71. Messaggi nascosti.

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Se non ero ancora crollata era solo grazie alla visione di Caleb. Per quanto fossi distrutta, le sue parole mi avevano regalato qualche briciolo di speranza, direttamente proveniente dal cuore.

Non avrebbe ucciso mio padre.
I due uomini che mi avevano sequestrata potevano anche ritenersi soddisfatti del fatto che Caleb avesse affermato di essere disponibile a fare qualsiasi cosa volessero, ma io avevo la certezza che quelle due pozze azzurre avessero spudoratamente mentito.

Avrebbe fatto qualunque cosa in suo potere per trovarmi, e io lo avrei aiutato. Avrei lottato con lui; arrendersi al destino era solo da vigliacchi.
Ero esausta, fisicamente e mentalmente come lo era Caleb, ma ero anche disposta a fare tutto il possibile affinché quella storia finisse.

"Ho molta fame e dovrei andare in bagno"
esclamai, facendomi coraggio.
Quegli uomini erano pur sempre armati e mentalmente instabili a mio parere. "Pisciati addosso"
replicò sprezzante quel Bryan.

"Quindi è così che trattate l'unica garanzia di cui siete in possesso affinché tutto vada secondo i piani? Da quanto ne so, quando alla merce di scambio viene riservato un trattamento così rude e poco educato, dall'altra parte ci sono tutti i presupposti per far saltare l'accordo" il ragazzo ridusse gli occhi a due fessure. Sembrava alquanto infastidito dal mio atteggiamento.

"E comunque non vorrei allagare il pavimento" aggiunsi sfacciatamente.
"Dio, che schifo. Questo non è un porcile, portala al bagno al piano di sopra" gli ordinò Aron. Grazie al cielo.

"Una mossa sbagliata e un proiettile perforerà il tuo petto e quello del tuo fidanzato" mi intimò, avanzando nella mia direzione con la pistola tra le mani. "Non farò niente, lo giuro" mormorai intimorita.
"Bene" ripose l'arma al suo posto, e mi slegò i polsi.

Le corde avevano lasciato dei segni rossi evidenti su di essi, ma in quel momento non mi importava.

Bryan, mi afferrò con forza il braccio, trascinandomi verso le scale, poste sul retro della stanza. Dal modo in cui la mascella si era contratta al comando di Aron, avevo intuito che non si trovasse troppo d'accordo con la decisione presa dal fratello maggiore.

Dopo pochi gradini arrivammo al piano superiore.
Era un ambiente piccolo, ancora una volta in legno, e quasi completamente vuoto. Alle finestre erano inchiodate delle travi, anch'esse in legno, che impedivano il contatto visivo con l'esterno.
"Il bagno è qui. Sta' molto attenta, stronza" mi guardò in cagnesco, per poi aprire una porta, e richiuderla una volta che fui entrata all'interno di quello che doveva essere il bagno.

Al suo interno vi era soltanto uno squallido water, ma di certo non era quello ad interessarmi.
Ciò che più mi colpì fu la piccola finestra sulla parete laterale del bagno, nessuna trave ne oscurava la visuale.
Sospirai, e in un batter d'occhio mi avvicinai ad essa. La maniglia era bloccata, ma riuscii comunque ad avere un'idea dello spazio esterno a quella prigione.

La strada di fronte era deserta, probabilmente non c'era nessuno che abitasse nei dintorni, ma aguzzando la vista, fui in grado di mettere a fuoco un cartello e la scritta nera in risalto su di esso. Sì, sì, sì!

Washington blvd.
Era lì che mi trovavo e dovevo assolutamente trovare un modo per far arrivare a Caleb quell'informazione.

"Muovi il culo"
Urlò Bryan dall'altro lato della porta.
"Solo un attimo" rapidamente, liberai la mia vescica sul punto di esplodere, e ed uscii dal bagno.

"Finalmente" bofonchiò l'uomo, acciuffandomi di nuovo il braccio.
La sua presa faceva maledettamente male, ma non dissi nulla e resistetti dolorosamente fin quando non mi ritrovai nuovamente seduta su quella dannata sedia di legno.

