2. Indecifrabile enigma.

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Passai gran parte della mattinata, con gli occhi puntati al di fuori della finestra situata alla mia sinistra.
Era il motivo per cui quell'anno, come i precedenti, scelsi quel posto.

Mi esternavo dalle lezioni che si tenevano all'interno della classe, e la mente vagava oltre il confine che quelle mura mi impedivano di oltrepassare.
In qualche qual modo, mantenendo quel contatto con il mondo esterno, mi sentivo bene, libera.

I miei pensieri furono bruscamente interrotti dal suono della campanella. Chloe mi raggiunse, così insieme uscimmo dall'aula e con passo spedito ci dirigemmo in quella che era la mensa scolastica.
Mi guardai intorno, molti tavoli erano già occupati.

Mi misi in fila, nella speranza di riuscire a trovare qualcosa di commestibile.
Arrivò il mio turno, ricevetti il mio pranzo e cercai Dylan tra la folla.

Quando finalmente lo vidi, mi accorsi che non era solo. Difronte a lui, sedevano Bret e Jenna, avvinghiata al ragazzo di cui tutti sapevano e di cui, per qualche motivo a me sconosciuto, nessuno parlava.

Bret si accorse per primo della nostra presenza.
"Ragazze, sedetevi pure" ci invitò.
Contrassi le labbra in un sorriso tirato e mi sedetti di fianco a Dylan, con Chloe alla mia sinistra.

Bret , come suo solito, iniziò a raccontare di episodi avvenuti durante quell'estate, delle numerose ragazze che aveva frequentato senza alcun impegno.
Dylan si divertiva a provocarlo e Chloe non riusciva a fare a meno di ridere.

Caleb, invece, esattamente come me, rimase in silenzio per gran parte del tempo, ma più di una volta sentii i suoi occhi addosso.

La mia presenza non era gradita e non mi ci volle molto a capirlo.
Lo guardai di sottecchi, il suo sguardo era un indecifrabile enigma.

Non avevo mai visto niente di così oscuro.
I suoi occhi erano cupi, spenti, una visione capace di gelare il sangue nelle vene.

Tenevo la testa bassa, avrei sicuramente preferito starmene in disparte in un angolo della mensa o quanto meno altrove.

"Dylan, sembri aver cambiato gusti"
La sua voce roca, profonda, mi fece rabbrividire.
Alzai lo sguardo verso di lui, scoprendolo osservarmi con sufficienza.
Avrei voluto scomparire in quello stesso istante.

"I miei gusti non ti riguardano"
Tuonò Dylan, ma io ero già scattata in piedi. Era più forte di me, non riuscivo a reagire in nessun modo, e così, come sempre, predilessi la fuga.

"S-scusate, io inizio ad andare."
Informai loro, per poi voltarmi verso l'uscita. Dopo pochi secondi, sentii una mano avvinghiarsi al mio polso.

"Tutto ok?" Annuii, Dylan mi guardò qualche istante poco convinto, prima di lasciare la presa.
Abbandonai la mensa, senza voltarmi indietro, e mi diressi in classe, con l'obiettivo di assicurarmi il mio posto preferito.

***

La pausa pranzo finì e presto terminarono anche le lezioni.
Uscii, seguita da Chloe, e la salutai poco dopo, lasciandola al suo nuovo scooter.

"Vuoi un passaggio?" Sobbalzai per lo spavento, mentre dalla bocca di Dylan fuoriusciva una risata divertita.
"Dai, ti accompagno" Mi fece salire sulla sua moto, e dovetti stringermi con forza al suo busto, quando iniziò a sfrecciare come un pazzo, per le strade di Chicago.
Per mia fortuna, il tragitto durò poco.

Scendemmo entrambi davanti casa mia. "È stato bello spaventarti"
Mi ricordò, facendomi involontariamente increspare un sorriso.
"Sei ancora più bella quando sorridi" Mormorò avvicinandomisi.
Le mie guance avvamparono e lui mi stampò un leggero bacio sulla bocca.

Le sue labbra erano morbide, delicate sulle mie. Rimasi immobile, incapace di elaborare una frase di senso compiuto. Cercai di mascherare l'imbarazzo che si era ormai preso gioco di me, ma con scarsi risultati.

Non era di certo la prima volta che mi baciava, ma la mia reazione rimaneva sempre e comunque la stessa: una lastra di ghiaccio.

Mi salutò, ed io rientrai in casa.
Ero sola, ma non mi stupii.
Era passato poco meno di un anno dal mio trasferimento a Chicago, ed il rapporto con mio padre era rimasto invariato.

Erano poche le volte in cui si ricordava di me, in cui si ricordava di avere una figlia.
Nei sedici anni passati a Los Angeles con mia madre, non si era mai ripresentato nella mia vita, neanche una volta. Vivevamo sotto lo stesso tetto, ma era un uomo di cui sapevo poco e niente.
Del resto, a me non interessava la sua vita, ed a lui non interessava rendermene partecipe.

Tutto ciò che sapevo era che viveva per lavorare, e che possedeva lavoro che in un modo o nell'altro gli consentiva una vita benestante, e condizione economica più che ottima. Era un imprenditore, o almeno questo era quello che avevo capito dalle nostre sporadiche discussioni.

Mi accomodai sul letto in camera mia, con un unico pensiero:

Chloe non mi aveva ancora detto chi fosse davvero quel Caleb Moore.

La tempesta che mi ha travolto.Where stories live. Discover now