55. Stanca della situazione.

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Il giorno successivo a quella sorta di litigio con Caleb, lo passai fissando il vuoto. Non potevo definirlo un vero e proprio litigio, semplicemente perché non c'era stato nessun tipo di dialogo tra noi, come accadeva spesso.

Non capiva che comportandosi in quel modo - ossia sviando ogni mia domanda o inventandosi qualche banale scusa per rimandare la questione - non faceva altro che scappare dai problemi invece di affrontarli come una persona matura.

Io, in tutto ciò, mi sentivo quasi stupida nel provare sofferenza ogni qualvolta che qualcosa andava storto tra noi due, eppure mi ostinavo a farlo.
Una sola parola di troppo, un suo atteggiamento strano o sbagliato, ed il mio umore cambiava radicalmente, sopraffatto da un dolore ingiustificato.

Il problema più grande, tuttavia, rimaneva uno, e non smetteva di tormentarmi neanche per un attimo: Quale pensiero, era così profondo, insistente, e doloroso, da impedirgli di vivere la sua vita come avrebbe fatto qualunque altro ragazzo alla sua età? E soprattutto per quale motivo non era in grado di esternarlo al resto del mondo?

Restava il mio più grande dubbio e lo sarebbe stato ancora per molto, vista la situazione.

"Allora ci sei stasera?" Sobbalzai, quando la voce di Chloe irruppe nei miei pensieri. "Ehm...ricordami dove dobbiamo andare" Chiesi, facendola sospirare pesantemente. "Andiamo Kylie! Non puoi fare così ! O almeno non solo per colpa sua"
Abbassai lo sguardo dispiaciuta.

"Non so che abbia fatto stavolta, ma sappi che è un cazzone e non devi disperarti per lui" Intervenne Bret, guardandomi dolcemente.
"Grazie" mormorai.

"Comunque per stasera, ti volevamo alla partita di basket. È la più importante del campionato, vorremmo che ci fossi anche tu a fare il tifo per noi" aggiunse sorridente il mio amico.
"D'accordo. Ci sarò" affermai, incurvando a mia volta le labbra all'insù.

"Ma guarda un po' chi arriva" esclamò Chloe, con una smorfia sul viso.
Mi voltai, non sorprendendomi affatto nel scoprire di chi si trattasse.
Accidenti, chi poteva essere se non lui?

Caleb avanzava dritto nella nostra direzione, con quel suo modo di camminare sensuale e affascinante, che per un attimo crebbi di essere improvvisamente diventata la spettatrice di una sfilata di moda.

"Voglio parlarti di una cosa" esordì con una fermezza che mi fece gelare il sangue.
"Non è il momento adatto" replicai sommessamente. Il mio sguardo cercava ovunque un posto a cui aggrapparsi che non fossero i suoi occhi.

"Credo che lo sia invece"
"No. Non mi va adesso, ok?"
Sbottai con voce tremolante.
"Voglio stare in santa pace, almeno cinque minuti" aggiunsi.

La sua bocca si schiuse sul punto di rispondere, ma Bret lo impedì, posando una mano sulla sua spalla.
"Caleb, credo che dovresti andare"  Sentenziò, guardandolo negli occhi.
"Lo credo davvero"

Caleb si voltò un'ultima volta nella mia direzione, cogliendomi alla sprovvista. Quello che non doveva succedere, successe.

Inostri sguardi si intrecciarono per attimi che sembrarono infiniti.
E quando tra noi si instaurava un contatto visivo di quel genere, non avevamo bisogno di parlare. Occhi negli occhi demmo vita ad un'intesa, una chimica, che a parole non sarei riuscita a spiegare, ma che in quel momento avrei potuto dimostrare.

Abbassai lo sguardo, e solo allora lui mi diede le spalle e rassegnato se ne andò.

***

Nel tardo pomeriggio, andai a quella dannata partita.
Sapevo che lo avrei incontrato, ciò che non sapevo era se ne sarei stata felice oppure no.

