modo in cui ti guardano tutti. Quelle persone ti conoscono persino da prima che nascessi, Devon, non c'è niente al mondo che li farebbe allontanare da te se non tu stesso» lo guardo dritto negli occhi. «Non voglio importi nulla, non voglio pressarti in alcun modo, quindi, capisco se vuoi mantenere i nostri incontri solo a quando... hai capito. Non te ne farò affatto una colpa perché capisco che non sono facili le cose che ti ho detto. Ti chiedo solo il favore di pensarci dieci volte prima di allontanarti da una cosa tanto bella. Sei fortunato.»
«Perché?» è l'unica parola che fuoriesce dalle sue labbra dopo il mio discorso interminabile.
«Sii più specifico, ho detto tante cose» accenno una risata.
«Perché sono fortunato? Lo hai detto come se fossi l'unico ad esserlo.»
Non credevo che avremmo avuto una conversazione così profonda il giorno del Ringraziamento. «Perché hai tante persone intorno a te che ci tengono e ti vogliono bene» rispondo solo alla prima parte della sua frase e questo non sembra sfuggirgli.
«Tu no?» domanda.
«Ora sì, ma non è semplice. Mi sto ancora abituando» rispondo criptica.
Devon solleva un sopracciglio, in attesa che argomenti meglio le mie parole.
«Diciamo solo che i miei genitori non sono il tipo da baci e abbracci, okay?»
«Va bene» acconsente brevemente.
Colmo la distanza che ci separa afferrando il tessuto del suo maglioncino e premo le labbra sulle sue. Le sue mani trovano posto sulla mia schiena, avvolgendola e trascinandomi di conseguenza contro il suo corpo. «Ti ringrazio in anticipo per gli orgasmi che mi donerai» mormoro sulla sua bocca.
Una risatina incredula sfugge dalle sue labbra. Mi fa voltare e l'attimo successivo vengo spintonata sul divano. «Ti ringrazio» sibila prima di rubarmi un bacio. Attendo che continui la sua frase, curiosa di sapere per cosa lo fa, ma le parole non arrivano, piuttosto, mi vengono riservati altri baci. E io non mi lamento affatto.
Ben presto i nostri indumenti sono un ricordo lontano; ci siamo solo noi, corpo a corpo. Finisco sulle sue gambe, stringendogli i fianchi. Lascio che la sua lingua esplori il mio collo, che scivoli sulle clavicole, fino ad arrivare ai miei seni. Sospiro, il petto che si solleva e si abbassa frenetico ogni qualvolta stringe la mia pelle con le mani. La sua bocca non mi lascia nemmeno quando si allunga in direzione dei pantaloni e ne tira fuori un profilattico. «Rimani su, testiamo questa resistenza» mormora.
Rilascio una risata senza fiato e mi abbasso sulla sua lunghezza, scivolando fino alla base. È... diverso. Decisamente. «Ho mentito quella notte. Non l'ho mai fatto così» lo guardo negli occhi prima di ripetere il movimento.
Un lampo di sorpresa compare nei suoi occhi. «Sono il primo quindi» annuisce, un'espressione strana sul volto.
«Tu» mi fermo, sedendomi di botto. Questo gli causa un gemito più profondo degli altri. «Sei... sei compiaciuto, Bradshaw?»
Le sue mani mi stringono i fianchi invitandomi a proseguire. Li ondeggio piano, cercando un ritmo che soddisfi entrambi. Quando lo trovo accelero i movimenti, scontrandomi ripetutamente con la pelle delle sue cosce. «Devon» ansimo accanto al suo orecchio.
Presto le sue gambe si sollevano, venendo incontro alle mie spinte. Sento le sue braccia stringere la presa attorno alla mia schiena e faccio lo stesso, piantando le unghie sulle sue spalle. Cerca la mia bocca e gliela do con tutta me stessa, mi beo dei nostri baci come fossero l'unica cosa in grado di tenermi in vita. Un ammasso di ansimi e rumori di pelli che si scontrano riempie la stanza, gemo accasciandomi su di lui quando l'orgasmo mi travolge trascinandomi in una spirale di piacere infinito. Devon si muove sotto di me, venendo poco dopo. Sono senza parole.
