Capitolo 4: Il mostro

60 7 5
                                    

Lui, perché è un lui, dorme poco.

La notte gli porta consiglio, o almeno ne è sempre stato convinto. La camera d'albergo è tra le peggiori in cui abbia mai alloggiato. E dire che ne ha viste tante, nel corso degli anni.

Ma la cittadina...

Oh, la cittadina.

Lo ripaga del senso di schifo e di oppressione che prova quando esce sul balcone per fumare e tutto ciò che può contemplare è un cortile dimenticato da Dio. Vi si affacciano il retro dell'hotel e l'esterno della cucina. A completare il panorama, bidoni dell'immondizia troppo carichi di sacchi e mozziconi gettati ovunque da cuochi, aiuto cuochi e camerieri stanchi e sempre accaldati.
La stanza è all'ultimo piano, sul lato posteriore del vecchio edificio. Seduto su una seggiola in plastica, sporca e malridotta, lui guarda davanti a sé. E invece di vedere il mare, vede tetti e polvere. Una grondaia arrugginita e la ventola esterna dell'impianto di condizionamento dell'aria.
Tutto qui.

Ma la cittadina...

Oh, Baia Azzurra.
È un salto indietro nel tempo.
Gli sembra quasi di riconoscere l'aria della sua giovinezza, mentre respira nel silenzio della notte.
L'estate è alle soglie, e lui sa che tra una settimana la pace che sta assaporando sarà soltanto più un ricordo. Ecco perché non vuole perderne neanche un po'.
Inoltre, il silenzio lo aiuta a riflettere. Ad alimentare il desiderio. A riavvolgere il nastro del film che ha in testa. Per poter ricominciare a guardarlo dall'inizio. Ancora e ancora. E ancora.
E ancora.
Ha già scelto la prossima donna.
L'ha vista durante la mattina.
È stato eccitante come sempre. La voragine si è riempita di colpo, non appena i suoi occhi si sono posati su di lei. Sui suoi capelli rossi, lunghi il giusto, sì, proprio il giusto.

Proprio il giusto. Sì, sì, sì.

Ne spunta sempre fuori un'altra, presto o tardi. Sempre. Non dovrà più sentirsi demoralizzato come durante gli ultimi giorni.
Ne ha avuto la prova.
Rivede la scena mentre fissa le sagome dei tetti avvolte dalla notte. Stringe la sigaretta tra indice e anulare, lasciando che si consumi da sola.
Perché lui è troppo concentrato sulle immagini che gli popolano il cervello.
La donna era bella come avrebbe dovuto essere. Né più né meno. Gli è parsa un po' triste. Ma non ha importanza. Stava litigando con un uomo, un tizio magro e dal volto scavato, che sembrava voler esercitare su di lei qualcosa come un diritto di proprietà. Forse suo marito.
Lo sa perché è attento. Ama contemplare i dettagli.

Soprattutto se riguardano la vita che sta per prendere.

Ha incrociato gli occhi di lei per una frazione di secondo.
Era seduto su una panchina, sul viale principale della cittadina.
Uno tra tanti. Nascosto tra la folla, eppure pronto. Sull'attenti. I sensi all'erta.
A volte si domanda quanti altri ce ne siano, tra la gente che incrocia ogni giorno. Quanti come lui. Con i suoi stessi istinti. Con le stesse voglie pulsanti e strabordanti. Così difficili da tenere sotto chiave. A bada.
Gli piace pensare di non essere solo.
Non riesce a togliersi la scena del loro incontro dalla testa.
Lui seduto sulla panchina a fissare il nulla, lei che gli è passata davanti insieme al tizio magro e scavato in viso. I loro occhi che si sono incrociati per una frazione di secondo. Ha fatto in tempo a notare che lei aveva un livido sopra lo zigomo destro.

Quando si è reso conto di averla finalmente trovata, ha stretto gli anelli di tutte le altre nella mano. Li ha stretti talmente forte tra le dita da farsi male.
Ha trattenuto il respiro.
Poi ha battuto due volte i piedi a terra.
Gli stivali neri, dalla suola chiodata, non hanno fatto il rumore che tanto lo eccita. Sull'asfalto non è come sul legno.
L'ha seguita con lo sguardo.
Poi, quando la distanza tra lui e la coppia è divenuta ragionevole, ha abbandonato la panchina e ha incominciato a camminare nella loro direzione.

Si alza dalla sedia e getta il mozzicone ancora fumante di sotto, insieme agli altri.
Stringe entrambe le mani contro la ringhiera arrugginita e sporca. Chiude gli occhi e inizia a canticchiare.
Piano, sottovoce.
Un motivetto infantile. Una melodia che rievoca frammenti di un'esistenza lontana, perduta tra lo scorrere degli anni. Eppure mai dimenticata.
Come la cittadina.

È bello, pensa, tornare nel luogo in cui tutto ha avuto inizio.

Verdiana leggeva il futuroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora