66. Qualcosa di grave.

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"Attenta alla macchina dietro" esclamò mentre aprivo lo sportello della sua auto, osservandomi dallo specchietto destro.
Grazie a lui, potevo evitare di imbattermi negli autobus presi d'assalto dagli studenti della scuola. Chi avrebbe mai immaginato che ci saremmo ritrovati così? Quasi come una normale coppia che varca insieme l'ingresso della scuola, con i cuori che pulsano veloce.

Quasi.

Era ovvio che qualcosa non andasse.
Da quella magnifica notte, alla casa sull'albero, da quella dannata telefonata,
un'aria cupa continuava ininterrotta a riempire di oscurità i nostri polmoni.
Non c'era un attimo in cui il suo volto si rilassasse.

Gli occhi saettavano guardinghi da una parte all'altra del cortile, come se da un momento all'altro qualcuno potesse sferrare un attacco.
Mi rivolse un sorriso debole, mentre leggevo nel suo sguardo estrema preoccupazione.

Avvicinò la sua mano calda alla mia, incrociando le dita con le sue.
Un gesto che scatenò fuochi d'artificio nel mio petto. Non mi avrebbe detto niente, non ancora, e quello era il suo modo di rassicurarmi, senza il bisogno di parole. Sarebbe restato al mio fianco, non mi avrebbe abbandonata.

Gli occhi dell'intera scuola erano puntati sulle nostre figure che insieme entrarono all'interno dell'edificio.

Il cielo e la terra.
Opposti, ma legati insieme dalla linea dell'orizzonte, per formare l'infinito.

Non ci importava. Non ci importava della gente, degli altri. Gli altri, per noi, neanche esistevano.
"Vieni di sopra a pranzo" mi sussurrò all'orecchio, quando fummo accanto al mio armadietto.
"Ok" risposi sorridente, osservandolo allontanarsi con passo sicuro.

Avrei voluto avere anche io quella sicurezza.
Eppure quando lui non era lì con me, le certezze accumulate si sgretolavano rapidamente. Per tutti tornavo ad essere la ragazza strana, la preda facile della 4ªC. E tutto questo iniziava a stancarmi.

"State insieme adesso?" Trasalii, quando mi accorsi della presenza di Dylan al mio fianco. Erano settimane che si teneva alla larga da me. Lo avevo visto solo un paio di volte fermarsi a parlare con Chloe. Dopotutto erano ancora fratello e sorella.
"Sì" risposi secca.
"Non ti credevo così stupida" inarcai un sopracciglio infastidita.

"Sei caduta nella sua rete, come una qualsiasi ragazza in preda alle crisi ormonali" trattenni la rabbia.
"Mi stai dando della poco di buono?" Assottigliai lo sguardo.
"Sicuramente non sei la Santa che volevi sembrare quando stavi con me" scossi la testa, delusa più che mai. Non sarei rimasta lì ad ascoltarlo un secondo di più.

"Quando si stancherà di te, allora mi darai ragione" disse quando gli diedi le spalle, intenzionata ad andarmene.
"Niente di quello che dirai mi farà cambiare idea. Sai perché?" mi voltai verso di lui un'ultima volta.

"Perché lo amo! E l'amore è più forte delle tue stupide insinuazioni" non aggiunsi altro; me ne andai, lasciandolo di stucco.

***

"Eccomi" esordii, aprendo la porta della terrazza. Lui era già lì, con una sigaretta tra le dita, a guardarsi intorno.
"Che voleva Dylan?" mi avvicinai pensierosa.
"Come lo hai saputo?" sbuffò una risata.
"Sottovaluti i pettegolezzi della scuola"
alzai gli occhi al cielo. La gente non faceva altro che immischiarsi negli affari degli altri.

"Non voleva niente. Continua ad esprimere il suo disappunto a proposito della nostra relazione" annuì, cercando di restare calmo, ma dal modo in cui stringeva i pugni, era chiaro che non lo fosse affatto.
"Se ti da fastidio di nuovo ci penso io" Sentenziò, trascinandomi per la vita verso di lui, in modo da poter essere più vicini possibili. Le mani stringevano in modo rude i miei fianchi.

