38.

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Stiracchio le braccia mentre attendo che Vivienne chiuda. Oggi è il sedici dicembre, ciò significa che mancano nove giorni esatti al Natale, di conseguenza... siamo sommerse dagli ordini e la clientela. Per carità, sprizzo gioia da tutti i pori al pensiero che gli incassi fioriranno e così il mio portafogli, ma siamo davvero stanche. Vivienne ha persino dovuto chiedere una mano a Winter per cercare di smaltire un bel po' di clienti. Il Velia's non è piccolo, anzi, eppure, sembrava di soffocare oggi talmente tanta era la gente.
«Avery Miller.»
Gelo sul posto. Sgrano gli occhi e mi volto, scioccata da chi mi trovo davanti.
«Avery Miller, sempre la stessa. Forse con meno occhiaie» ghigna divertito.
«Ry?» mi guarda Vivienne. «Tutto a posto?»
Annuisco, non distogliendo lo sguardo dallo stronzo. «Harry Ford, sempre lo stesso. Forse con qualche capello bianco in più. Cos'è, troppo stress a lavoro?»
Harry stringe le labbra e si passa una mano tra i capelli. «Va alla grande.»
«Certo, tanto non sei tu a farlo» lo derido.
«E io che ero venuto a trovarti. È così che accogli gli amici, signorina?»
Sbuffo una risata amara. Ha reso misera la mia esistenza in reparto per mesi e adesso pensa di venire qui, dall'altro lato dell'oceano, a professarsi mio amico? Certo, come no. «Noi non siamo mai stati amici, perciò, finiscila. Cosa vuoi?»
Il rumore di uno sportello che viene sbattuto mi arriva alle orecchie, ma non vi presto attenzione. Sono focalizzata sul ragazzo che mi sta di fronte. È un bel ragazzo, non c'è dubbio, però... è un guscio vuoto. O almeno, questa è l'impressione che ha sempre dato a tutti.
«Ehi, D» sorride Vivienne.
Distolgo l'attenzione dal riccio, accorgendomi solo adesso che Devon Bradshaw si trova al suo fianco e lo sta esaminando. Indossa una tuta nera, i capelli sono scompigliati dal leggero vento e il viso è arrossato. Credo abbia appena finito di lavorare. Da che ricordi non mi ha scritto, dunque, non è me che cerca.
«Sei pronta?» chiede alla madre.
«Sì. Stavamo andando. Giusto, Avery?» la donna mi osserva curiosa.
«In effetti» prende parola Harry. «Sono qui per chiederti se ti andasse di prendere un caffè prima di tornare a casa. Ci aggiorniamo.»
Stringo le braccia al petto. «Vuoi prendere un caffè. Tu? Con me?»
Harry annuisce, infilando le mani dentro le tasche del cappotto super costoso che indossa. «Certo. Resto a Boston per un altro paio di giorni ma ho delle cose da sbrigare. Ho pensato che sarebbe stato divertente rivederci, no?»
«Dammi una sola ragione per cui dovrei prendere un caffè con te dopo quello che ho vissuto.»
Mi rendo conto che non dovrei, ma mi sorprende davvero la sua presenza qui, non so nemmeno come sia riuscito a beccarmi.
«Non ti darò il tormento e... sono qui per parlare con mio padre a proposito del lavoro» dice. «Visto? Te ne ho date persino due» scherza.
«Avery, se questo tipo ti infastidisce-»
«No» interrompo Vivienne. «Va tutto bene» la rassicuro prima di rivolgermi al riccio. «Prendiamo un caffè. Hai mezz'ora. Poi sparisci. Intesi?»
«Sicuro, capo.»
«Ti tengo aggiornata, non preoccuparti» sorrido a Vivi. «Cenate insieme?» chiedo curiosa, non potendone fare a meno. Sono sempre al settimo cielo quando Devon sta accanto a sua madre.
«Sì. Ci sono le gemelle a casa, perciò... ho pensato di chiedere a Devon di unirsi a noi» spiega Vivienne. Sta cercando di contenere l'entusiasmo ed è adorabile.
Rivolgo un sorriso a trentadue denti a entrambi e stringo la mano di Vivienne. «Bene. Divertitevi!» guardo Devon, nella speranza che capisca di doversi comportare bene.
Lui mi rivolge un'occhiata, poi fissa Harry con sguardo torvo. «Stasera. Alle nove e mezza» mi ricorda.
I miei muscoli invocano pietà al solo pensiero, ma allenarmi significa anche che poi passeremo da lui e io potrò vedere Furia. Non vedo l'ora! «Alle nove e mezza» annuisco. «Andiamo, Harry, non ho tutto il giorno» sospiro.
Il riccio mi affianca mentre ci allontaniamo dal Velia's. Mi rivolge uno sguardo strano e poi torna a fissare la strada.
«Che c'è?» sbuffo.
«Quel tipo... mi ha ucciso con lo sguardo» dice.
«Peccato non ci sia riuscito del tutto, eh?»
«Santo cielo, Miller, pensavo che lasciare Oxford ti avrebbe addolcito ma sembri la stessa vipera» borbotta.
Apro la porta del primo bar che incontriamo – il Canyon's – e alzo gli occhi al cielo. Trovo un tavolo libero accanto alla finestra e prendo posto. «Allora forse non avresti dovuto invitarmi a prendere un caffè.»
