47.

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Quando Harry torna a casa mi trova davanti allo specchio del bagno. Ho indossato l'abito che mi ha portato – avrei urlato di brutto se fossi stata la solita Avery, visto quanto è bello – e calzato i tacchi. Il viso è privo di trucco, ma in compenso ho pettinato i capelli. Sto ancora fissando il mio riflesso quando Harry mi affianca e stringe un braccio attorno alla mia vita. «È andata male?»
Scuoto il capo.
Lui mi fissa confuso. «Non capisco... è andata bene?»
«Mi ha raccontato la verità e mi ha chiesto una chance» rivelo, non distogliendo l'attenzione dal mio sguardo riflesso.
«Beh? Allora perché non sei con lui, perché non stai sprizzando gioia da tutti pori? Era quello che desideravi, mi sembra» si gira nella mia direzione.
Rilascio un sospiro. «Possiamo non parlarne per ora? Hai detto che dovevamo uscire, no? Ecco, sono pronta» lo supero ed esco dal bagno per indossare il cappotto.
Harry borbotta qualcosa per conto suo ma non ribatte. So che devo averlo confuso più di quanto non lo fosse già con quello che ho appena detto ma la verità è che mi sento disorientata. Si è schiantato come un treno merci nella mia testa, bombardandomi di informazioni e poi... poi mi dice che vuole una chance, terrorizzandomi del tutto.
E lo so, so che è una follia averlo mandato via se consideriamo che le sue parole erano ciò che più desideravo, solo che... ho bisogno di un attimo per riprendermi e capire come muovermi. Mi ha ferita e non mi aspetto nemmeno che capisca il perché gli abbia chiesto di andarsene anche se, sotto sotto, ci spero almeno un po'. Lui mi ha lasciata andare, io, invece, gli ho chiesto di andarsene. Il rifiuto è un boccone amaro da digerire e mi rendo conto che questo potrà risultare infantile agli occhi di tutti. Voglio dire, Devon ti ha cacciata e quando ritorna lo ripaghi con la stessa moneta? Dovresti essere superiore! Lo so, dovrei davvero esserlo, ma fargli capire cosa ho provato quando mi ha rivolto quelle parole forse potrebbe servirgli a comprendere meglio il mio punto di vista. Non sono mai stata, non sono e mai sarò lo zerbino di nessuno. Adesso ho bisogno di cambiare aria, di capire come muovermi in questa nuova situazione. Mi sono innamorata di lui e questo sentimento non è cambiato affatto, eppure, nonostante il cuore mi urli di chiamarlo, la paura che possa farmi soffrire mi tiene piantata al suolo.
«Andiamo?»
Annuisco e lo seguo fuori casa. Non ho la più pallida idea di dove mi stia portando e a essere sincera se da un lato non mi importa minimamente, dall'altro sono dispiaciuta di essere una terribile compagnia. Camminiamo per un po'; credo siano trascorsi una decina di minuti da quando siamo partiti, ma a quanto pare siamo appena arrivati. Non ho fatto caso al nome del locale, però è molto carino. C'è parecchia gente ai tavoli e la musica dal vivo rende tutto più piacevole.
Un cameriere ci accoglie, Harry lo informa che abbiamo prenotato un tavolo e ben presto veniamo scortati al nostro posto. Harry ordina da bere e posa il menù sul tavolo per poi puntare gli occhi sulla sottoscritta.
«Che c'è?» arcuo un sopracciglio.
«Pensi di dirmi qual è il problema oppure vogliamo fingere fino a domani?» ribatte.
Poggio la schiena sulla sedia rilasciando l'ennesimo sospiro. «Ho paura.»
«Di cosa?»
«Ho il terrore che possa ferirmi di nuovo. Voglio dire, le cose che mi ha raccontato mi hanno aperto gli occhi e ho capito perché agiva in quel modo, ma... non lo so» mordicchio il labbro inferiore. «E se andasse male?»
Harry apre la confezione di grissini e ne addenta metà, la parte restante me la punto contro. «Prima di tutto raccontami in linea generale che vi siete detti.»
Non gli parlo dei fatti personali che hanno scosso la vita di Devon, mi limito a dirgli che una bruttissima esperienza ha cambiato il suo modo di vedere le cose e che non ha fatto altro che sopravvivere per tutto questo tempo. Gli racconto dei miei pensieri confusi e quando finisco, attendo pazientemente che mi risponda. «Vediamo se ho capito bene: hai pensato che lui dovesse iniziare finalmente a vivere e poi sei tu la prima a non farlo?»
Sbarro gli occhi, profondamente colpita da ciò che ha appena detto. Harry ha ragione... è terribilmente ipocrita da parte mia.
