Capitolo 13: Attenta, Verdiana

41 6 4
                                    

<<No, no, ragazzi, non c'è bisogno di un'ambulanza. Sto bene. Per quanto tempo sono rimasta...svenuta?>>
Felix mi appoggia una mano sulla fronte, cercando di capire se sono calda. Ma so che è inutile. Tutto sommato, non mi sento male. Sono un po' scombussolata, ma il peggio è passato.
<<Due minuti al massimo. Ma...Rebi... ci hai fatto prendere un bello spavento.>>
<<Mi dispiace>> sussurro.
<<Dovresti farti visitare. È capitato due volte in poche ore. Cosa credi che...>>
<<Sto bene>> ribatto, secca. Non voglio che si preoccupino per me.
Sono confusa, piena di interrogativi. E poco per volta realizzo che ci sono troppe questioni che ho bisogno di chiarire.
Sento un'urgenza, una fretta di agire.
Il Lungomare del vento.
Non riesco a togliermelo dalla mente. Il fatto è che non ho idea di come muovermi. Ho visto Nadia con l'uomo vestito di nero. E poi il ragazzo con la maglietta dei Nirvana... non capisco quale sia il suo ruolo in questa storia. Ma mi fa paura.
Potrei tornare a casa. Parlare con papà, raccontargli tutto. Spiegargli che forse ho un punto di partenza. Dirgli che forse so cosa fare, per la prima volta nella vita, in merito al "dono".
Ciò che ho visto conduce al Lungomare del Vento. Ma se davvero andassi laggiù e trovassi l'assassino, sarebbe rischioso per me e per chi mi accompagna.
Non riesco a concepire la possibilità di mettere in pericolo mio padre. D'altro canto, però, non so proprio a chi rivolgermi per chiedere aiuto.
La Polizia mi prenderebbe per una svitata, poco ma sicuro. Felix e Rebecca invece devono starne fuori.
L'unica alternativa che mi rimane è... andare da sola.
Guardo l'orologio. Sono quasi le undici. Stando a ciò che ho letto sul libro, Nadia morirà tra circa ventiquattro ore.
<<Ragazzi, io torno a casa. Sono molto stanca.>>
<<Ti accompagniamo>> si offre Rebecca. E Felix annuisce.
<<Certo. Non ti lasciamo tornare a casa da sola. Non dopo ciò che ti è capitato.>>
<<Sto bene, davvero.>>
So che se li lasciassi venire con me, allungherei il percorso. Posso raggiungere il Lungomare del Vento in un tempo minore partendo da qui senza dover arrivare prima fino a casa.
Ma so anche che convincerli sarà impossibile.
Così, accetto di tornare a casa con loro. Quando se ne saranno andati, mi incamminerò verso il Lungomare.
Durante il tragitto mi parlano ed io rispondo senza lasciarmi coinvolgere dalle discussioni. La verità è che continuo a pensare a ciò che farò una volta raggiunto il luogo della visione.
Non ho alcuna speranza di salvare Nadia in un confronto con l'uomo che ho visto. Ma potrei chiedere aiuto a qualcuno. Potrei trovarli, capire ciò che sta succedendo e poi... chiamare la Polizia.
Questo avrebbe senso, forse.
<<Ci siamo>> dico, quando finalmente raggiungiamo il cancello della villetta in cui abito.
Tiro fuori le chiavi e lo apro.
<<Verdiana... so che te l'abbiamo già detto. Ma... riguardati, eh? E mangia qualche bistecca, ogni tanto.>>
Felix pronuncia queste parole sorridendo, ma non riesce a nascondere la preoccupazione. So che anche per Rebecca è così.
Quanto vorrei poter raccontare loro tutto.
<<Ehi, Verdiana. Quando hai quasi perso i sensi la prima volta, al parco, hai detto "lui è stato qui." Non mi hai risposto quando te l'ho chiesto, prima. Che cosa intendevi?>>
Scuoto la testa. So che Rebi non si arrenderà. E so che non mi crede.
<<Nulla, Rebi. Non ne ho idea. Credo... che fosse una specie di sogno. Qualcosa del genere.>>
Mi guarda in silenzio. Capisco che non l'ha bevuta. Ma non ho tempo per cercare una spiegazione migliore. Non adesso, almeno.
<<Vado. Sono proprio stanca. Ci sentiamo domattina, d'accordo?>>
<<Va bene. Riposati.>>

Li saluto e imbocco il viale che porta all'ingresso della villa.
Non apro il portone. Rimango immobile ad aspettare che se ne vadano, e per fortuna lo fanno subito.
Rimango altre due o tre minuti in attesa, nascosta dal buio. Guardo verso l'interno dell'abitazione. Le luci del salotto sono spente. Significa che mio padre sta già dormendo.
Di solito non faccio tardi, quando esco.
Adesso, invece, non ho idea di che cosa succederà nella prossima ora. E ho una gran paura.
Ma non posso fare a meno di tornare a ciò che ho provato davanti all'orologio.
Era la voce di mia madre. Non è possibile in alcun modo, credo, che io riesca a ricordarla. Perché ero troppo piccola quando è morta. Eppure, so che era lei a parlarmi. A dirmi di guardare in basso.
Dove c'era il ragazzo con la maglietta dei Nirvana.
Percorro di nuovo il viale che conduce al cancello. Esco e lo richiudo senza far rumore.
Mentre mi incammino verso il Lungomare del Vento, imboccando vie traverse e scorciatoie defilate, penso che il vero motivo per cui lo sto facendo ha che fare con mia madre.
Mi sono sentita collegata a lei, in un certo senso.
Non mi era mai capitato nulla di simile.
Mi è sembrato davvero di averla vicina. Di averla accanto.

