37. David e i nani

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Quel pomeriggio David non era andato al lavoro. Era tornato a casa furioso, fosse uscito avrebbe rotto la testa a qualcuno.

Come si era permessa quella sgualdrina ad andarsene al mare con quel... con quel mezzo... che origini avrà mai avuto quella faccia da turco?

Lo odiava.

Se ne stava sempre lì a osservarli, quando lui e Rosa si scambiavano qualche effusione in corridoio. Cos'aveva da guardare? Cosa voleva dalla sua ragazza? Solo uno stupido avrebbe potuto credere alla balla del fratello.

Fratello e sorella, ma dove?

La passione scorreva tra di loro, la passione... anche se da quando erano a Los Angeles, avevano fatto l'amore sì e no un paio di volte. Era diventata così musona da quando erano arrivati in quella città, così insicura.

Insicura e poi esce con il primo che le capita, brutta troia. Stasera quando torna vede, questa sera quando torna le faccio passare la voglia di farmi fare la figura del fesso.

Prese il telefonino e chiamò al ristorante.

«Ho un contrattempo, mi dispiace. Chiederò a Lucas di sostituirmi. Ci vediamo domani.»

Non dette molte spiegazioni, che lo licenziassero pure. Aveva un problema ben più serio da risolvere in quel momento.

Si sedette sulla lurida poltrona del salotto che condivideva con degli sconosciuti. In casa regnava il silenzio, dovevano essere tutti al lavoro, eccetto Rosa che chissà cosa stava combinando con quello lì. Pensò alla punizione giusta per quella stronza. Chiuse gli occhi.

Tim: «Non provare a toccarla, bastardo.»

David trasalì. Si trovò davanti le due piccole statue di Paul, immobili, di marmo, con due occhi vividissimi.

Tom: «L'hai tradita, umiliata, trascurata. Chiedile scusa piuttosto, e lei forse ti darà una possibilità.»

David si riprese dallo choc iniziale, interpretando quella visione come uno strano sogno. Doveva essersi appisolato. Così, quasi divertito, si mise a dialogare con loro, anche se in maniera un po' troppo lucida per essere un sogno.

«Ho ventisette anni. Non ho ancora giurato fedeltà eterna a nessuno» replicò insolente.

Tim: «E lei cosa dovrebbe fare? Sopportare i tuoi taciti capricci? Credi che non sappia ciò che hai combinato con Giselle?»

David scoppiò a ridere.

«Solo con Giselle? Siete più ingenui di lei a quanto pare. Comunque non me ne frega un cazzo. E poi voi chi siete? Gli avvocati di quella puttana?» disse a denti stretti, avventandosi sulle due strane creature. Ne afferrò una per il collo e la sollevò in alto, deciso a frantumarla sul tappeto.

Il nano rise, rise di gusto.

Presto iniziò a ridere anche l'altro nano, quello col naso turato. Gli cadde addirittura lo stura lavandino che portava con orgoglio sopra la testa, ma non si ruppe.

Tom: «E tu pensi di poterci... tu pensi... ahahahahahahahahahah

Ahahahahahahahahahahahah.»

Tim: «Poi gli ingenui siamo noi!

Ahahahahahahahahahahahahahahahahahaha

Ahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahahah.»

David iniziò a schiumare di rabbia. Deriso da quei due scherzi della natura! Scagliò per terra il primo nano che si infranse in molti pezzi, ma ognuno di essi continuava a ridere! Allora li schiacciò con i piedi e fracassò anche l'altro nano, ma le risa non cessavano e i cocci continuavano a ricomporsi. Sarebbe impazzito, se non si fosse svegliato di soprassalto. La testa quasi gli scoppiava. Tremava da capo a piedi. Quel sogno sembrava così reale. Si precipitò in camera sua a vedere se quei piccoli bastardi fossero al loro posto.

Tim, Tom: «La proteggeremo

David trasecolò. Non si trovava a casa di Paul, i nani non c'erano, e continuava a udirli. Non avrebbe dovuto provare i funghi allucinogeni suggeriti da Matilde; iniziava a sentire le voci e non era un bel segnale.

Aprì il frigobar, ingollò un gin tonic. Prese una pinta di whisky, tornò sulla poltrona con quella bottiglia stretta tra le mani. Inspirò tutta l'aria che poté.

«Adesso sì che si ragiona» grugnì, e si rimise ad aspettare.


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