Capitolo 36

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Quando mi risveglio nel mio letto, ho un cerchio alla testa terribile. Giuro, non sforeró mai più il mio limite personale di un cocktail a serata.
Il ricordo mi colpisce come un pugno nello stomaco: potrei aver vomitato sulle scarpe di Andrew subito dopo averlo baciato.
Ed è ovviamente bellissimo essersi baciati, ma l'imbarazzo...oddio. Mi auguro che l'immagine di me piegata in due sia frutto di un sogno, anche perché se l'ho rifatto davvero, così come in montagna, Andrew potrebbe davvero esserne rimasto scioccato. Vomitella. Già mi vedo salvata così nella sua rubrica.
Afferro il cellulare per controllare se mi ha scritto qualcosa, ma purtroppo no, non ancora. Forse sta aspettando per non sembrare troppo ansioso. Alla fine deve mantenere un po' il suo fascino del sostenuto.

Informo immediatamente Ross perché per me vale la regola del Kiss and Tell, soprattutto in questo caso. Vorrei gridarlo al mondo anche se sono consapevole che l'eco che si creerebbe nella mia testa, potrebbe distruggermi. Scriverlo a lei mi fa realizzare che è successo davvero, ci siamo baciati. E con un certo trasporto mi sento di dire.

Entro in cucina saltellando e sono così gongolante che quasi non mi sembra vero.
<<Isa! Ci siamo baciati>>, esclamo guardando mia sorella.
Lei si mette a ridere, delicatamente come solo lei sa fare: <<Lo so, ieri, tornando a casa, continuavi a ripetermelo! Almeno hai avuto il buonsenso di dirlo quando eravamo da sole>>.
Sì, è vero. Ho un ricordo anche di questo. Diciamo che dal bacio in poi, mi è sembrato tutto un bellissimo e surreale sogno.
<<Ti ha già scritto?>>, mi chiede passandomi una tazza di caffè.
<<Non ancora! Ma lo farà>>, ribatto felice prima di rabbuiarmi, <<O almeno lo spero perché Vomitella si vergogna troppo per farlo>>.
Lei mi guarda confusa, ma scuotendo la mano le faccio capire che deve lasciar perdere.



Due giorni dopo e ancora nessuna novità da Andrew. Ho passato ore in fissa sul telefono sperando di inviargli un messaggio telepatico e incentivarlo a scrivermi, ma niente. L'idea che lui possa essersene pentito o che sia rimasto troppo schifato, mi inquieta. Forse dovrei spiegargli che ho uno stomaco molto delicato.
Ma che diamine aspetta a scrivermi! Ci siamo trovati così bene l'altra sera.

Sono talmente impegnata a pensare a lui, che mentre rientro dalla spesa, ci metto più del dovuto a notare che una macchina grigia mi sta seguendo. Quando iniziano a suonare il clacson, mi viene un attimo di panico. O mi metto a correre o chiamo la polizia. Continuo a camminare a passo spedito. La macchina mi affianca e, mentre il finestrino oscurato si abbassa, mi assale la paura. Non sono pronta ad affrontare un rapimento. E non so se qualcuno potrebbe permettersi di pagare il riscatto per me. Forse Andrew. Ma vista la sua latitanza, potrebbe liquidare la cosa dicendogli di tenersi Vomitella.
Ci metto qualche secondo per capire di chi si tratta.
<<Buonasera>>, esclama cordialmente Chiara, l'amica della signora Choi.

<<Ti abbiamo spaventata?>>, mi chiede la madre dell'odioso coreano.

<<Certo che l'abbiamo spaventata! Te l'avevo detto che non era divertente>>, ribatte l'amica anticipandomi.
Non riesco a credere che abbiano pensato che potesse essere una cosa simpatica seguirmi in macchina e suonarmi il clacson.

<<Per farmi perdonare, posso darti un passaggio? Sei di riposo? Siamo in missione, vuoi venire con noi? Poi mi devi una cena, quindi se ti va sei nostra ospita>>, mi domanda.

Io provo a declinare il loro invito, ma insistono talmente tanto che, dopo aver lasciato la spesa a casa, eccomi qui seduta sul sedile posteriore con queste due simpatiche cinquantenni.

<<Dove stiamo andando?>>, oso chiedere.

La signora Choi abbassa il volume della musica e, sovrastando le note di Sweet Child o' Mine, mi dice: <<Stiamo andando a seguire mio figlio. Credo abbia un appuntamento>>.

No OtherWhere stories live. Discover now