41. Follia

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Mi sono appena fatta una flebo di internet: due ore di quell'aggeggio infernale ed eccomi qui svuotata. A pezzi. Mi chiedo sempre più spesso perché mai se leggo un libro, anche per molte ore, ho come la sensazione di riempirmi. Se scrivo, mi sembra di volare. Se sto sul computer, mi svuoto. Credo che se fossi rimasta ancora un po' davanti a quel dannato computer mi sarebbe venuta una crisi epilettica o qualcosa del genere. Gli amici mi scrivono molto e io devo rispondere; sono tutti in pensiero per me, eppure non faccio che ripetere che sto bene. A parte tutto, questa esperienza mi sta facendo capire quali sono le persone importanti della mia vita, e sto imparando a conoscermi meglio. Mi sto scoprendo labile, a livelli quasi psicotici. Non conosco nessuna persona in grado di cambiare idea ogni paio d'ore. E non è che le mie idee cambino di poco. Sono capace di essere convinta di una cosa e il giorno dopo sostenere senza dubbi la tesi opposta.

"Eh no, Miss Rose, non può andare avanti così, un giorno o l'altro comincerà a dare i numeri sul serio..."

Forse è questa la vera causa del mio malessere. Questa mia instabilità mi terrorizza; ho paura di impazzire, come la brasiliana di cui mi parla David ogni tanto. La conobbe l'anno in cui venne qui con Matilde, era una ragazza normale, sana di mente... la riportarono al suo paese fuori di senno. Lei almeno aveva la scusa dei funghi allucinogeni, o così dice lui; io non avrei nemmeno quell'attenuante. E ha il coraggio di canzonarmi perché sono l'unica persona in tutta Los Angeles a non drogarsi.

«E fatti una pista» mi dice «tu così compi un sacrilegio.»

Ma se mi drogo ci resto secca, come se non lo sapesse. O forse è proprio questo che vuole.

Ho appena finito di cenare. Attorno a me c'è solo gente assorta nei propri pensieri. Sembrano tutti così sereni, solo io non ho pace. Sono in un tale stato confusionale... mi sembra che tutto il Nouvelle Caffè giri lentamente. Ho la nausea. Potrebbero essere state le ore trascorse al computer, o la presa di coscienza della mia psicolabilità. In effetti, avrei preferito non saperlo. Ho il morale a terra. Ho capito perché non ho mai avuto un equilibrio interiore che temo non raggiungerò mai, perché a Milano mi riempivo di impegni, perché non stavo mai sola con me stessa: volevo preservarmi da questa sofferenza; questo è il punto. È così difficile accettare di essere proprio la persona che non avrei voluto. Sono una donna senza principi, senza ideali. Senza delle forti idee proprie. Talmente debole da farmi influenzare da qualunque corrente esterna, fredda o calda che sia. Sono così priva di personalità, che chiunque può plasmarmi. Chiunque! Le basi che credevo di avere, non esistono.

"Forse non esisti neanche tu, Miss Rose... o se esisti, chi sei?"

Non so più chi sono, e 'se' sono, dove sono? Cosa ci faccio qui? Dove sto andando? So sicuramente con chi vado. Ma cosa so di lui? Nulla.

Vorrei che qualcuno mi dicesse chi sono. Ma chi può farlo? Nessuno mi conosce veramente, nemmeno mia madre. Tutti pensano di conoscermi, ma se quei 'tutti' parlassero tra di loro, si accorgerebbero che ognuno ha un'idea diversa di me. Con Mohamed sono premurosa, quasi materna. Con David aggressiva, con Michela ingenua, con Sabrina figa, con mia madre stronza, con mio padre... forse lui è l'unico che mi conosce davvero. Per questo litighiamo sempre. Lui sa chi sono, per questo non lo lascio mai parlare.

Ti prego papà non dirmi chi sono! Se mi ami non farlo, o impazzirò.

Ho paura di impazzire e tornare a guardare in faccia la realtà. La dura realtà che ha tentato di portarmi via con sé, ma dalla quale sono sempre scappata. Ero troppo giovane per morire. Ma adesso... la finzione non mi basta. Non voglio più vivere in questo mondo inventato, in questo mondo fuori dal mondo.

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