Devo trovarlo.
Devo parlargli e dirgli quello che sento.
Se non gli andranno bene le mie condizioni allora chiuderemo una volta per tutte, altrimenti... impareremo ad assaporare la vita insieme.
«So esattamente cosa stai pensando» sbuffa il mio nuovo presunto amico scrutandomi.
Fremo sul posto, non penso ci voglia un genio a capire quali sono i pensieri che al momento corrono frenetici nella mia testa. Il fatto è che adesso ho realizzato sul serio il significato delle parole di Devon, delle mie. Ho paura, è vero, ma vivere vuol dire anche rischiare e io devo essere pronta a ogni genere di eventualità. «Lo so che mi detesterai ma... volevi essere mio amico, no? Se mi lasci andare, siamo pari. Dimentico quello che è accaduto prima di Boston e tu puoi candidarti come nuovo migliore amico» accenno un sorriso speranzoso. So di averlo fregato, non mi terrebbe mai qui sapendo dove ho bisogno di andare adesso. Per non parlare di come mi sono giocata bene la carta del migliore amico. È fatta. Mi serve solo che dica che posso andare, lasciarlo da solo la notte di Capodanno fa già abbastanza schifo, non mi piacerebbe andarmene sapendo che ce l'ha con me.
Harry alza gli occhi al cielo. «Ho segnato le tue parole qui dentro, non le dimenticherò mai, sai?» si picchietta la tempia destra.
Mi sono già alzata dalla sedia quando riprende parola.
«Puoi andare, ma ti prego, chiamami domani e dimmi che almeno uno dei due ha scopato» sgranocchia un altro grissino.
Gli rivolgo un ampio sorriso e indosso il cappotto. «Contaci!» afferro la borsa e mi fiondo fuori dal locale. Fuori, pesco il cellulare dalla tasca del cappotto e avvio la chiamata.
«Pronto, Ry? Tutto okay?»
«Sì, ciao, Tom. Scusa il disturbo ma ho urgente bisogno di un passaggio. A breve ti raggiungo a casa, va bene?» giocherello con l'anello che porto al dito medio mentre inizio a camminare.
«Sì... sì. Ma è successo qualcosa? Tu stai bene?» indaga.
Sorrido, addolcita dalla sua preoccupazione. «Starò meglio fra poco. Dieci minuti e sono da te, ti aspetto di sotto. A dopo!» attacco la chiamata e accelero il passo.
Tom e Molly non abitano molto distanti dal locale in cui mi ha portato Harry e a dirla tutta non lo sarebbe nemmeno la mia destinazione – se andassi in auto. A piedi invece sarebbe una follia, ci vorrebbe un'ora e dovrei persino prendere il traghetto. Per non parlare del fatto che sono le otto e un quarto della sera di Capodanno. Probabilmente il tizio al porto mi avrebbe guardata e poi avrebbe riso allo sfinimento pensando che si trattasse di uno scherzo. Non mi è restato altro che chiedere un passaggio con la confusione che si verrà a creare fra un paio d'ore. Io non ho tempo da perdere.
Raggiungo il palazzo di Tom un quarto d'ora dopo. Vederlo appoggiato alla macchina è una visione paradisiaca al momento, i tacchi mi uccidono e non vedo l'ora di sedermi. «Ciao», deglutisco, cercando di regolare l'affanno.
«Ehi» si avvicina.
«Scusami tanto, puoi dire a Molly che avrà forniture gratis di viole del pensiero per un mese intero» prendo posto in auto.
Tom sbuffa una risata e si sistema al mio fianco. Metto la cintura e rilascio un profondo respiro. «Dov'eri? Sembri distrutta.»
«Ero fuori con un amico...»
Tom scuote il capo. «Avete fatto pace e adesso ti ha fatto arrabbiare di nuovo? Dio, mio nipote è proprio un cretino» mette in moto.
«Che?» lo guardo confusa. «No, non ero con Devon.»
«Oh. Oh. Che figuraccia, eh?» accenna una risatina imbarazzata massaggiandosi la nuca. Cielo, come fa Molly a discutere con un faccino del genere. È impossibile.
«Beh, dove ti porto?» domanda.
«Al 19 di Bremen Street, per favore.»

𝐀𝐕𝐄𝐑𝐘 [𝐁𝐨𝐬𝐭𝐨𝐧 𝐋𝐞𝐠𝐚𝐜𝐲 𝐒𝐞𝐫𝐢𝐞𝐬 𝐕𝐨𝐥.𝟏]Wo Geschichten leben. Entdecke jetzt