Capitolo 11: Un invito pericoloso

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<<C'è qualcosa di molto intimo del restare ad ascoltare la pioggia, non trova?>>
Nadia si volta verso l'uomo la cui sagoma è avvolta dall'oscurità. L'unica luce che i suoi occhi possono vedere è quella della sua sigaretta accesa, sospesa a mezz'aria, oltre il davanzale del balcone.
Si avvicina di un paio di passi, per poterlo osservare meglio. E non appena è abbastanza vicina, lui le sorride.

È trascorsa tutta la notte da quel momento, e Nadia non è riuscita a chiudere occhio.
Quando gli è stata abbastanza vicina, è riuscita vedere il suo volto.
E ne è rimasta folgorata.
La perfezione dei lineamenti. Gli occhi di ghiaccio, blu come diamanti, talmente magnetici da spiccare anche in mezzo alla tenebra. Le labbra carnose, disegnate.
I capelli lunghi, scuri, mossi.
Le ha ricordato Val Kilmer nei panni di Simon Templar ne "Il Santo".
E poi la sua voce. Calda, roca, suadente. Ipnotica.
Hanno parlato per cinque minuti, forse poco più. È stato sufficiente questo margine di tempo per...
Per che cosa?
Per farle dimenticare l'amarezza provata durante gli ultimi mesi, forse.
Se lei non fosse stata così delusa, così triste e così svuotata dentro per le vicissitudini più recenti con suo marito, magari questo incontro le sarebbe sembrato diverso.
Invece, sono bastati cinque minuti.
Cinque minuti perché tornasse a sentirsi una ragazzina. Una studentessa universitaria di belle speranze, il cui problema principale era scegliere in quale locale trascorrere la notte, e con chi.
Dov'erano finiti i suoi vent'anni? Quando le erano scappati di mano?
E in che persona si era trasformata?
Una casalinga annoiata, sposata con un imprenditore benestante.
No, non benestante.
Ricco.
Era arrivata a Baia Azzurra con una settimana di anticipo rispetto a suo marito per lo stesso motivo che l'aveva spinta a prendere una stanza in quell'albergo da quattro soldi.
Era stata una specie di ribellione, giusto?
Una settimana di libertà assoluta, da vivere come se fosse stata una persona diversa da quella degli ultimi quindici anni.
Lo sprazzo di vacanza da sola. L'albergo da studentessa squattrinata. E adesso...
Lui. Con il suo viso di una bellezza quasi eterea e il portamento che le era sembrato fin da subito...
Selvaggio.
Ripensa al modo in cui aveva inclinato la testa quando le si era avvicinato un po' di più per osservarla meglio. Come se in lei stesse...
...cercando qualcosa...?
Si, aveva avuto questa impressione.
E il modo in cui l'aveva guardata. Non era stata in grado di distogliere gli occhi dai suoi. L'aveva paralizzata.
Da quanto tempo un uomo non la guardava così?

Si alza dal letto, si avvicina ai vetri aperti ed esce sul balcone, scalza.
Si gira a sinistra. Non c'è divisorio tra i balconi, soltanto una bassa ringhiera arrugginita. Vede il posacenere di lui appoggiato sul tavolino, pieno di mozziconi.
Poi i suoi occhi scivolano sul cortile, in basso, oltre i tetti dei pochi edifici che ha davanti. Alla luce del giorno, la vista è ancora più deprimente. Ma va bene così. Le permette di viaggiare con il pensiero; di tornare ai giorni della prima giovinezza. Le vacanze con le amiche. Il futuro ancora da inventare.
Prende un respiro profondo. L'aria, ripulita dalla pioggia, è fresca e odora di mare.
Lo sconosciuto ha acceso in lei una fiamma. Lo sente. La sua mente è ancora inebriata dal tono di voce di quell'uomo. Dalla perfezione dei suoi gesti.
Sarebbe bello se non fosse un fuoco di paglia, destinato a spegnersi di lì a poche ore? Non riesce a fare a meno di domandarselo.
Ripensa alla conversazione che hanno avuto.

<<C'è qualcosa di molto intimo nel restare ad ascoltare la pioggia, non trova?>>
<<Molto, sì.>>
<<Dev'essere per il ticchettio dell'acqua sui tetti.>>
<<Come?>>
<<Ma sì. Il ticchettio. Potremmo trovarci da qualunque altra parte, giusto? Potrebbe essere Parigi.>>
A quel punto lui aveva sorriso, e lei anche.
<<Oh, capisco. Ma certo, sì. Potremmo essere a Parigi, invece che nel retro di questo orribile albergo.>>
Lui le si era avvicinato, occupando l'intera distanza che li separava. A dividerli c'era soltanto più la vecchia ringhiera arrugginita.
<<Questa potrebbe essere Parigi e... mi lasci fantasticare ancora un po'...>>
Aveva inclinato la testa, senza smettere di sorridere, senza smettere di fissarla dritto negli occhi, tanto sfacciato da farla sentire addirittura in imbarazzo. Un imbarazzo che tuttavia non la infastidiva, ma dal quale anzi le pareva di essere... attratta.
<<Questa potrebbe essere Parigi e... e una donna affascinante come lei potrebbe essere qui... da sola.>>
Aveva tirato una boccata dalla sigaretta, poi aveva fatto uscire il fumo voltandosi, senza colpirla. Era tornato a guardarla.
<<Allora... potrebbe essere qui da sola?>>

Nadia aveva esitato.
Soprattutto, Nadia aveva dimenticato.
Aveva scordato le parole di Verdiana. L'avvertimento della ragazza. E nessuna delle sue doti da sensitiva le era venuta in aiuto, in quel momento.

Aveva annuito.
<<Potrei essere da sola>> aveva risposto, rossa in viso, la voce che tremava appena.
Lui aveva sorriso ancora. Aveva spento la sigaretta.
<<Mi piace svegliarmi presto>> le aveva detto <<E fare colazione sul mare. Vuole venire con me, domani mattina?>>

Lui aveva pronunciato quelle ultime parole infilando la mano nella tasca dei pantaloni.
Aveva sentito gli anelli sulle dita, sulla pelle.
Gli anelli che erano appartenuti alle donne che aveva ammazzato nel corso degli anni.
Ed erano tante.
Ma questo Nadia non poteva saperlo.

Nadia torna in camera, si spoglia e si dirige verso il bagno.
Lui la aspetta sotto il grande orologio al centro della piazza principale di Baia Azzurra. È lì che si sono dati appuntamento.

A Nadia resta un giorno di vita.

Verdiana leggeva il futuroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora