39. Più nero che grigio

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Rosa iniziò a spogliarsi. Le mani le tremavano in maniera così convulsa che dovette richiamare tutte le energie per compiere dei semplici automatismi. Cercò di fare in fretta, per non innervosirlo; lo avrebbe assecondato come quella strana voce della sua coscienza, o chissà cosa, le aveva suggerito.

Aveva uno sguardo, David, che non aveva mai visto prima, e che Marius aveva notato. L'aveva messa in guardia e lei aveva ignorato quel suo consiglio paterno. Da stupida si era scandalizzata per un bacio candido, che era tutto tranne che passionale, tranne che un modo per provarci con lei. Lo aveva fatto sentire una merda.

Il giorno dopo sarebbe andata in aeroporto e avrebbe preso il primo volo per Milano, ma quella sera non poteva fare altro che cercare di ammansire l'animale selvaggio che si agitava nella stanza accanto, pregando il cielo che non gli venisse in mente qualcosa di truce.

La porta si aprì.

Rosa trasalì appena scorse nella penombra quel volto stravolto dalla rabbia e dall'alcol.

«Stasera ho voglia di giocare» ghignò in modo malefico David. «Stasera Miss Rose si fa male.»

Un filo di bava gli colava dal lato destro della bocca.

«Non capisco perché tutto questo, sei un uomo intelligente e buono» provò a blandirlo.

Ma lui non demorse. Rise furioso.

«Perché sei una brutta troia, ecco perché. Con me fai la suora e poi vai a letto coi negri.»

«Cos'hai contro i neri?»

Assecondalo...

«E comunque non sono andata a letto con nessuno, te lo giuro. E lui non è nero. Se c'è qualcosa di nero qui dentro è la tua anima! Sei tu che da quando siamo in questa merda di città hai perso il cervello! Non fai che guardare le altre, e Giselle... cos'hai combinato con Giselle? Te la sei scopata? Bravo, complimenti! Io non ti ho detto nulla! Allo stesso modo, ignora ciò che c'è tra me e Marius.»

«Ah-ah... si chiama così quel bisonte... e fammi capire, cosa ci sarebbe tra te e Marius?» chiese sfilandosi la cintura dei pantaloni.

«Non... non c'è nulla. Cosa diavolo pensi di fare con quella cinghia?» domandò atterrita.

«Tu sei mia!» tuonò prima di colpirla sulla schiena. «Ricordatelo. Sei mia!»

Rosa provò a divincolarsi ma lui la spinse sul letto, la bloccò con il peso del corpo e le legò le braccia con la cintura. In quella posizione, ebbe da lei ciò che con le buone maniere non era mai riuscito a ottenere: la sua completa sottomissione.

Quando Rosa percepì che non aveva intenzione di massacrarla di botte, ma voleva solo umiliarla, gli lasciò fare ciò che voleva. Furono degli istanti penosi, ma non durarono molto. Quando ebbe finito scomparve per qualche minuto in bagno per poi uscire di casa sbattendo la porta.

«Buona notte, brutta troia!» urlò una volta fuori dallo stabile, esibendo di spalle il dito medio.

Rosa ringraziò il cielo che nessuno dei vicini capisse l'italiano. Rimase in quella scomoda posizione per qualche minuto, avvolta nel silenzio. I polsi le dolevano, si adoperò per slegarli. Grazie alle sue dita sottili riuscì a liberarsi da quella morsa infernale.

Cos'ho fatto di orribile per meritarmi tutto questo? si domandò in preda allo sconforto.

Con il trascorrere dei minuti, le dita delle mani tornarono a rispondere ai segnali; prese coraggio, appoggiò i piedi per terra. Il fresco del pavimento l'aiutò a tornare sempre più in sé. Si sollevò piano. Attese che la camera smettesse di ruotarle intorno e si trascinò in bagno costeggiando la parete. Quando accese la luce, ebbe un sussulto. Vide il suo caschetto scapigliato, la guancia gonfia, gli occhi atterriti più per quell'immagine che per la violenza appena subita. Per la prima volta in vita sua provò un'infinita pena per se stessa. Per la prima volta provò un sentimento di amore per quell'essere indifeso che le restituiva un'immagine straziante. I suoi occhi assunsero un'espressione così dolorosa da non riuscire a reggerne il peso. Si inginocchiò per sfuggire al proprio sguardo, premendo le mani sul petto per allentare la morsa che le attanagliava il cuore. Non erano più spaventati, preoccupati, no. Quegli occhi erano pieni di compassione e l'oggetto di quello sguardo struggente era se stessa.

