42. Bambola usa e getta.

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"Devi smettere di fissarlo!"
Mi rimproverò Chloe costringendomi a distogliere lo sguardo dalla figura imponente di Caleb che attraversava il cortile.

Era passata una settimana dalla sera in cui le nostre bocche si erano rincontrate e poco meno da quando come una lancia le sue parole, atteggiamenti, mi avevano perforato il petto, centrando dritto il cuore.

In quei sette giorni, non avevo sentito la sua voce, né un suo sguardo su di me, e faceva male, dannatamente male, essere ignorata da colui che non molto tempo prima mi aveva resa felice, come non mi capitava da mesi.

"Sai che non meriti questo" aggiunse.
"Può darsi, ma non riesco a controllare le mie emozioni" cercai di spiegarle.
"Io credo che lui stia facendo bene"
la guardai con aria interrogativa.
"A tenerti alla larga. Fino ad ora ho sorvolato, ma adesso Kylie, credo davvero che la vostra frequentazione non può che farti male" accusai il colpo delle sue affermazioni.

Il parere di Chloe valeva tanto per me, e sentirmi dire quelle cose, da lei, certo non mi faceva stare meglio.

"Perché dici questo?" Chiesi, con una nota di tristezza.
"Perché credo che ti stia influenzando troppo, in tutto e per tutto e puoi immaginare anche a cos'altro io mi stia riferendo" sospirai, portando una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

"Chloe, già te l'ho detto. Mi dispiace che Dylan se la sia presa, sono stata maleducata lo so, ma Caleb non c'entra" risposi sincera.
"Come fai a dire che non c'entra? È lui che ti ha sequestrata venerdì sera" alzai gli occhi al cielo.

"Diamine non dire sciocchezze! Sono stata io ad accettare, è successo tutto di mia volontà" replicai. Caleb poteva avere tutte le colpe del mondo ma non quella. Alzò una mano all'altezza del mio viso, suggerendomi così di fermarmi.

"Non voglio andare oltre con la discussione, anche perché devo tornare a casa. In ogni caso sappi che io non sono d'accordo con tutto questo e non lo è neanche il tuo cuore spezzato" il suo tono divenne più dolce e premuroso. "D'accordo" le sorrisi debolmente, prima di lasciarla andare.

***

Varcai la porta dell'aula di fotografia, tesa come mai.
Sapevo che lui sarebbe stato lì, accanto a me, e ciò mi destabilizzava non poco.

Salutai cordialmente il professore ed andai a sedermi al mio posto, accennando un sorriso verso Derek.

Fu solo allora, che gli occhi di Caleb saettarono su di me.
Mi accomodai, ignorando il suo sguardo minaccioso puntato sul mio profilo.

"Se siamo tutti direi di iniziare"
Esordì l'insegnante, dopo aver schiarito la voce.
"Oggi cominceremo il lavoro di gruppo a cui avevo accennato la scorsa lezione" ci informò. "I punti di vista! Come avevo già detto, in quest'ora ci dedicheremo alla pratica, pertanto vorrei che ognuno dei tre membri del gruppo scattasse una foto agli altri due. Al termine del lavoro, confronteremo le fotografie.  Non è necessario che eseguiate ciò oggi stesso, dal momento in cui voglio che abbiate l'occasione di farlo al di fuori dell'edificio scolastico, nel frattempo potete fare qualche prova. Le foto dovranno essere consegnate la prossima lezione. Tutto chiaro?"

La classe annuì vigorosamente, ma io volevo soltanto scavare una fossa e scappare. Già, avevo dimenticato quale fosse la composizione del mio gruppo.
"Io non c'ero venerdì scorso"
Intervenne Caleb.

"Non si preoccupi, Moore. Lei è con la signorina Bennet e il signor Ross."
Rimasi con lo sguardo abbassato sul banco. Nel frattempo Derek, afferrò la sedia e si posizionò al mio fianco.

"Che cos'è questa storia?" Chiese Caleb, a denti stretti.
"Non sei venuto la scorsa lezione" risposi con tono tagliente, senza guardarlo negli occhi.

"Sappi che anch'io avrei preferito fare a meno della tua presenza" affermò Derek, già impostato sulla difensiva.

"Ci conosciamo forse?" Alzai gli occhi al cielo, era davvero infantile.
"Forse la gamba di Kylie ti ricorda qualcosa" fece finta di rifletterci su.
"Oh giusto, eri quel rompicazzo che le stava tra i piedi" sbottò.

"Basta, per favore" Lo pregai, posando una mano sul suo braccio, e gli occhi nei suoi.

Sembrò quasi che quella fosse la prima volta che ci guardavamo.

Mi alzai. Non avrei resistito oltre.
"Professore, avrei bisogno di andare in bagno" L'insegnante si voltò nella mia direzione.
"Certo, vada pure" ringraziai ed uscii, più in fretta che potevo.

"Dove stai andando?"
Tuonò una voce alle mie spalle.
"L'ho già detto, in bagno" risposi stufata, senza voltarmi.
"Non si scappa ai problemi" accelerai il passo, ignorando le sue parole, ma la sua mano afferrò il polso, trascinando il mio corpo contro il suo.

"Ma a quanto pare a farlo siamo in due"
le sue iridi inchiodarono le mie, con una fermezza che mi fece rabbrividire.

"Ti sbagli, non sto scappando dai problemi, li ho davanti"
mi divincolai furiosa dalla sua presa.

"E così adesso sarei un problema?"
Si passò freneticamente una mano tra i capelli ribelli.
"Non credo tu stia cogliendo l'essenziale"

"Già, so solo rompere il cazzo" si zittì, guardandomi sorpreso, forse per il termine usato, forse per il senso delle mie parole.

"Questo gioco mi ha stancato" scossi la testa, sorridendo amaramente.
"Quale? Quello in cui io sono la bambola da usare quando ti annoi, e gettare via l'attimo dopo?" Lo aggredii.

"Sai che non è così" sbuffai una risata.
"Mi hai trattata uno schifo sabato mattina" Aggiunsi in un sussurro.
"Mi hai ignorata come se non esistessi"
la voce iniziò a vacillare.
"E adesso pretendi che io ti ascolti?"
Il suo sguardo si incupì.

"Scusa, ma non ci sto"

La tempesta che mi ha travolto.Nơi câu chuyện tồn tại. Hãy khám phá bây giờ