24. Giselle

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David e Rosa tornarono a fare colazione tutte le mattine nel bar vicino a casa.

«Così Paul è partito. Devi averlo fatto scappare tu, sempre con quel muso lungo» ironizzò David.

«O forse lo ha fatto per lasciarti dormire nel suo letto. Non mi risulta che tu abbia dormito con me una sola notte da quando siamo qui.»

«Oh-oh attenzione! Ѐ iniziata la predica!»

«Dove hai trascorso la notte? E ieri? E l'altro ieri, dove sei stato? Sono sei notti che non ho tue notizie.»

«Ti prego non cominciare, non ci troviamo in Calabria. Siamo in California, Stati Uniti d'America. Hai presente? Fossi almeno di compagnia... sprofondi con la faccia nel cuscino appena metti piede in camera da letto e io cosa dovrei fare, starmene in ammirazione del tuo bel sedere?»

«A Milano lo facevi. Poi ogni tanto di notte mi svegliavi...» disse in tono più malinconico che sensuale.

«Comunque ho riletto il biglietto di Paul. Si augura che quando tornerà, avremo trovato un nuovo alloggio» continuò David.

Non concluse la frase che era già al bancone. Tornò dopo pochi istanti con il solito cappuccino annacquato e un giga-muffin bluastro, zeppo di calorie.

«Allora oggi che si fa?» domandò Rosa sorseggiando l'orribile bevanda calda, sforzandosi di contenere gli spasmi facciali.

«Nulla di ché. Dobbiamo solo trovare una casa, un'automobile e un lavoro. Quisquilie» replicò inviperito.

Rosa scoppiò a ridere.

Appurato che le sventure non arrivano mai da sole, quella risata attirò l'attenzione di una morettina seduta accanto a loro che faceva colazione leggendo l'L.A. Weekly. Una strana donna che incontravano ogni giorno a uno dei tavolini sul terrazzo del bar. Una bellezza in stile Madonna, piccolina, pepata, con il rossetto rosso già di prima mattina.

«Bonjour mes amis, comment Ça va?» esordì in un francese con forte accento americano.

«Bonjour mademoiselle, nous somme italienne, pas franÇais» replicò Rosa senza battere ciglio.

David riacquistò all'istante la sua luce.

Giselle, si chiamava così, iniziò a rivolgere le sue attenzioni a David, che tra i due sembrava il più amichevole. Intavolarono un'amabile conversazione rivolgendosi di tanto in tanto a Rosa nel tentativo di coinvolgerla, parlando un po' in inglese e un po' in francese, lingua che a tratti le risultava più comprensibile.

Da ciò che i fidanzati riuscirono a capire in quel primo scambio di battute - al quale purtroppo ne sarebbero seguiti molti altri - questa donna era afflitta da un dramma d'amore. Stava con un ragazzo parecchio più giovane di lei che, com'era intuibile, la faceva soffrire. Lei viveva a West Hollywood, in una villetta proprio accanto al bar, lui non si sa in quale angolo della megalopoli. Quanti anni avesse Giselle, non era dato saperlo. A Los Angeles qualunque donna di qualsiasi nazionalità non avrebbe rivelato il proprio segreto neanche sotto tortura. Ma Rosa aveva ventisette anni e Giselle ne dimostrava almeno dieci di più. Non si capiva da dove provenisse, ma parlava un perfetto inglese e un ottimo francese. Poteva essere canadese.

Anche David faticava a comprendere l'inglese parlato da una madrelingua, pur avendo vissuto a Los Angeles per un anno intero prima di tornarci con lei. O forse, pensò, fingeva. Forse non voleva riferirle tutto ciò che capiva e che a lei sfuggiva.

Alla domanda sulla sua occupazione, rispose che era un'artista: creava profumi.

«Questa è messa peggio di noi» bisbigliò Rosa fingendo di parlare d'altro, in un italiano veloce.

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