15. Una partita da perdere.

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"Cosa ti ha detto Jenna?" Domandò sviando il precedente discorso.
"Non ho voglia di parlarne"
Risposi asciugando una delle tante lacrime che bagnavano il mio viso.

"E il tuo fidanzato? Non dovresti essere con lui?" Chinai la testa, ricordando il suo tradimento.
"Diciamo che ho scoperto alcune cose che mi hanno fatto ricredere su di lui.
Io gli ho esposto una parte del mio dolore, e lui l'ha riferita a Jenna" spiegai brevemente.

Quando rialzai la testa verso di lui, approfittai del fatto che avesse lo sguardo puntato in basso per scrutare ogni singolo particolare dei suoi impenetrabili occhi azzurri.

Lui era così, impenetrabile.

"Sei sempre stato così apatico?" Si voltò verso di me, alzando appena lo spigolo della bocca.
"Non sono apatico, sono solo bravo a nascondere"

Rimanemmo qualche minuto in silenzio, seduti sullo scalino di un marciapiede.
Un silenzio intenso, meravigliosamente piacevole.

"Posso tornare a casa adesso, non voglio darti altro fastidio"
Si alzò dal gradino, raggiungendo la moto e salendo a bordo di essa.

"Allora?" mi incitò, vedendomi rimanere ferma immobile davanti alla moto.
Dopo le dovute riflessioni, lentamente cercai di salire dietro di lui, ma capii solo in seguito che non era un'impresa così semplice.

Proprio quando era sul punto di arrendermi, la sua mano grande si avvolse attorno al mio braccio, trascinandomi verso di lui.
La mia pelle tremò a contatto con la sua.

"O ti reggi o ti spiaccichi a terra. A te la scelta" la sua voce dura mi fece ricomporre.
"Oh si c-certo, s-scusa"
Farfugliai, imbarazzata, per poi avvolgere titubante il suo busto robusto con le mie braccia.
Le mani mi tremavano.

"Dove abiti?"
"Altgeld street"
Partì senza preavviso ed io dovetti aumentare la presa sul suo addome per paura di cadere, quando iniziò a sfrecciare per le strade buie.

Come poteva una persona fredda e gelida come lui, trasmettermi così tanto calore?

"Siamo arrivati" Accostò lungo la strada ed io scesi dal veicolo, ancora scossa.
"Non ami rispettare i limiti, vero?" Ironizzai.
"Diciamo che preferisco superarli"
Annuii, pensando a come ogni sua risposta riuscisse a colpirmi nel profondo, incrementando la mia voglia di sapere.

"Grazie di tutto" Affermai timidamente. Lui mi lanciò un'ultima occhiata prima di ripartire, senza dire niente.
Lo osservai volare via lungo la strada deserta, e poi mi voltai verso casa.

Le luci erano spente, difatti mio padre non era ancora tornato.
Entrai velocemente in casa con la sola voglia di dormire e dimenticare la serata,
che si era salvata soltanto per il finale.

Sembrava assurdo, ma in qualche maniera, Caleb era riuscito a darmi conforto. Non aveva minimamente accennato ad un 'mi dispiace' o ad una qualunque altra frase fatta, eppure nel silenzio, io mi ero sentita magicamente rasserenata.

Raggiunsi camera mia, ed estrassi il telefono dalla tasca. 9 chiamate perse.
Sbuffai, non mi importava se Dylan fosse preoccupato, ma se lo fosse Chloe.
Le inviai un messaggio:

Sto bene, sono a casa. Ho bisogno solo di riposare.

Spensi il cellulare e mi gettai sul letto.
Il giorno dopo sarebbe stato domenica e ciò significava che, fortunatamente, avrei potuto dormire qualche ora in più e non sarei stata obbligata a stare a stretto contatto con persone che non desideravo minimamente incontrare.

Mi infilai sotto le coperte, con l'intento di riposare, ma numerosi pensieri continuavano a vagare nella mia mente, impedendomi perfino di dormire.

Jenna mi aveva umiliata davanti a tutti. Ormai era chiaro che mi odiasse con tutta se stessa. Quella non era stata una semplice presa in giro, era stato il risultato del suo desiderio malato di arrecarmi dolore.

Aveva messo in ballo mia madre, l'unica cosa che non avrebbe mai dovuto fare.
Lei doveva rimanere qualcosa di mio, di interiore, non uno stupido pettegolezzo.
La sua morte mi aveva lacerata, la mia anima si era sgretolata in tanti piccoli pezzi e quando era arrivata al punto di ricomporsi era stata afferrata e calpestata di nuovo.

Forse la gente aveva ragione: ero debole. Forse mi ero lasciata schiacciare dagli altri troppe volte senza reagire.

Ma ero sola.

Nessuno poteva aiutarmi, forse perché nessuno era disposto a farlo o forse perché ero io ad impedirlo.

Mi morsi un labbro per non piangere nuovamente. Su chi avesse versato più lacrime, avrei potuto far a gara con il cielo, ma allora quella sarebbe stata l'unica sfida che avrei dovuto perdere.

"Kylie" Sobbalzai quando sentii la porta della mia camera aprirsi.
"P-papà?" Si avvicinò discretamente.
"Hai gli occhi gonfi, che ti è successo?" Abbassai lo sguardo.
Discutere con mio padre della serata tragica era l'ultimo dei miei desideri.

"Non è successo niente, tranquillo" Risposi, cercando di apparire il meno fredda possibile.
"Ti prego, Kylie. Non alzare un muro." Disse, quasi in un sussurro.
Sgranai gli occhi.
Come poteva dire una cosa simile, dopo tutto il dolore che mi aveva causato?

"Il muro di cui parli esiste già da tempo, e questa non è la serata giusta per abbatterlo"
I suoi occhi si cosparsero di delusione. Provavo quasi tenerezza per lui.
Forse era sbagliato, eppure non potei fare a meno di addolcirmi.
"Non prendertela, davvero. È tutto apposto" Tentennò qualche istante, prima di abbandonare la stanza.

Chissà se un giorno, quell'invalicabile muro sarebbe davvero crollato.

La tempesta che mi ha travolto.Where stories live. Discover now