38. Riconciliazione mancata

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«Non sei andato al lavoro?» chiese Rosa allarmata appena lo vide.

David aveva come una specie di tremarella addosso. Gli occhi iniettati di sangue. Rosa si accostò alla poltrona sulla quale era seduto. Gli si inginocchiò accanto. Si accorse che aveva bevuto più del solito.

Prima che avesse il tempo di parlare, di scusarsi forse, vide la mano di David precipitare in caduta libera sul suo volto. Un istante dopo udì l'eco di uno schiaffo. L'aveva colpita con tutta la forza che aveva, tanto da spostarla di mezzo metro.

«Ti ha dato di volta il cervello?» urlò incredula. Si accarezzò la guancia divenuta fuoco. «Mi hai colpita, bastardo!»

David per tutta risposta si alzò dalla poltrona e la afferrò per i capelli.

«Prova a insultarmi di nuovo» biascicò, «a uscire ancora con quella faccia da turco... prova a disobbedirmi un'altra volta e sei morta. Te lo giuro, ti ammazzo.»

Rosa stentò a credere alle proprie orecchie. Sembrava posseduto da un demone. In un lampo le passarono davanti i bei giorni di Milano, la dolcezza delle sue parole quando le prometteva l'America, quel suo sguardo così pieno d'amore. Come accade prima di morire, rivide la loro breve felicità in poche, strazianti immagini. L'uomo che aveva davanti non era il protagonista dei suoi ricordi; non poteva essere la stessa persona. Perfino il viso era trasfigurato. Dov'era finito il suo David?

«Devo chiamare un esorcista? Dimmelo, che lo faccio!»

E lui, che non aveva ancora mollato la presa dei capelli, la costrinse contro il muro; le serrò i polsi con l'altra mano e le si appoggiò addosso di peso.

«Mi fai male David, non respiro così» balbettò.

Provò a opporre resistenza, ma contro un uomo di quella stazza non aveva speranze di muoversi di mezzo centimetro.

Assecondalo! le suggerì una voce nella sua testa.

«Scusami se ti ho mancato di rispetto» disse forzandosi di non urlargli in faccia: "se viene a saperlo mio padre, l'uomo morto sei tu"! «Non lo farò mai più, te lo giuro.»

«Ecco. Così mi piaci, adesso iniziamo a ragionare. E ora vai di là e togliti questi stracci. Non ne posso più di vederti con queste cazzo di tute, mi sembra di avertelo già detto e sai quanto detesto ripetere le cose. Ti voglio nuda, con le scarpe...» si accarezzò il mento, rifletté qualche istante. «Quelle altissime con l'allacciatura alla schiava. Non ricordo da quanto tempo non ti vedo vestita da donna. Corri di là. Muoviti!» ansimò rabbioso, prima di finire la bottiglia di whisky con cui flirtava da un paio d'ore.

Rosa non se lo fece ripetere due volte e, appena quella carcassa posseduta da un demone le liberò i capelli, corse in camera da letto. Si precipitò alla finestra sperando di vedere ancora l'auto di Marius posteggiata sotto casa. Guardò bene intorno sporgendosi con tutto il busto, ma di Marius non c'era neanche l'ombra.

Quando si arrese all'idea di fuggire con lui, pensò di chiudersi a chiave in camera e chiamare il 911. Cercò il cellulare nella borsa, nei jeans, negli armadi. Vuotò i cassetti ma nulla, il telefono non c'era. Non avrebbe dovuto stupirsene dato che se n'era appropriato David dall'istante in cui l'avevano acquistato e in quel momento, com'era prevedibile, si trovava nelle sue tasche. Avrebbe buttato giù la porta con una spallata se si fosse azzardata a chiudersi dentro, e senza soccorsi l'avrebbe ammazzata davvero.

Ripensò alle parole di Marius.

Perché non gli aveva dato ascolto?

Diede però ascolto al suggerimento che la voce rauca da bambino le aveva dato in quel momento di pura disperazione.

Lo assecondò.

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