30. Il criminale che non fa paura.

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Caleb's pov.

Tra tutti i fottuti giorni che avevo per tornare a scuola, io avevo scelto proprio il giorno della lezione di fotografia.

Gran bella mossa, pensai.

La verità era che non me fregava un emerito cazzo di quello stupido corso, anzi, avrei senza dubbio preferito occuparmi dei miei affari, o forse farmi qualche biondina assatanata tra i corridoi; ma le mie ore d'assenza dalla scuola iniziavano ad aumentare e avrebbero potuto compromettere la mia promozione.

Aprii la porta dell'aula, assicurandomi bene che sbattesse con forza, solo per vedere la figura di quel coglione del professore sobbalzare.
Alzai lo spigolo della bocca ed andai a sedermi.

Il mio sguardo cadde sulla nanetta del banco accanto, già intenta a mordicchiarsi l'interno guancia.
Lo faceva spesso, non era la prima volta che lo notavo ed il che mi infastidiva quasi quanto le ciocche di capelli castani che coprivano quasi del tutto i suoi occhi invadenti.

Mi sedetti, distogliendo lo sguardo.
Sapevo che non dovevo guardarla, non dopo quello che le avevo detto quella mattina, ma i miei occhi, la bramavano più di ogni altra cosa.

Solo qualche giorno prima, mi aveva fatto incazzare come non mai, eppure mi ero ritrovato a sorridere sapendo che il motivo per cui si sarebbe potuta cacciare in qualche guaio era la sua dannata gentilezza.

Era maledettamente ingenua, e questo mi faceva impazzire: io, Caleb Moore, dovevo avere il controllo su tutto, e lei, Kylie Bennet, il controllo me lo faceva perdere.

Passai il resto della lezione a giocherellare con una matita; la osservai lanciarmi occhiate di sottecchi, almeno fin quando non accennai un sorriso beffardo nella sua direzione lasciandole intuire che ero a conoscenza di qualche suo sguardo di troppo.

Voltò la testa di scatto, ma non abbastanza velocemente da impedirmi di vedere le sue guance tingersi di rosso.

Non avevo idea che esistessero ancora ragazze capaci di arrossire, ma forse i mesi in riformatorio mi avevano tenuto all'oscuro di simili e piacevoli novità.

La campanella annunciò la fine della tortura, e con gran sollievo abbandonai la classe, alle sue spalle, godendo di una visuale niente male.

Non mi ero mai accorto di che gran bel fondonschiena avesse. Misi a freno l'ormone, e mi concentrai su altro.

"Piove" constatai, con le braccia conserte, dietro di lei.
"Sì, vedo" rispose con freddezza.
"Girano?" Mi guardò confusa. "I coglioni"
Precisai ridacchiando.

"No, voglio solo tenere le distanze" scossi la testa.
"Non ti credevo così infantile, ma pazienza" sbuffò, voltandosi nella mia direzione.
"Non sono infantile" borbottò, con le mani sui fianchi.

"Sei buffa incazzata" Affermai, calcandomi il cappuccio della felpa sulla testa.
"Quando hai finito di prendermi in giro...ho da fare" bofonchiò.
"Vuoi che ti prenda e basta?"

"O Dio, ti prego!" Non potei far a meno di scoppiare a ridere, davanti alla sua espressione sconcertata.

"Andiamo" ordinai.
"D-dove?" Domandò scettica.
"Tranquilla non ho cattive intenz..."
"Sì, lo so" Mi interruppe prontamente.
"Ti riaccompagno a casa"
"I-io prenderò l'autobus, grazie lo stesso"
farfugliò.

"Dovresti comunque fare un pezzo di strada a piedi" Asserii apatico.
Non volevo che credesse che la faccenda mi importasse più del dovuto. "D'accordo" cedette in fine.

"Non sapevo avessi una macchina" affermò, aprendo lo sportello della mia auto.
"Una macchina fino ad ora asciutta" borbottai, osservando le goccioline d'acqua cadere sulla tappezzeria dalle punte dei suoi capelli.

Le lanciai un'ultima occhiata prima di avviare il motore.

Aveva le guance rosate, le labbra più piene del solito. I capelli mori si modellavano morbidamente attorno al suo viso, e la maglietta nera, per via della pioggia, aderiva maledettamente troppo alla sua pelle, lasciando ben poco all'immaginazione.

"Tutto bene? Sembri impallidito" ripresi il controllo.
"Sì scusa, pensavo a cosa fare stanotte" ammiccai, facendola sospirare pesantemente.

"Perché vuoi tenermi lontana?"
Le sue parole mi piovvero addosso come una secchiata d'acqua, di gran lunga peggiore di quella che si era appena abbattuta sull'abitacolo.

Mantenni lo sguardo sulla strada. "Pensavo fosse abbastanza facile da capire" dichiarai nervoso.
"A q-quanto pare non per me" ammise abbassando lo sguardo.
"Lo hai visto che persona sono, cazzo"

"Non giudico una persona dal suo lavoro, dalle apparenze" iniziai a battere freneticamente il pollice sul volante.

Perché non poteva semplicemente fare come tutte le ragazze che fino ad allora avevo conosciuto? Perché non scappava sapendo chi ero? Perché invece di volersi semplicemente infilare nel mio letto, si ostinava a volermi conoscere?

"Sono un fottuto criminale, non si tratta di una questione di lavoro ma di tipo di persona!" Risposi, alzando il tono della voce.

"Se hai fatto determinate scelte ci sarà un motivo, non sei una persona cattiva, lo so" affermò puntando gli occhi sul mio profilo, ed incendiando ogni punto di esso.

"Non sai un cazzo!" Sbottai.
"Potrai essere anche il peggior delinquente del mondo, ma accanto a te, non ho paura. Tu non mi fai paura Caleb" la sua voce si incrinò, provocandomi uno strano fastidio.

"Siamo arrivati, puoi scendere" e così fece, con il capo chino e gli occhi ancor più lucidi. Ma forse era meglio così.

La situazione sarebbe potuta drasticamente degenerare.

La tempesta che mi ha travolto.Where stories live. Discover now