Harry si accomoda di fronte a me. «Sono curioso. La tua chiamata mi ha sorpreso quella notte.»
«Si trattava di un'emergenza e tuo padre è stato impeccabile come al solito.»
«Già» rilascia un sospiro e, nel momento in cui un cameriere si avvicina a noi, ordine un ginseng e un Earl Grey.
Lo guardo basita. «Come facevi...»
«Eri ossessionata, ho presupposto che fosse ancora così e non mi sono sbagliato» liquida la cosa in fretta.
«Quindi, sei qui per dirmi che presto lavorerai a Boston e tornerai ad essere il mio incubo?»
«Nah, l'America non fa per me. E il caffè... no, amo Londra ed è lì che morirò.»
«Che drastico» mormoro.
«Hai vissuto in Inghilterra ma scorre sangue americano nelle tue vene, non puoi capire.»
«Sì, come ti pare» sospiro. «Vuoi dirmi cosa intendevi prima?» incrocio le braccia sopra al tavolo, in attesa di ottenere qualche risposta.
Il cameriere torna con i nostri ordini, Harry gli cede una banconota da venti e gli dice di potersi tenere il resto. Il ragazzo lo ringrazia e se la squaglia, in caso di ripensamenti. Harry non ne avrebbe avuti, venti dollari sono spiccioli per lui.
Prendo un sorso di caffè, mugolando per quanto è buono.
«Domani incontro mio padre. Lo informo che lascio chirurgia.»
Il ginseng mi va di traverso, facendomi soffocare. Tossisco un paio di volte, riuscendo a riprendermi dopo qualche minuto. «Cosa?!» gracchio.
«Sappi che lo dirò solo una volta e se dovessero chiedermelo negherò fino allo sfinimento» mi punta un dito contro prima di afferrare il cucchiaino.
Resto in silenzio, è roba grossa quella che ha detto e non ho la minima intenzione di farmi scappare un'occasione così succosa dalle grinfie.
«Quando te la sei svignata nove mesi fa non avevamo idea che non ti avremmo più rivisto. Poi, tra una voce e l'altra, mio padre mi ha detto che ti sei trasferita qui.»
«Aspetta, quando lo hai saputo?» indago. Voglio capire da quanto i miei genitori sapevano di trovarmi qui.»
«Non lo so, due mesi, credo...» scuote il capo, come se l'informazione fosse irrilevante. «Ho riflettuto parecchio sulla tua scelta sai? Sulle cose che mi hai detto quel giorno. È vero, non so fare un prelievo e incarico gli altri di occuparsi delle mie mansioni. Questo perché io non voglio fare il medico» mormora l'ultima frase.
Dovrei fingermi sorpresa, sconvolta dalla sua rivelazione ma a quanto pare... non lo sono. Realizzo solo adesso che di fronte a me c'è seduto un ragazzo come tanti. Certo, viziato e parecchio fastidioso ma comunque solo un ragazzo come me, costretto dai genitori a fingersi qualcosa che non è.
Poso la tazza sul tavolo e rilascio un respiro profondo. «Non è facile, vero? Accettare che non si è tagliati per quel lavoro, per quella vita... accettare che andremo contro i nostri genitori.»
Harry mi guarda attentamente, forse per la prima volta da quando abbiamo iniziato a lavorare insieme. «Non lo è» conferma. «So già che mio padre impazzirà. Sono figlio unico, la sua eredità... è come se fosse un dovere quello di seguire le sue norme.»
«Sì» annuisco, comprensiva. «Però, Harry, permettimi di dirti che non è permesso a nessuno di vivere due volte. Questa non è la vita di tuo padre, è la tua. Spetta a te scegliere cosa fare, a nessun altro.»
Lui scuote piano il capo. «È solo che sono fottutamente spaventato, Avery. Non ho fatto altro che prepararmi a questo. Che diamine dovrei fare se non il medico?» mi guarda esasperato, come se fosse stufo di ripetere sempre la stessa cosa. Immagino che abbia avuto questa conversazione una marea di volte con sé stesso.
«Non lo so, Harry, a questa domanda puoi rispondere solo tu» faccio spallucce. «Se può consolarti, non avevo idea che fare la fiorista mi avrebbe reso così felice e soddisfatta della mia vita. Svignarmela, come dici tu, per Boston è stata la cosa migliore che potessi fare.»
«Mi stai indirettamente dicendo che dovrei trasferirmi qui?» arcua un sopracciglio.
«Per l'amor del cielo, no!» enfatizzo la negazione. «Trova la tua strada a Londra, Liverpool, dove ti pare, ma non qui.»
Harry sbuffa una risata e scuote il capo prima di prendere un altro sorso di tè.
Il mio cellulare squilla, segnando l'arrivo di un messaggio. Merda, ho dimenticato di avvisare Vivienne. «Dammi un attimo, devo rispondere.»
«Fa con comodo» torna al suo tè.
Apro il messaggio, realizzando che non si tratta di Vivienne ma di Devon.

