19 giugno 2002

41 6 0
                                    

           

Quella mattina, a un orario in cui i negozianti sono già sul posto di lavoro, gli impiegati sbadigliano nei loro uffici e i genitori avrebbero accompagnato i figli a scuola da almeno un'ora se non fossero iniziate le vacanze estive, Rosa e David percorrevano una tangenziale semi deserta in direzione dell'aeroporto internazionale di Malpensa.

A poca distanza dalla loro Matiz, li seguiva una Fiat Multipla sulla quale viaggiava il padre di David con la sua nuova amica. Li avrebbero accompagnati fino all'ingresso dell'aeroporto, abbracciati con trasporto, quindi Rocco sarebbe tornato a casa con l'auto prestata a David, a versare il suo fiume di lacrime, mentre la sua amica sarebbe rientrata in ufficio.

*   *   *

Quel 19 giugno 2002 arrivò in un lampo, e Rosa si trovò a dire: «Arrivederci, non so quando torno ma te lo giuro torno» a sua madre, dalla quale non si era mai separata prima di allora, con le note de 'L'ultimo bacio' di Carmen Consoli nelle orecchie e gli occhi ridotti a due fessure. Sua madre, senza più sorriso né voce, non l'accompagnò nemmeno alla porta; biascicò un flebile 'ciao', che suonò come un addio. Suo padre la accompagnò fino all'auto di David, trascinando quella valigia con dentro la propria vita che se ne andava lontano.
Le labbra livide.
Lo sguardo vacuo.
Rosa si trovò a ventisette anni ad affrontare il viaggio più lungo della sua vita, il primo volo, lungo nove fusi orari da casa, verso un mondo che non conosceva. Motivata dall'amore che la legava a David e da quel desiderio di vivere una seconda vita, ma con le inquietanti parole di Mohamed nelle orecchie: 'Non ti fidare.'

La notte prima di partire, la trascorsero dal padre di David.

Rosa ripensò ai suoi genitori, che l'avevano salutata piangendo, e che sicuramente continuavano a farlo. Lei invece, a parte il drammatico momento del distacco, aveva provato la gioia piena di entusiasmo che deve travolgere un uccellino quando lascia il nido.

Trascorse l'intera notte così eccitata da non riuscire a dormire, come annotò sul diario che l'avrebbe accompagnata nella sua nuova vita. Scriveva un diario fin da bambina; questo l'aveva sempre aiutata a domare le emozioni, ridimensionare i dispiaceri, trovare le soluzioni ai piccoli problemi che le era capitato di affrontare. Scrivere i suoi pensieri l'aiutava a ragionare. Rileggendosi, riusciva a osservarsi da fuori e avere una visione più oggettiva di sé. Non avrebbe certo potuto smettere in un momento simile.

Questa sera David è venuto a prendermi. Mi ha portata via con dolcezza, come nelle favole. Spero che come ogni favola che si rispetti, anche la nostra duri molto a lungo. Non dico 'per sempre' per scaramanzia. Sono così felice che piangerei, ma temo di aver esaurito le lacrime. Com'è potuto venirmi in mente di ascoltare quella canzone?

"Di quei violini suonati dal vento
L'ultimo bacio, mia dolce bambina
Brucia sul viso come gocce di limone
L'eroico coraggio, di un feroce addio.
...
Mille violini suonati dal vento
L'ultimo abbraccio, mia amata bambina
Nel tenue ricordo di una pioggia d'argento
Il senso spietato di non ritorno
...
Ma sono lacrime mentre piove, piove"

Che masochista, mi metto pure a scriverla.

Oggi ho pianto con Mohamed, quando è venuto sotto casa mia a salutarmi. Ho pianto con mia sorella, mia madre, mio padre... se ripenso agli occhi di mio padre quando ci siamo salutati, probabilmente interverrebbero le riserve di liquidi a farmi piangere tutta la notte. Rischierei la disidratazione da pianto, se esistesse.

Eppure ho una così grande voglia di vivere... e allora BASTA con la tristezza. Ho davanti la vita più bella che potessi desiderare. Mia madre se ne farà una ragione, mio padre pure.

Questa è la MIA vita e ora comincio a viverla.

Non avrebbe mai più dormito da sola da quella notte. Le angosce che la tormentavano da sempre, quel giorno sarebbero terminate. Era più eccitata per l'inizio della convivenza che per la partenza verso un luogo sconosciuto, distante dodicimila chilometri da quella che fino ad allora era stata la sua casa. Mai aveva preso un aereo prima di allora, eppure anche quel timore venne soppiantato dal bisogno impellente di gioire. Quella sera intuì come dovesse sentirsi felice una sposa. Peccato il caldo che costrinse David a dormire sul divano proprio durante la loro prima notte di quasi-nozze, per evitare che lei gli si appiccicasse addosso e lo facesse sudare.

*   *   *

Arrivarono all'aeroporto in perfetto orario. Rosa si catapultò fuori dall'auto, impaziente di spiccare il volo. Salutò Rocco con affetto, gli promise che si sarebbe occupata lei di David, anche se questo non sembrò confortarlo più di tanto. David gli rivolse un saluto gelido, con un sorriso che non riuscì a schermire il piacere procuratogli dalle lacrime incontrollate del padre. Entrambi si limitarono a stringere la mano all'amica di Rocco, e poi si avviarono verso il Terminal 1, quello delle partenze internazionali, senza voltarsi indietro.

Le valigie erano pesantissime; dentro a quella di Rosa era stipata la versione ridotta all'osso della sua collezione autunno/inverno e primavera/estate degli ultimi due anni - David non le aveva concesso un secondo bagaglio -  e sebbene avesse le rotelle, fu un sollievo liberarsene all'imbarco.

D'un tratto si sentì chiamare da una voce femminile. Si voltò. Non vide nessuno.

Ne parlò a David che etichettò quella circostanza come una manifestazione della sua fobia di volare.

«Ma io non ho nessuna fobia» obiettò lei.

«Non fare come mio padre che ha basato la sua vita sulla menzogna, ti prego.»

Era la prima volta che David le si rivolgeva in quel modo, ma dato che non voleva rovinare l'inizio di quella nuova vita con una risposta scortese, finse di non udire e proseguì con aria trasognata verso l'imbarco.

«Rosa!» ripeté la voce di prima.

Lei non si voltò. Era la voce delle sue fobie quella, non andava ascoltata.

Che ne sai dell'amoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora