60. Panini e dure verità.

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"Sei già piena, dilettante?" Feci una smorfia, posando l'ultimo pezzo di panino nel sacchetto bianco.
"Ok ok, mi arrendo a un fuoriclasse come te" sorrise vittorioso, dopo aver ingoiato anche l'ultimo boccone.

"Mi sei mancato, oggi" dissi all'improvviso, camminando al suo fianco.
"Quando ci sei tu a scuola, è tutto diverso" Caleb inarcò un sopracciglio.
"Non mi sento così...vulnerabile"
Distolsi lo sguardo, repentinamente imbarazzata.

"Lo so, sembro ridicola" afferrò la mia mano e la strinse nella sua.
"No, non è vero" Sentenziò, serio come non mai.
"E se qualcuno prova a farti del male, ti basterà dirmelo, e stanne certa, capirà cosa significa essere nel mirino di Caleb Moore" alzò delicatamente il mio mento con le dita affusolate, costringendomi a guardarlo.

"Non devi avere paura di quella gente"
Le sue iridi blu affondarono nelle mie.
"Tu sei più forte di loro, ricordalo sempre" e mentre pronunciava quelle parole, iniziai a rendermi davvero conto dell'ampiezza di quel sentimento che portavo nel petto. Così profondo che sarebbe bastato un niente per lacerarmi.

"Tua madre ha i tuoi stessi occhi?"
Si irrigidì. Sapevo quanto gli costasse aprirsi con me, soprattutto quando si trattava di argomenti delicati come la famiglia, quindi non rimasi sorpresa da quel suo improvviso cambio d'umore.
"È una domanda molto specifica"
feci le spallucce.
"Comunque sì, fortuna almeno che non sono biondo" aggrottai la fronte.

"Hai qualcosa contro i biondi?"
Chiesi, nel tentativo di smorzare la tensione creatasi.
"Sono più stupidi" Sentenziò. "Il tuo ex ne è l'esempio" Alzai gli occhi al cielo.

"E abita qui? Tua madre intendo"
domandai dopo qualche attimo d'esitazione. Lui scosse il capo.
"A Rockford, si è trasferita lì dopo la morte di mia sorella" deglutii a fatica.
Soffrivo solo ad immaginare il suo dolore.
"Mi dispiace" quasi sussurrai, sincera.
"Anche a me" mormorò con lo sguardo basso.

"Sai, mi sarebbe piaciuto avere un fratello o una sorella, qualcuno di cui prendermi cura" raccontai, costringendolo a riportare gli occhi nei miei.
"Credo sia per questa mancanza che sento una quasi irrefrenabile necessità di diventare madre" non smise di guardarmi neanche per un attimo.
Sembrava affascinato da quelle mie innocue rivelazioni.

"E tu? Vorresti avere dei figli un giorno?" Abbassai lo sguardo. Ero curiosa ma al tempo stesso avevo paura di quella che sarebbe stata la sua reazione.
"Non credo faccia per me, il padre"
Mi accigliai, per nulla soddisfatta da quella sua sintetica risposta.
"Insomma mi ci vedi? Io, che invece di dare ai bambini la merenda, gli consegno bustine di cocaina" sbuffò una risata.
"Sarebbe assurdo" mi incupii.

"Pensi davvero di fare questo tutta la vita?" La voce d'improvviso mi tremava.
"E tu pensi davvero che un giorno io possa svegliarmi e decidere di mettere da parte tutto per iscrivermi al college?"
La calma che ci circondava qualche istante prima era ormai scomparsa del tutto.

"Ci sono sempre delle alternative" scrollò la testa, con un sorriso amareggiato stampato sul viso.
"Quando capirai che questo è il mio destino?" Sbraitò.
"E fammi capire, per te questo è vivere?" Si zittì. Mi zittii. In sottofondo solo il fruscio dell'acqua del fiume, a scandire un tempo che sembrava non finire mai.

"No, ma è un modo per restare a galla"
rispose dopo qualche attimo.
"E c'è qualcosa che abbia valore in questo tuo restare a galla?" Incalzai. Non era più il momento di rimanere in silenzio.
"Non lo so più" mi morsi un labbro, cercando di trattenere le lacrime che premevano contro le mie palpebre.

"Neanche questo?" domandai con la voce rotta indicando lo spazio che c'era tra noi. Voltò la testa dall'altro lato, sospirando. "Già...è del niente che sto parlando" realizzai con il cuore a pezzi.
Ero sul punto di scoppiare. Tutto ciò che per mesi avevo accartocciato e messo da parte, tutto lo stress che avevo accumulato, stava esplodendo una volta per tutte. Ero semplicemente stanca di essere nessuno.

"Questo non è vero!" gridò in preda alla disperazione.
"Davvero? Descrivimelo allora" lo incitai. "Cosa siamo noi?"
Nei suoi occhi, forse per la prima volta, vidi il panico più totale. E sapevo bene che per uno come lui, che studiava, d calcolava ogni singola cosa, dovesse essere un vero inferno.

Non si aspettava una domanda così diretta.
Non da una come me. Non quella sera.
"Non lo so, porca puttana" sbottò.
Ci scambiammo un'ultima occhiata.
Poi, tremando, dissi ciò che sapevo avrebbe prosciugato ogni traccia della mia felicità:
"Fammi sapere se lo scopri" tirai su con il naso. "Io non ci sto più" gli diedi le spalle.

Dovevo andarmene prima che la situazione peggiorasse.
"Ky, aspetta!"
Cercò di afferrarmi il braccio, ma quella volta non glielo permisi.
"No Cal, oggi decido io"

Bret's pov.

"Devi calmarti, cazzo" gridai, quando scaraventò a terra la seconda sedia.
"Non puoi distruggere l'intera casa!"
Si immobilizzò affannato. Era fuori di sé.
"Ho mandato tutto a puttane" esordì.
"Che cosa hai fatto, Caleb?" Chiesi, cercando di risultare il più pacato possibile.

"Cosa è successo con Kylie?" Riformulai.
Alzò uno sguardo fulminante nella mia direzione. "E tu che ne sai che c'entra lei?"
"Perdi il controllo solo se c'è lei di mezzo"
Sospirò, chiudendo gli occhi. Sembrava che il suo cervello fosse pronto a prendere fuoco.

"Vuole delle risposte, capisci?" gli sottrassi la bottiglia di birra che aveva appena afferrato. Ci mancava solo che si ubriacasse.
"È qualcosa che non può pretendere!" Corrugai la fronte. Era assurdo.
"Sono mesi che lotta per te, è normale che voglia delle certezze!" Tentai di farlo ragionare.

"Io non ci capisco un cazzo del mio fottuto cervello, del suo modo di ragionare...come diavolo pensi che faccia a spiegarle il casino che ho dentro?"
quella sera, tutte le fragilità che per mesi, anni, aveva tenuto nascoste, stavano riemergendo dagli abissi, rendendolo pericolosamente instabile.

"Tu ti stai innamorando, Caleb. Non c'è niente da spiegare" pressò le labbra tra loro.
"Stai blaterando" asserì.
"Falla diventare la tua ragazza, prima che sia troppo tardi" gli consigliai, mancando sulla parola tua.

Scosse la testa.
"Non sono il genere di ragazzo che porta fuori la sua cotta, le regala fiori o la invita alle partite di basket . Non sono fatto per questo. Io non sono un ragazzo come tutti gli altri! Io non sono normale!"
Alzai gli occhi al cielo.

"Quindi non ti importerebbe se tornasse a stare con Dylan o si fidanzasse con Derek?"
Le sue mani si chiusero in due pugni serrati. Aveva gli occhi di un serial killer, a cui è scappata l'ultima vittima.

"Basta! Basta così!" sbattette una mano contro il tavolo della cucina, e se ne andò.
Di certezze ne avevo una sola:
quei due erano fatti per amarsi.

La tempesta che mi ha travolto.Where stories live. Discover now