Da DB: Dove sei, Avery?

A DB: Scusa!! Ho dimenticato di avvisare Vivi. Sto bene, promesso!

Poso il cellulare sul tavolo e finisco il ginseng.
«Domani ci parlo, è il primo passo. Poi... vedrò cosa farne della mia vita.»
Il primo sorriso spontaneo in sua presenza mi curva le labbra nello stesso istante in cui mi arriva un altro messaggio. «Mi sembra un'ottima partenza. Non demordere, o l'avrà vinta lui e ti ritroverai a fare un mestiere che non ti appartiene, mettendo a rischio anche la vita di tanta gente.»
Afferro il cellulare e apro il messaggio.

Da DB: Dove. Sei.

Alzo gli occhi al cielo e decido di rispondere in fretta. Lo avverto che sono al Canyon's ma che sto tornando a casa. Poi infilo il cellulare in borsa.
«Posso... posso chiamarti ogni tanto? Aggiornati su cosa sono diventato.»
«E cioè?» sbuffo una risata.
«Lo sai, se qualcuno di successo o un fallito povero» finisce il suo tè.
«Ah, Harry...» lascio in sospeso la frase. «Scrivimi per farmi sapere come è andata con tuo padre, da lì vedremo se sopporterò la tua presenza. Non è facile.»
«Ma piantala» bofonchia. «Siamo già amici del cuore.»
Inorridisco davanti alle sue parole. «Non dirlo mai più. Mette i brividi detto da te e rivolto a me. Detto ciò, devo tornare a casa. Ho una cena da preparare e una maratona di Lost da fare.»
Già, sono ossessionata dai misteri che coinvolgono gli aerei.
Harry ridacchia mentre mi alzo e attendo che faccia lo stesso. Ci avviamo all'uscita del locale. Davanti alla porta, infilo le mani nelle tasche del cappotto per tenerle al caldo e lo guardo. «Non sarà facile» ripeto. «Ma ce la farai. Ciao, stronzo» gli rivolgo un cenno.
«Ciao, dottoressa!»
Continuo a camminare, un sorriso si dipinge sulle mie labbra ma per fortuna non può vedermi. 

𝐀𝐕𝐄𝐑𝐘 [𝐁𝐨𝐬𝐭𝐨𝐧 𝐋𝐞𝐠𝐚𝐜𝐲 𝐒𝐞𝐫𝐢𝐞𝐬 𝐕𝐨𝐥.𝟏]Tahanan ng mga kuwento. Tumuklas ngayon