"Devi promettermi una cosa, ok?" Il suo sguardo si fece serio, mentre fissava intensamente il mio, alla ricerca di un'approvazione. Approvazione che ricevette all'istante.
"Cerca di stare il più attenta possibile" aggrottai la fronte.
"Che significa, Cal?" Sospirò.

"Significa che devi guardarti le spalle, cercare di non restare da sola" deglutii. "Mi stai seriamente facendo preoccupare" confessai ansiosa.
"Lo so e mi dispiace"
Mormorò lasciandomi un bacio sulla fronte.
"Ma devi fare quello che ti dico"

Portò una ciocca dei miei capelli dietro l'orecchio, scoprendo del tutto il mio occhio destro.
"Qualsiasi cosa accada, anche la minima stranezza, chiamami. Io verrò da te" sbattei più volte le palpebre nel tentativo di realizzare. "Ok, va bene" dissi.

"Ma voglio sapere che sta succedendo" distolse lo sguardo.
"Questo mistero va avanti dall'altra sera. È qualcosa di grave e io voglio sapere di cosa si tratta" inspirò profondamente.
"Per adesso non posso Ky, ma giuro che te lo dirò" mi strinse il viso tra le mani.

"Fidati di me" Annuii, ancora perplessa.
"Non voglio che tu ti faccia male" ammisi, mordicchiandomi un labbro.
"Non succederà, sta tranquilla" mi rassicurò, alzando lo spigolo della bocca.

In punta di piedi, depositai un bacio casto sulle sue labbra per poi allontanarmi controvoglia.
"Andiamo, sta suonando la campanella"

***

Al ritorno a casa, dopo il passaggio offertomi da Caleb, trovai mio padre seduto sulla poltrona, intento a fissarmi.
C'era decisamente qualcosa di strano.
Non tornava mai a quell'ora dal lavoro, e per di più, sembrava stesse aspettando proprio me.

"Devo dirti una cosa, Kylie"
Gran bella giornata.
"O-ok" mi andai a sedere titubante sul divano, difronte a lui.
"Dobbiamo andare via" il cuore smise di battere.
"Andare dove?" chiesi solo dopo un minuto di silenzio.
"A Madison" strabuzzai gli occhi.

"C-cosa? Perché?"
"Mi dispiace, ma il lavoro qui non va più bene" mi alzai in piedi.
"Quale lavoro?"
Incalzai, era il momento giusto.
"Kylie lo sai benissimo..." roteai gli occhi.

"Davvero? Perché io non credo" si alzò a sua volta, palesemente destabilizzato dalla mia reazione.
"Non sono stupida! Tu non ti occupi della vendita di jet privati"
Le sue labbra si schiusero per lo stupore.
Sfortunatamente per lui, i suoi occhi come i miei erano troppo cristallini per nascondervi la verità. Forse poteva darla a bere a qualche suo impiegato ma io ero sangue del suo sangue.

Dovevo tirare fuori gli artigli, o come diceva Caleb, il mondo mi avrebbe graffiata per prima.
"Mi hai preso per uno spacciatore?" replicò sarcastico. Non sapevo ancora cosa mi nascondesse.
"Sicuramente non per un uomo sincero"
dissi con tono sprezzante.

"Uno con un lavoro come il tuo, non conserva di certo una cartella con la ricevuta del pagamento di alcune armi" sputai senza giri di parole.
"E non va a lavorare scortato da due uomini alti un metro e novanta, come hai fatto nelle ultime due settimane" aggiunsi. Ero rimasta in silenzio, per non intromettermi in cose che non mi riguardavano, ma era arrivato il momento di scoprire le carte.

"Si tratta di un enorme malinteso io..."
lo interruppi.
"Non so in cosa sei immischiato, e sinceramente non mi interessa, ma sappi che io non verrò con te" asserii, decisa.
"Che ti piaccia o no, io resto qui"

La tempesta che mi ha travolto.Where stories live. Discover now