1. Nicola il poliziotto

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Il Natale quell'anno arrivò silenzioso.
Le luci comparvero con discrezione, come a non voler importunare troppo chi il Natale lo tollerava appena. Il mondo invecchiava a perdita d'occhio e gli anziani, si sa, delle feste se ne fanno poco. Più invecchiano tanto più diventano cinici. Spesso non sopportano nemmeno quei quattro bambini che capita sempre più di rado di incontrare per strada. Figurarsi se hanno voglia di esporre sul proprio terrazzo una lampadina colorata.
Però capitava che qualcuno, proprio sotto Natale, si lasciasse confondere da un ricordo lontano e via! una fila di luci gioiose faceva capolino sul suo balcone.

Così quel tardo pomeriggio di dicembre, alzando gli occhi al cielo, Rosa notò delle insolite luci colorate rimbalzare al ritmo di una melodia primordiale su di un cielo placido, carico di neve. Sapeva che giorno fosse, lavorava come ragioniera in una piccola azienda e le date per lei erano un'ossessione, ma in quel periodo pensava a tutto fuorché all'imminente arrivo del Natale.

Quando abbassò le difese e se ne rese conto, fu sopraffatta dal desiderio di scappare lontano e non tornare più. Aveva davanti pranzi e cene che avrebbe evitato volentieri, in particolar modo quell'anno. Avrebbe incontrato i parenti che non vedeva da un anno e che le avrebbero rivolto le ovvie, indiscrete domande che chiunque la conoscesse non desiderava altro che porle, alle quali lei non aveva alcuna intenzione di rispondere. Ammettere i suoi fallimenti significava un po' riviverli, ed era proprio quello il dramma che avrebbe voluto evitare.

Pensò all'anziana signora che abitava sotto casa sua e invidiò la sua solitudine. Cos'avrebbe dato per trovarsi nei suoi panni! Quanto era più serena di lei, quella scorbutica vecchietta.

Vibrò il telefono che come sempre portava in modalità silenziosa nella tasca destra del cappotto. Lo osservò intimorita.
Nicola.
«Cazzo la festa.»

Anche quell'anno ci era cascata.
Ormai era una tradizione iniziata per sbaglio qualche anno addietro, in un tempo forse ancora vicino alla fanciullezza e quindi a quel briciolo di ricordo che le era rimasto della felicità. Ogni anno, il giorno prima della vigilia di Natale, dava una festa in casa sua per festeggiare con gli amici l'inizio delle vacanze invernali.

La prima volta fu memorabile: vedere Mohamed felice fu la più grande soddisfazione della sua vita. Fu proprio quello, però, l'errore che generò il ripetersi ossessivo di quell'incombenza annuale.

In effetti aveva organizzato quella serata per lui, che aveva la famiglia lontana e soltanto qualche amico, e ogni anno si ritrovava a trascorrere quei giorni più solo che mai. Per quel motivo si era convinta che quegli occhi fossero tristi; aveva giurato a se stessa che sarebbe riuscita a farli ridere, prima o poi, quegli occhi innocenti. Avrebbe restituito un po' di gioia a quel suo amico sventurato, costretto ad abbandonare la sua patria per non morire di fame e concedere una vita dignitosa ai suoi cari che amava più di se stesso.

Quella sua missione disperata andò subito a buon fine. Al primo tentativo Mohamed fraintese lo spirito del Natale e se ne innamorò perdutamente. Aveva una quinta di seno e uno sguardo da pantera.

Da quando Mohamed incontrò Annabella, i suoi occhi non smisero più di contemplarla estasiato e soprattutto di ridere, a differenza dei propri, che negli ultimi tempi non desideravano altro che fulminare qualunque cosa capitasse loro a tiro.

Che fastidio le dava lo sguardo ebete di Mohamed!
Lo preferiva mille volte triste, senza alcun dubbio.

Comunque da quella volta iniziò a dedicare una festa all'anno a qualcuno. Sempre controvoglia, con la rassegnazione tipica di chi ha una missione da compiere.

Quell'ultima festa, poi, era nata proprio male. Innanzitutto perché si era illusa di essere riuscita a evitarla, ma all'ultimo il ragazzo che frequentava da qualche mese le rovinò tutto.

