29. Brutte sorprese

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Rosa si svegliò in tarda mattinata, con David che abbaiava furioso. Aprì gli occhi, si mise a sedere sul letto.

«Tutto bene?» domandò confusa.

«Tutto bene un accidenti! Si può sapere cos'hai combinato ieri sera? I canadesi se ne sono andati!»

«Ѐ impossibile... oggi saremmo dovuti uscire insieme, e lui mi sembrava un tipo di parola» replicò incredula.

«Lui ti sembrava cosa?» ringhiò David.

«Era uno a posto! Abbiamo cenato insieme, chiacchierato. Abbiamo trascorso una serata incantevole, di quelle che non sei più capace di farmi vivere tu. Non posso credere che se ne sia andato così, senza neanche salutarmi.»

Squillò il telefono di casa, David si precipitò a rispondere sbraitando e gesticolando come un forsennato.

Rosa si abbandonò malinconica al ricordo della serata precedente, che sebbene fosse appena passata, le sembrò di averla vissuta qualche anno prima. Il tempo californiano trascorreva così, c'era poco da fare. Ripensò alla loro cena a lume di candela. Forse quell'ambiente romantico aveva fatto ingelosire Grace, ma era stata lei a non presentarsi a tavola. Senza contare che l'invito era partito da loro.

David tornò schiumante di rabbia.

«Paul è furioso! Non capisce cosa sia accaduto, sa solo che i canadesi si sarebbero dovuti fermare due giorni e invece sono già ripartiti. Si può sapere cosa cazzo hai combinato ieri sera?»

«Nulla» replicò rassegnata. «Ho cucinato, su loro richiesta. Ho fatto gli onori di casa. Questo è il ringraziamento. Per fortuna tra due giorni ce ne andremo, non ne posso più di stare qui. Non voglio più essere ospite di nessuno, sono stufa di dire grazie. Mi mancheranno solo... quei nani.»

I nani. A cos'era andata a pensare.

Andò in camera sua e si inginocchiò davanti a loro.

«Mi ha lasciato anche lui» sospirò.

Abbracciò prima quello in camera, le sue lacrime sgorgarono senza ritegno gocciolando sulla testa del nano. E poi andò in bagno ad abbracciare quello più buffo.

«E io che avevo paura di voi.»

Le lacrime di Rosa bagnarono gli occhi dei nani, che sembrava si fossero messi a piangere anche loro.

«Si può sapere che cosa è successo ieri?» insisté David, che tornò tormentarla in camera da letto.

«Lei... si è sentita poco bene, forse per il viaggio, e non si è presentata a tavola. Abbiamo trascorso una serata io e lui. Abbiamo cenato e parlato, bevuto una bottiglia di Bordeaux, e ballato insieme.»

«Ah-ah! Con me fai la suora e poi ti metti a troieggiare con il primo che passa!»

«Pensa pure quello che vuoi. Io ho la coscienza a posto» tagliò corto Rosa.

«Che sei una brutta troia, ecco cosa penso.»

«Spero che anche tu ti sia divertito alla festa. Vado a fare colazione. Ti saluto Giselle se la incontro» sorrise mesta e uscì in fretta da casa.

* * *

Il primo mese è stato catastrofico. Io e David litighiamo ogni giorno iniziando presto al mattino, senza sosta. E non sto bene neanche con me stessa. Mi sento brutta, poco attraente. David sembra non accorgersi più che sono una donna, e ieri mi sono lasciata incantare dalle lusinghe di un vecchio canadese. Qui le ragazze sono tutte bellissime, con quei visini da bambola, sempre molto curate, benvestite e truccate.

Io non mi depilo da un mese e mi sento stupida per via del mio inglese. Forse David dovrebbe farmi sentire desiderata, anziché farmi notare sempre quanto sono belle le altre ragazze.

Già sento di valere la metà rispetto a quanto valevo in Italia, un po' come la Lira nei confronti del Dollaro. Lui con il suo atteggiamento mi fa sentire meno di niente. Mi sento inutile, senza valore. Forse in fondo lo sono sempre stata, ma in Italia lo stress mi nascondeva la realtà. Non valgo nulla. Non sono altro che un peso per la società e per David. Qui per vivere devo ingannare lo stato americano; in teoria non potrei né studiare, né lavorare. Non è vero che io e lui ci sposeremo. Non ho un'assicurazione sanitaria. E ho pure il Social Security falso, che David mi ha procurato da alcuni suoi amici messicani, nel caso trovassi un lavoro.

Gli americani mi trattano come da noi gli italiani che aborro si relazionano con gli extracomunitari senza soldi né lavoro. Mi sento guardata dall'alto in basso da gente che non sarebbe nemmeno all'altezza di farlo.

David è lontano... o forse sono io lontana da lui. In una dimensione che non è né qui, né in Italia, lontana da tutto. Vicina solo a me stessa. Così vicina da farmi paura. Così vicina come non lo sono mai stata. La mia famiglia, i miei amici, l'università, il lavoro... erano delle ottime distrazioni. Per questo mi mancano. Qui non ho altro che me stessa.

A ventisette anni, sono alla resa dei conti.


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