Ma perché proprio adesso, mamma?
Perché non prima?
Perché proprio in questa situazione?
Che cosa stai cercando di dirmi?
Che cosa volevi che guardassi, in basso, davanti all'orologio?
Il ragazzo con la maglietta dei Nirvana...
Ma perché?

Persa tra gli interrogativi che mi affliggono, quasi non mi rendo conto di aver raggiunto il porto. Per arrivare al Lungomare del Vento, ci si deve passare davanti per forza.
Non è una zona sicura, meno che mai a quest'ora.
Mi guardo intorno.
È buio ed io sono una ragazza sola. Per la prima volta realizzo quanto sia stata incosciente ad aver avuto questa idea. E quanto stupida a decidere di metterla in pratica. Inoltre, la maggior parte dei turisti che popola Baia Azzurra durante l'estate non è ancora arrivata. La zona è quasi deserta, a quest'ora.
Davanti a me c'è una bettola con le luci accese e delle sagome sedute all'interno, rivolte verso la grossa vetrata affacciata sul molo.
Sento la musica che riempie il locale. Guardo l'insegna, malridotta e sporca.
"Bierkeller 1999", scritto in nero e giallo.
A pochi passi dal punto in cui mi trovo, un paio di ubriachi con in mano grossi boccali di birra stanno fumando e ridendo a crepapelle.
Devo filarmela da qui, penso.
Devo muovermi. Camminare in fretta e...
Bum. Bum. Bum.
Tre colpi, secchi e potenti, risuonano  dalla vetrata della birreria.
So che dovrei andarmene subito, ma l'istinto mi porta a sollevare gli occhi verso la direzione del rumore.
Altri tre colpi.
Bum. Bum. Bum.
A battere con il pugno contro il vetro è un uomo sui quarant'anni. Almeno il doppio della mia età. È seduto davanti a un lungo bancone rivolto verso l'esterno. Accanto a lui c'è un altro tizio, che sembra appena più giovane.
Li osservo in fretta, paralizzata per lo spavento.
L'uomo che ha bussato è magro. Il viso è scavato, la barba incolta. Il suo sguardo non trasmette nulla di buono. Mi sorride, poi tira fuori la lingua. Mi fa cenno con la mano di avvicinarmi. Sento le gambe tremare, ma mi volto per andarmene.
Mi giro e rimango senza fiato.
In piedi davanti a me c'è un terzo uomo. Riesco a vedere la maglia a righe che indossa. I pantaloncini corti. Il ghigno stampato sul suo viso.
Si avvicina.
Mi guarda.
<<Ciao, fiorellino.>>
Sono paralizzata. I due ubriachi che ridevano fuori dal locale sono spariti.
Lui fa un altro passo, ed io sto per mettermi a gridare, mentre con gli occhi cerco le possibili vie di fuga. Che non trovo.
L'urlo, che avrei voluto fosse il più potente possibile, non esce.
Invece, sento una mano calda che all'improvviso preme contro la mia bocca.
Mi volto e riconosco il tizio magro che era seduto all'interno. È lui a impedirmi di gridare. Arriva anche il suo compare.
<<Dove hai parcheggiato?>> gli sento chiedere, rivolto a quello che non era nel locale.
<<Qui dietro. Muoviamoci. Ci sarà da divertirsi, stanotte.>>
Cerco di divincolarmi, ma accade tutto troppo in fretta. L'uomo che mi tiene la bocca chiusa ha tirato fuori un coltellino. Me lo punta alla gola.
<<Cammina>> sussurra, in un alito che puzza di alcool e sigarette.
<<Cammina e non fare nulla di stupido.>>
Pochi istanti dopo, raggiungiamo una via deserta.
<<Eccola>> dice il proprietario dell'auto, indicando una vettura che non riesco a riconoscere.
Il tizio magro continua a tenere una mano premuta contro la mia bocca e la lama del coltello puntata contro la gola. Sento il freddo dell'acciaio sulla pelle. Il suo compagno invece mi tiene una mano stretta intorno ad un braccio, tanto forte da farmi male.
<<Avanti, muoviamoci. Andate dietro con lei>> dice il proprietario dell'auto.
Apre le portiere.
Poi, vengo spinta dentro.

Verdiana leggeva il futuroWhere stories live. Discover now