Non era il suo ragazzo. Era soltanto uno con cui si vedeva una volta a settimana, con il quale quel giorno giocava a fare la fidanzata, anzi, novella sposa, per poi tornare a essere, nei restanti giorni, una perfetta sconosciuta che si limitava a mandargli qualche sms ogni tanto, al quale lui per lo più non rispondeva. Una volta aveva osato telefonargli, ma lui non aveva risposto né si era degnato di richiamarla. Si era limitato a dirle, il giorno del loro incontro settimanale, che quella sera si trovava a cena con un collega; gli era sembrata un'ottima giustificazione per scordarsi di lei.

In effetti Nicola aveva molti colleghi. Era un poliziotto di origini campane che lavorava a Milano da una decina d'anni e che di certo aveva la fidanzata al suo paesello, ma per onorare le sue origini maschio-meridionali aveva nella città che lo ospitava una fidanzatina, se non due.

Fu proprio lui a chiederle di organizzare la festa quell'anno, perché il ventitré dicembre coincideva con il loro incontro settimanale e il giorno seguente sarebbe partito per quel suo paese sperduto a trascorrere le feste con i suoi. Sarebbe stato un modo carino per salutarsi e soprattutto per presentare ai colleghi poliziotti le amiche di lei, che a giudicare dalle foto gli sembravano tutte molto carine.

Nicola aveva così a cuore la felicità degli amici...

Rosa si sentì quasi onorata di far conoscere, sfoggiandolo, quel po' po' di ragazzo alle sue amiche; avrebbe dovuto prodigarsi per far sì che non parlasse, certo, però con la musica alta e la confusione avrebbe senz'altro fatto un figurone.

Purtroppo però, proprio la sera prima Nicola l'aveva informata della sua partenza imminente.

«Mi spiace Principé» le aveva detto «è che mi hanno dato le ferie un giorno prima, e sai com'è mammà...»
«No, non lo so.»
«Ma tu un poco di istinto materno non ce l'hai? Queste donne del nord! È che se poi viene a scoprire che mi hanno dato le ferie e non sono subito corso da lei...»
«Sì, certo.»
«Dai non fare così, lo sai che non so mentire... tu sei l'unica donna della mia vita. È che mi fermerò 'soltanto' fino al sei gennaio. Mia madre soffre tanto da quando sto a Milano. Ha la depressione. Ecco, sì, la depressione, che brutta malattia! Se non partissi subito potrebbe compiere qualche insano gesto...»
«Tipo ricordarti che non è tua madre, quella di cui stai parlando, ma la tua fidanzata ufficiale?»

La telefonata non era finita nel migliore dei modi, ma in fondo non ci rimase troppo male. Nicola era un ragazzo bellissimo: alto, moro, con delle belle labbra carnose e due occhi di un colore incredibile, di una tonalità di castano diverso l'uno dall'altro. Avrebbe trascorso tutta la vita a venerare tanta bellezza. Ma per il resto... non valeva un granché. Non tanto perché non conoscesse il significato della parola 'sincerità' - e anche a letto non era un fenomeno - quanto per la sua idiozia.

Nicola era davvero la persona più stupida con cui avesse mai avuto a che fare. Non la più cattiva, questo no, ma la più ottusa. Spesso si trovava a chiedersi cosa diavolo lo frequentasse a fare. Quella volta poi l'aveva fatta davvero grossa, andarsene proprio il giorno della festa che lui stesso le aveva commissionato!

Era furiosa più per la festa, che non le andava proprio di organizzare, che per altro.

«Me lo merito» si era detta «così imparo a uscire con uno scemo così. Scemo e incantevole... Dio quanto è bello... ma perché concedere tanta avvenenza a un simile imbecille, mio Dio, perché? E perché mi ostino a perdere tempo con della gente così?»

In effetti, dopo tutto quello che le era capitato quell'anno, la scelta di frequentare un demente del genere faceva davvero pensare.

«Sono esaurita. È questo il vero problema» ammise a se stessa.

Avrebbe tanto voluto annullare l'evento quell'anno, ma non aveva il tempo sufficiente per farlo.

Se solo l'idiota l'avesse bidonata due giorni prima.

Anche se forse non sarebbe riuscita a sventarla comunque. Le sue amiche non aspettavano altro... e poi, proprio quella sera, avrebbe dovuto incontrare una persona importante.

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