Epilogo

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È che la vita manda sempre dei segnali. Le persone felici sono quelle che sanno coglierli senza rinunciare al libero arbitrio, ma senza opporsi come muli cocciuti a quei preziosi consigli. A volte, per non rischiare di essere fraintesa e lasciare che una luce rosa divenga grigia, che si perda sfracellandosi contro un massiccio montuoso, la vita cerca di essere molto chiara. Come si è potuto notare, stese un lungo tappeto rosso cosparso di petali profumati per l'arrivo di Giorgio.

Così la nostra Rosa, uscita dal mondo fantastico che abbiamo appena conosciuto, come spesso accade in questi casi, si svegliò di soprassalto. Il cuore le batteva all'impazzata, aveva il fiato corto e la gola serrata. Respirava a fatica. Dormiva nel suo letto di Sunset Boulevard con la flamenquita stretta tra le mani. A parte quello strano dettaglio, tutto sembrava nella norma, finché non si accorse di indossare indumenti non suoi.

Portava degli slip e una camicetta che non le appartenevano.

Dimenticherò tutto, pensò.

Cosa doveva dimenticare? Che sogno aveva fatto?

A risponderle fu il vuoto, ma non uno qualunque. Il vuoto con la V maiuscola. Non ricordava nulla se non qualcosa di simile a un buco nero. Di concreto aveva portato con sé - da dove? - solo quella domanda.

Il cuore sembrava volerle uscire dal petto.

Andò in bagno sollevandosi dalla pozza di sudore nella quale era immersa; le pareti della casa giravano senza posa. Si sciacquò il volto, provando a ricordare... le tornarono in mente i cerbiatti. Ricordò una volpe. Emersero con lentezza i contorni di quella villa della perdizione. E... le labbra di una bambola gigante, David avvinghiato a due donne; due uomini... troppo vicini a lei. Si coprì il volto dalla vergogna. Come aveva potuto... come aveva potuto cadere così in basso. Biasimò se stessa.

David tornò a casa in uno stato ancor più pietoso, nonostante gli abiti che indossava fossero i suoi. Lo guardò con un risentimento misto a pietà che le fece temere di perdere la ragione. Era stato lui a trascinarla così in basso, ma lei avrebbe potuto opporsi. Erano complici di quello scempio.

Lo udì biascicare quello che suonava come il ricordo di un insulto, sbavando mentre cercava di farsi capire. Si domandò come avesse potuto amare un essere così abietto. Come avesse potuto avere paura di quel relitto umano. Lo guardava e non vedeva più il bel ragazzo solare che credeva di amare, ma il mostro che portava dentro. Non lo temeva più. Nemmeno riusciva a odiarlo. Non era stata tutta colpa sua. L'aveva attratta con la menzogna, ma lei si era lasciata ingannare.

Gli disse, con bocca impastata: «Io torno a casa.»

«Dove sei sparita, puttana» farfugliò lui, prima di abbattersi sul tappeto e addormentarsi a faccia in giù.

Rosa si accese una sigaretta. Lo avrebbe adagiato sul letto se solo se lo fosse meritato. Scavalcò quel rottame e mise su un caffè, sforzandosi di ricordare come fosse tornata a casa. David era rientrato dopo di lei, le chiavi dell'auto le aveva lui. Da Malibu a Sunset c'erano quaranta chilometri. Chi si era preso la briga di riaccompagnarla?

Tracannò l'intera caffettiera, fumò un'altra sigaretta e tornò in camera. Prese la valigia che per qualche mese aveva fatto sparire sotto il letto, scavalcò la carcassa immobile di David, e l'appoggiò sul materasso.

Quell'esperienza sarebbe dovuta durare un anno, ma aveva sfiorato appena i cinque mesi.

Il ricordo dei desideri che l'avevano condotta lì, quei sogni spezzati, la riempirono di dolore. Pensò a Marius, avrebbe potuto chiedere appoggio a lui, se non avesse rischiato di distruggere anche la sua esistenza. Non era lui che voleva. Voleva solo tornare a casa, con la speranza di trovare un po' di pace. Quella 'Pace' che sventolava sull'insegna del bar di West Hollywood dove Paul li aveva portati a fare colazione il primo giorno. Dove un uomo l'aveva salutata sbracciandosi appena arrivata a *** Road. Un uomo molto piccolo, forse un nano. Che strano non averlo rivisto più. Peccato al suo posto aver rimorchiato Giselle.

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