54. Tasto dolente.

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Caleb's pov.

"Cos'è che non hai capito?"
Le chiesi esasperato un'ultima volta.
"No niente credo di aver capito adesso" aggrottai la fronte.
"Ok, non hai capito un cazzo" fece una smorfia, lasciandomi intuire che avessi ragione.

"Ma non importa davvero, basta così" asserì seria, chiudendo libro e quaderno. "La studentessa è un po' dura" incrociò le braccia al petto.
"Chi dice che invece non sia il professore poco bravo?" Mi sedetti sul tavolo a cui era seduta, avvicinando il mio viso al suo.

"Credo che il professore sia il problema in effetti, ma nel modo in cui credi tu" mi gustai l'espressione interrogativa del suo volto.
"Sicura che la sua presenza non ti distragga troppo?" Le sue guance divennero rosse in un istante.
"S-sicurissima" balbettò, facendomi sorridere.

"Facciamo merenda? Posso preparare qualcosa" disse nel tentativo di smorzare l'imbarazzo.
"Come vuoi, io devo andare in bagno" mi indicò la strada. Era una gran bella casa, sicuramente i soldi non mancavano a quello stronzo di suo padre.

Non lo conoscevo, eppure sapevo già che era una testa di cazzo. Kylie passava giornate intere da sola, senza che gliene importasse.

Mentre attraversavo il corridoio del bagno, intravidi una sua foto.
Dio, aveva gli stessi occhi della figlia.
Era davvero impressionante.

Iniziai quasi a pensare che forse qualcosa di buono dovesse averlo anche lui, o non sarebbe riuscito a dare vita ad una ragazza come Kylie.

Doveva aver su i cinquantacinque anni, visti gli accenni di rughe sul viso e qualche capello bianco.
Un uomo come altri.
Niente di particolare.

Andai in bagno e ritornai in cucina, trovando la nanetta armeggiare ai fornelli.
"Che stai facendo?"
"Crêpes" rispose senza distogliere lo sguardo dal suo lavoro.
"Interessante" constatai.

"Sai anche cucinare?" Annuì sorridendo. "Amo cucinare, è una mia passione" ogni volta che stavamo insieme scoprivo una parte in più di lei. Era affascinante.

La raggiunsi. Stava iniziando a rovesciare il composto liquido ottenuto nella padella. "Dovresti essere precisa. Cerchi, non uova deformi" la stuzzicai.
"Ok capo chef. Quando voglio so essere molto precisa" Mi leccai un labbro.

Quel modo timido e al tempo stesso determinato di accettare le sfide mi faceva impazzire. Ed io adoravo sfidarla, anche sapendo che avrei vinto.
Sempre e comunque.

Mi avvicinai e premetti il bacino contro il suo corpo esile, emanando respiri lenti e profondi sulla pelle scoperta del suo collo.

Tremò.

"C-che stai facendo?" Biascicò, troppo imbarazzata per rivolgermi lo sguardo. "Devi imparare a mantenere la concentrazione" soffiai al suo orecchio. "In tutte le circostanze"
Il mestolo, impugnato dalla sua mano, iniziò a vacillare e qualche goccia di liquido cadde.

"Ahia! Non ci voleva proprio" sospirò, e persa la pazienza spense il fornello, e abbandonò il mestolo sul piano da lavoro.

Quando fece per girarsi, le mie mani le afferrarono il viso per le guance, e costrinsero le sue labbra ad affondare nelle mie.

La baciai, ancora una volta.

Ero pazzo, ormai lo avevo capito.
Quando era di lei che si parlava, di sano perdevo ogni cosa. Sapevo di star tirando troppo la corda, ma avevo perso ogni forma di controllo sul mio corpo.
Non riuscivo a starle lontano in nessun modo.

Dopo poco, mi staccai bruscamente.
"Mi dispiace" Mormorai, allontanandomi. Sembrava triste, delusa.

"Perché questo, Cal?" Socchiusi gli occhi. "Perché la situazione ci sta sfuggendo di mano" Sospirò.
"Ti prego non iniziare di nuovo con questi discorsi" disse sommessamente.
"Non si tratta di discorsi, cazzo"
mi passai una mano tra i capelli.

"Cos'è che ti frena?" Non risposi. "Possiamo parlarne" continuò, con la voce tremante.
"Non c'è niente di cui parlare" afferrai la giacca.
"Devo andarmene" sollevai lo sguardo, ed incrociai i suoi occhi lucidi. Cazzo.

"Perché reagisci così?" Scosse la testa, fissando il vuoto.
"Lasciamo stare" le diedi un'ultima occhiata, poi me ne andai davvero.
Se fossi rimasto ancora qualche secondo, probabilmente non avrei trovato il coraggio di lasciarla.

Non capiva, io non volevo vederla soffrire, non volevo darle false speranze.
Volevo solo che fosse felice come meritava.

Ma lei non lo capiva, ed era tutto un fottuto casino.

***

"Papà" i suoi si staccarono dalle scartoffie, posandosi su di me.
"Caleb, eccoti finalmente"
Affermò, controllando l'ora.
"Ho avuto da fare" Già, lezioni di fisica.

Che situazione del cazzo.

"Ho una notizia da darti" esordì.
"Siamo riusciti a cacciare gli uomini di Gloomy da alcune zone neutre"
affermò trionfante. Finalmente qualcosa di buono.

Ira, vendetta, adrenalina erano ciò che fino a quel momento mi aveva tenuto in vita: un mix pericoloso che di lì a poco sarebbe potuto esplodere, senza alcun preavviso.

"Bene, le terrò sotto controllo" risposi, restando calmo.
"Fa attenzione" feci un cenno del capo, intenzionato ad andarmene, ma sua voce ferma mi bloccò.

"Un'altra cosa"
mi voltai di nuovo verso di lui.
"Ho sentito che c'è una ragazza con cui passi molto tempo" strinsi i pugni.
Che c'entrava lei adesso?
E quale coglione aveva riferito a mio padre una simile informazione?

"Di che stai parlando?" Sospirò.
"Non credo ci sia bisogno che io te lo spieghi" Alzai gli occhi al cielo.
"Quello che voglio dirti è di stare attento. In questo ambiente le donne portano solo guai. Simili distrazioni non sono permesse" asserì. 

"Non credo di essere tenuto a..."
"Ti ho avvisato" mi interruppe.

"Sappiamo entrambi molto bene, a cosa comportano i coinvolgimenti emotivi nel nostro lavoro" Si alzò dalla sedia.

"E poi quello che è successo a tua sorella, dovrebbe servirti da esempio. È sempre meglio tenere lontano chi non merita di star male, per essere stato troppo vicino" avvertii una fitta alla stomaco.

Aveva colpito il mio tasto dolente, e faceva male, più di quando avessi potuto immaginare.

Se le fosse successo davvero qualcosa, per il mio egoismo o per la brama che provavo nei suoi confronti, non sarei mai riuscito a perdonarmi.

E due macigni sulla coscienza sarebbero stati troppo da sopportare.

La tempesta che mi ha travolto.Where stories live. Discover now