Pianse, pianse senza ritegno, in un angolo di quel gabinetto. Per la prima volta si era guardata dentro e ciò che aveva trovato era l'amore. L'amore più grande che avesse mai provato. Aprì l'acqua calda nella doccia e quando l'ambiente raggiunse il giusto tepore, si infilò sotto quelle lacrime artificiali che la ripulirono dell'orrore subìto trascinando via le lacrime reali. I suoi pensieri oscillavano tra il parto subito e il parto domani, al ritmo impeccabile di un metronomo. Li seguiva con gli occhi, quei due pensieri. Parto oggi, parto domani. Di una cosa era certa: lo avrebbe lasciato. Anzi, lo aveva già lasciato da un pezzo. Non riusciva a stabilire quando, e nemmeno chi aveva lasciato chi, ma era accaduto e lo sapevano entrambi.

Quella maledetta sera veniva conclusa quell'anti-storia d'amore. Non poteva definirsi altrimenti. Nata il giorno stesso in cui si erano incontrati a quella partita di pallavolo, aveva resistito alle intemperie delle rispettive storie d'amore, alla distanza oceanica lunga un anno. E poi, una volta abbandonatisi alla potenza di quell'amore, si era come riassorbito, come tornato indietro a prima di quell'incontro. Era così regredito che alla fine era sparito. E loro che invece erano ancora vivi e costretti a condividere lo stesso tetto - ripensò a Rocco - avevano iniziato a odiarsi.

Sentì il rombo dell'auto di Paul.

Pensò: L'ha fatto di nuovo... ha preso la sua auto senza averne il permesso. Perché sono così ingenui questi americani?

E poi: Perché dovrei prendere le mie cose e andarmene proprio adesso che inizio ad amare questa città? Proprio adesso che sto trovando il mio purpose.

E poi: Forse potrei provare...

Tom: «Torna a casa, bambina.»

Osservò la flamenquita a guardia del suo altarino. Quella voce rauca, proveniva da lì. La prese in mano.

«Voglio restare ancora un po'» disse convinta. «Non vivrò mai più in negli Stati Uniti, questa è la mia unica occasione. Magari domani David... sì, lo sento. Da domani andrà meglio.»

Ripensò allo sguardo spaventato di Rocco. Qualche volta le aveva accennato al tormentato rapporto con suo figlio. Era capitato che sfociasse in episodi violenti, le aveva detto. Lo ricordò solo allora. Lei aveva preferito non prestare attenzione a quelle parole, non approfondire. Cosa intendeva Rocco quando parlava di violenza?

Chiuse gli occhi.

Avrebbe dovuto capire che c'era qualcosa di marcio in lui, già prima di partire, ma aveva fatto finta di nulla. Perfino Mohamed, che li aveva visti insieme tre volte, l'aveva messa in guardia. Non si trovava nel culo del mondo per stare vicino a David, ma perché lei stessa aveva voluto vivere quell'esperienza. Ecco la verità. E non sarebbe tornata indietro per quella serata da dimenticare.

Pensò a Marius, a quel suo sguardo paterno nonostante il bacio, e a David, che aveva avuto un attacco di gelosia. Era ancora geloso, in qualche modo doveva ancora provare qualcosa per lei. Se era così, non le avrebbe mai più messo un dito addosso. Lei non glielo avrebbe permesso. A differenza di due ore prima, Rosa si amava. Non aveva che se stessa in quel piccolo grande mondo. Si sarebbe difesa come una tigre.

Pensò ai nani. Le facevano segno di no con la testa. L'oceano incazzato aveva cercato di respingerla subito. Sua madre piangeva dal giorno in cui le aveva annunciato che sarebbe partita. Non aveva mai approvato quella decisione e adesso la reclamava con tutto il fiato che aveva.

Tutto girava, girava veloce, ma lei no.

Si sarebbe fermata un altro po'.


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