30. Quartiere russo

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Non si sa per quale intercessione divina, in quelle prime settimane oltre a un lavoro per David riuscirono a trovare l'appartamento e l'automobile. I quattromila dollari di cui necessitavano vennero prelevati dal conto di Rosa, in cui ne gravitavano seimila in tutto. Anche per questo non fu soddisfatta di nessuna delle due scelte, a differenza di David che ne fu più che entusiasta.

L'automobile era un piccolo fuoristrada dall'aspetto ancora decente, ma con gli ammortizzatori del tutto consumati e il radiatore che ogni cinquanta chilometri richiedeva un rabbocco d'acqua per evitare di fondersi.

Soprattutto l'appartamento era di un livello quasi inaccettabile rispetto alle sue aspettative.

Era partita da Milano pensando di trasferirsi in una località balneare, e non solo Los Angeles non aveva un mare ma un oceano furioso, ma l'appartamento si trovava nella zona East di Sunset Boulevard, quella delle prostitute russe, a circa trenta miglia dalle prime spiagge. L'alloggio, che condividevano con altri tre inquilini, non era malaccio; si trovava in un condominio abitato soprattutto da giovani di tutte le nazionalità, con un bel terrazzo comune all'ultimo piano, in cui Rosa andava a prendere il sole di giorno o ad ammirare le infinite luci di Los Angeles di notte, e una palestra con vasca idromassaggio nel sotterraneo, in cui spesso andava ad allenarsi o rilassarsi.

L'unico difetto fu davvero il posizionamento in quel quartiere a luci rosse, soprattutto perché spesso in vita sua era stata scambiata per una ragazza russa e in quella zona non poteva uscire da sola che subito veniva abbordata da qualche depravato. Per quel motivo gli inquilini erano per lo più uomini.

Purtroppo le case a Venice Beach o a Santa Monica erano troppo onerose per loro, al momento lavorava solo David e il conto di Rosa si stava prosciugando. Quell'alloggio era tutto ciò che si potevano permettere.

Si trasferirono appena ebbero le chiavi. Salutarono al telefono Paul, che proseguiva imperterrito quella sua vacanza, allungandola sempre di un po'. Chiese loro di lasciare le chiavi sotto lo zerbino dell'ingresso di servizio; a Los Angeles i ladri dovevano essere dei veri imbecilli o non si spiegava tutta quell'ingenuità.

Entrarono nel loro nuovo appartamento alle due di pomeriggio. Rosa non ebbe il coraggio di dire nulla, e David non aggiunse altro. La depositò con le valige all'ingresso della loro camera e tornò nel ristorante/rifugio a Malibu.

Rosa si guardò intorno smarrita. Faticava a capire chi era, dov'era, quale fosse la sua funzione in quel mondo. Per salvarsi dal baratro in cui la sua mente precipitava, da quell'angoscia che rischiava di trascendere in disperazione, si sforzò di non pensare più a nulla. Ricordò Tom Joad in Furore, che nei momenti più neri pensava solo a mettere un piede davanti all'altro e camminare. Senza struggersi di malinconia o tormentarsi con i problemi futuri. L'obiettivo primario nella vita è uno: salvare la ragione, dunque la pelle.

Rosa si guardò intorno, spense il cervello e si mise a pulire quella stanza da cima a fondo con una precisione maniacale che non le apparteneva, trattenendo a stento i conati di vomito dovuti allo sporco che ricopriva tutto. Soprattutto il bagno.

David tornò a notte fonda. La camera non sembrava più la stessa. Era linda e profumata, gli abiti erano ben riposti nei cassetti e negli armadi, le valigie erano sparite in qualche angolo remoto della casa. Sulla cassettiera erano esposte, bene allineate, le foto che Rosa, di solito, portava nel portafogli: i suoi genitori poco più che adolescenti abbracciati sul lago di Como; lei e Michela sedute accanto alla loro nonna; la sua adorata cagnolina L'Una, morta anch'essa, come la nonna, qualche anno addietro; una foto di gruppo con i suoi cugini calabresi, con l'Etna fumante inquadrato dalla spiaggia. Una statuetta portafortuna regalatale da Michela chiudeva la fila dei ricordi, vegliando su di essi. Si trattava di una ballerina di flamenco che le aveva portato da Siviglia, alta un mignolo e agghindata di tutto punto.

Sembrava un altarino pagano.

David resistette alla tentazione di raccogliere quelle cianfrusaglie e gettarle in qualche angolo dell'armadio solo per non distruggere quell'ordine che gli infondeva un certo senso di pace. La guardò dormire. Stava senz'altro sognando la sua famiglia, sembrava sorridere. Chissà se sarebbe mai riuscito a recidere quell'insopportabile cordone ombelicale, se avrebbe mai trovato uno spazio, alla loro altezza, nel suo cuore.

Intanto l'avrebbe riportata alla realtà svegliandola ed entrando dentro di lei più e più volte, offrendole un inatteso piacere, ma anche la delusione di trovarsi in quella brutta stanza, in un appartamento condiviso con degli sconosciuti, in un pessimo quartiere della tanto odiata Los Angeles.


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