"È necessario?" domandai, rompendo il silenzio formatosi, quando iniziò di nuovo a legare strettamente i miei polsi. "Necessario quanto il tuo restare zitta" affermò con freddezza Aron, alzandosi dalla sedia su cui era rimasto seduto in quel breve intervallo di tempo.

"È il momento di chiamare Moore" annunciò, lanciando un'occhiata di intesa a Bryan.
Quest'ultimo si avvicinò al tavolo metallico, accostato alla parete alle mie spalle, afferrò un tablet di ultima generazione, e lo porse silenziosamente al fratello.
Aron digitò qualche tasto sul display.

"Che piacere poterti sentire di nuovo, Caleb" mi agitai sulla sedia. Non aspettavo altro che quel momento. "Vorrei poter dire lo stesso"
Una scia di brividi mi attraversò la schiena quando lo sentii parlare.
La sua voce calda aveva il potere di riaccendermi il cuore.

"Questa telefonata servirà soltanto a delucidarti alcuni punti del piano" iniziò Aron. Ero nervosa, estremamente nervosa. Dannazione, quell'uomo aveva chiesto a Caleb di uccidere mio padre.
È vero, con lui avevo scoperto cosa significasse odiare davvero qualcuno, ma sul serio potevo rimanere impassibile mentre veniva organizzato il suo omicidio?

"Tra poco riceverai un messaggio con l'indirizzo della casa attuale di Gloomy e altre informazioni che potrebbero esserti utili"
Il sospiro frustrato di Caleb giunse fino alle mie orecchie lontane.
"Fammi capire dovrei presentarmi in casa sua e iniziare a sparare? Sai non credo sia così facile" affermò.
Aron alzò gli occhi al cielo.

"Sei intelligente, sono sicuro che troverai un modo sicuro per risolvere la cosa. Potrai gestire la cosa a modo tuo, ma un solo passo falso, e la ragazzina ne subirà le conseguenze" lo avvisò minaccioso.

"Voglio vederla" Sentenziò Cal.
"Tu non comandi un cazzo, chiaro?"
"Voglio vederla e ti conviene accettare la cosa se vuoi che io esegua il lavoro sporco subito. Sai la gente inizia a sospettare, tra non molto la polizia sarà sulle tue tracce, conviene più a te che a me che la faccenda si sbrighi il prima possibile"
Aron impallidì.

Non si aspettava di certo una simile risposta. Caleb sembrava aver riacquistato la risolutezza e la fermezza che tanto lo contraddistinguevano.
Un buon segno. Senza dire una parola, Aron, si avvicinò con il tablet tra le mani, concedendomi di vederlo.

Abbozzai un sorriso, con il respiro affannato. Era ugualmente bello, con i capelli mori spettinati, la barba incolta e il viso sciupato da quell'eccessivo stress.

"Tutto bene? Ti hanno fatto del male?"
mi chiese premurosamente.
"No, non preoccuparti. Va tutto bene" emise un sospiro di sollievo.
"Ma c'è una cosa che vorrei dirti" inarcò un sopracciglio, insospettito da quella mia rivelazione.

"Ricordi quando ti dissi che a breve volevo visitare la città natale di mia madre?" annuì perplesso.
Catturava ogni minimo dettaglio delle mie parole ed era esattamente ciò che volevo ottenere.
"Ecco, ci ho pensato e vorrei che tu fossi lì con me, a sostenermi. A dire il vero vorrei che tu fossi qui anche adesso, ma alla fine è la stessa cosa, no?"

Ti prego Cal, comprendimi.

"Capisci quello che ti sto dicendo?"
Mi mordicchiai il labbro inferiore, con agitazione. Doveva funzionare, cavolo. Quell'idea doveva assolutamente funzionare.
"Capirò Ky, te lo assicuro" mi rasserenò, rivolgendomi un mezzo sorriso.

Quell'intesa che si creava tra noi ogni volta che i nostri sguardi si incontravano bastava a rendere il tutto molto più semplice.

"Basta così" intervenne Aron.
"Il vostro tempo è scaduto"

La tempesta che mi ha travolto.Where stories live. Discover now