Sì, vederlo mi avrebbe fatto esplodere il cuore come ogni singola volta, ma conoscendo Caleb almeno un po',
potevo perfettamente immaginare cosa il mio rifiuto avesse fatto scattare in lui, essere umano orgoglioso come nessun altro.

Ed in effetti quando davvero lo vidi, ebbi la certezza che la mia reazione non doveva essergli piaciuta proprio per niente.
La partita era iniziata da una mezz'ora circa, e i suoi occhi non mi avevano ancora degnato di uno sguardo. Continuava a fissare un paio di punti precisi nel campo.

Assorto nel suo mondo, sembrava non far caso neanche a tutte le grida, le esultanze, e i fischi che circondavano le nostre orecchie.

"È troppo testardo per girarsi a guardarti"
mi ricordò Chloe. "Bret mi ha detto che l'incontro con il padre ieri lo ha scosso molto" Mi allertai.
"Il padre? C-che altro ti ha detto?"
"Da quanto ho capito è lui che gestisce la loro banda" disse più sottovoce.
"Voleva parlargli e quando è tornato a casa dai ragazzi ha dato di matto. Diciamo che ha tirato fuori l'orso che c'è in lui" la guardai male, poi non dissi più niente.

Che mai poteva avergli detto il padre, per scatenare una simile reazione?

Non ne avevo idea, e mai l'avrei avuta.
Non mi avrebbe mai reso partecipe della sua vita privata.
Dannazione, c'erano così tante cose che non sapevo ci lui: una marea di incognite che mi facevano sentire ancora più piccola, stupida, ingenua.

Io gli stavo dando tutto, ma lui cosa mi stava dando in cambio?

Bret parlava apertamente con Chloe, la informava di tutto ciò che voleva sapere, mentre io, le poche risposte che avevo ottenuto, me le ero guadagnate faticosamente.
Ma in fondo cosa mai potevo pretendere io?

Cosa mai potevo pretendere io che per lui ero nessuno, ed insieme il niente?

Ero stanca. Davvero troppo stanca per continuare a far finta di niente, a fingere che tutto andasse bene.

"Kylie dobbiamo andare" sbattei ripetutamente le palpebre, destandomi dai miei pensieri.
"Andare dove?" Sbuffò Chloe con aria esausta.
"Alla festa dopo partita! Te lo avrò detto un centinaio di volte!"
Mi grattai la nuca.

"Ehm si giusto" rialzai lo sguardo verso il posto su cui Caleb era seduto, qualche istante prima. Era vuoto.
Evidentemente lui era già andato via.

Mi alzai, seguendo Chloe ed il resto della folla dirigersi verso la famosa festa. Ripensai all'ultima volta in cui mi ero recata in quel pub; Caleb era stato sul punto di uccidere Dylan, quella sera.

Fortunatamente quest'ultimo non si era più fatto vivo. Tendeva ad ignorare la mia presenza e ciò, detto francamente, non mi dispiaceva affatto. Anche se era il fratello della mia migliore amica, non avrei comunque potuto tornare a frequentarlo come se niente fosse successo.

Arrivammo in breve tempo nel locale in questione.
Di lì a poco, la grande sala presente all'interno si riempì completamente.
Tra la folla, avvistammo Bret, che ci venne incontro, salutandoci.

"Amore" diede un rapido bacio a stampo alla mia amica, la quale sorrise sincera.
Ammiravo molto la loro relazione.
Decisi di lasciar loro un po' di spazio, così mi diressi verso l'uscita del locale, lontana da tutto quell'insopportabile caos.

L'aria fredda mi colpì in viso con prepotenza. Il clima gelido di Chicago iniziava a farsi sentire. Passo dopo passo,  la musica e le voci della folla si fecero sempre più impercettibili.

Mi sentii immediatamente meglio. Nonostante avessi frequentato numerose feste in quei primi mesi dell'anno scolastico, il mio odio verso quella confusione estrema che si creava in determinate circostanze non aveva accennato a diminuire.

Ero sul punto di rientrare dentro, quando uno strano rumore alla mia destra mi raggelò, nel deserto buio della sera.

La tempesta che mi ha travolto.Where stories live. Discover now