Gioco pigramente con una ciocca corta dei suoi capelli respirando il profumo della nostra unione. Lo sento sfiorare con i polpastrelli la mia spina dorsale, il gesto mi fa rizzare i peli sulla pelle. Mi rendo conto che la nostra relazione non dovrebbe prevedere altro che il sesso ma non voglio separarmi ancora, sono rilassata e insonnolita.
Il mio cellulare vibra sul tavolino. «Mia madre ti sta chiamando» dice.
«Già» sospiro sul suo collo. Non mi sfugge il fatto che lui sia... beh, ancora dentro di me e voglio prolungare il momento ancora per un po'.
«Non rispondi?»
«Non saprei cosa dirle. Ho esaurito le scuse.»
Devon scaccia via le ciocche che ricadono sulla mia spalla e che di conseguenza coprono il mio viso. Quando i suoi occhi trovano i miei non posso far a meno di sorridere. «Ciao.»
Mi fissa attento. «Penso che tu debba solo dirle la verità.»
«Non lo so» sposto lo sguardo sul suo bicipite definito. «Ci resterà male se le dico una cosa del genere. Penserà di aver fatto qualcosa di sbagliato, sto imparando a conoscerla.»
«Le passerà.»
«Lei... è sempre stata così? Voglio dire, tanto attaccata, apprensiva...?»
Devon annuisce. «Sì. Non voleva commettere gli stessi sbagli che Lucille aveva fatto con lei.»
«Non l'hai mai chiamata nonna?» chiedo. Avrò sentito nominare questa donna un paio di volte al massimo; nonostante io frequentassi parecchi eventi con i miei, ho cominciato solo dopo i sedici e a essere onesta non avevo proprio il pensiero di impicciarmi dei loro affari.
«Mai. Gli unici nonni che ho sono Howard, Colette, Grace e Greg. E ovviamente nonno Devon.»
«Oh» sollevo il capo sorpresa di questa nuova rivelazione. «Che bello, ti chiami come tuo nonno.»
«Lo ha deciso mamma. Era un bravo uomo.»
Lo osservo in silenzio per un paio di secondi. Più lo guardo, più noto le somiglianze con i suoi genitori.
«Che c'è?»
«Niente, è solo che vedo tante somiglianze con Danny e Vivienne. Hai gli stessi occhi di tuo padre, il naso di tua madre... anche le tue sorelle. Hanno entrambe lo stesso nasino delicato di Vivi ma solo tu hai le sue labbra piene.»
«E tu? A chi assomigli dei tuoi?» chiede.
Ammetto che la sua domanda mi sorprende parecchio, credo questa sia forse la primissima domanda personale che mi fa direttamente, se non la prima in assoluto. Al momento non ricordo altre occasioni. «Ho il piacere di aver preso il tratto dominante da mio padre.»
«Spagnolo?»
«In realtà un mix. Mio padre ha radici spagnole e mia madre è originaria dell'Indonesia.»
«Si spiega tutto» osserva la curva del mio naso e il profilo delle labbra.
«Ehi, se non sei impegnato ti fermi per pranzo? Ho preso una pizza formato famiglia perché pensavo che con gli avanzi ci avrei fatto colazione il giorno dopo ma mi sono resa conto che è davvero tanta» sbuffo, alzandomi di malavoglia dal suo corpo. Indosso gli slip e mi fiondo per le scale così da poter recuperare un maglione e un paio di leggings.
«Ne scaldo qualche pezzo» risponde.
Lo spio dal soppalco trattenendo un sorriso e lo vedo prima indossare i boxer e poi i pantaloni, nient'altro.
Beh, è un Ringraziamento diverso dagli altri ma mi piace... è originale. 

𝐀𝐕𝐄𝐑𝐘 [𝐁𝐨𝐬𝐭𝐨𝐧 𝐋𝐞𝐠𝐚𝐜𝐲 𝐒𝐞𝐫𝐢𝐞𝐬 𝐕𝐨𝐥.𝟏]Where stories live. Discover now