Capitolo 38: Orrore a Torino

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A trovare il corpo di Michela è Gregorio, Greg per gli amici.
Sono le quattro e mezza del mattino, e ha trascorso la notte a bere in compagnia di un paio di compagni di università.
Hanno fatto la spola tra un pub e l'altro. E hanno commesso il grave errore di mischiare gli alcolici: vino a cena, medie doppio malto verso mezzanotte, gin tonic e amari fino alle quattro.
L'aria fresca della tarda notte gli procura un gran sollievo mentre barcollando si dirige verso Piazza Vittorio. L'appartamento che divide in affitto con il suo coinquilino si trova in una delle tante traverse che corrono parallele al Lungo Po Antonelli. Potrebbe comperare le sigarette al distributore in piazza, ma l'insegna della T azzurra che spicca da Via San Massimo gli fa capire che non può aspettare oltre. Ha bisogno di fumare, e subito.
Così, invece di proseguire dritto in direzione della Gran Madre, gira a destra.
Non può immaginare che questa decisione gli rovinerà il sonno per gli anni a venire.
Non ha idea degli incubi che lo terranno sveglio, notte dopo notte.
Dopo notte.
Quando raggiunge il distributore automatico, infila la mano nella tasca dei jeans in cerca degli spiccioli.
Inserisce la tessera sanitaria, poi le monete.
Le sente cadere, una dopo l'altra, con il loro rumore così familiare. Così rassicurante.
Sta già cercando l'accendino nell'altra tasca, pregustando il momento dell'accensione: lo sfrigolio della carta che brucia, il primo tiro, e poi il fumo che entra in bocca, spandendosi, rilassandolo, per uscire infine dalle narici.
Si china, raccoglie il pacchetto, dimentica il resto nel distributore.
Toglie la velina facendo una certa fatica, perché la sbornia gli sta ancora chiedendo il conto.
Tira fuori una sigaretta, se la piazza tra le labbra e si guarda intorno. Silenzio assoluto. Torino riposa, finalmente.
Accende.
La prima nota è sempre la sua preferita.
La gusta tutta, fino in fondo, la schiena appoggiata al muro e la testa già alleggerita dal fumo.
Tre minuti dopo getta il mozzicone a terra, e si ricorda che mentre cercava l'accendino, ha trovato in tasca gli scontrini di troppi locali. Decide di liberarsene, e cammina fino al cestino, che dista pochi passi dal punto in cui si trova.
Non molti. Venti, forse trenta.
Quando è quasi al bidone, sente il piede finire in una pozzanghera. Non capisce come sia possibile, dal momento che è una notte limpida, senza l'ombra di una nuvola.
Certo, è sbronzo da far schifo, si dice. Ma non...
Istintivamente, solleva gli occhi.
Ed è allora che il suo mondo si blocca, come un film messo in pausa.
Vede la ragazza. È appesa alla ringhiera del balcone del secondo piano, a testa in giù.
Appesa per i piedi.
Gli ricorda un fantoccio capovolto.
È nuda.
Le braccia pendono verso il basso.  Come due tentacoli di una medusa, sembrano indicarlo.
I capelli lunghi coprono un viso che Greg non può e non vuole guardare.
Abbassa di nuovo lo sguardo si rende conto che ciò su cui i suoi piedi sono finiti non è acqua, ma sangue.
Sangue della ragazza.
Fa un passo indietro, poi un altro, e un altro ancora.
Incespica, perde l'equilibrio, cade, cerca di rialzarsi, cade di nuovo.
Guarda ancora una volta il corpo morto, che sembra fluttuare nel vuoto, poi si porta entrambe le mani allo stomaco e vomita tutto l'alcool che ha dentro, insieme a qualsiasi altra cosa.
Quando ha finito e ritrova la forza e il fiato per gridare, lo fa più forte che può, iniziando a correre lontano da lì con tutta l'energia che gli rimane.
Quando finalmente riesce a raggiungere i portici di via Po, gli sembra che sia stata un'impresa incredibile, come se ci avesse impiegato un'eternità invece che un minuto o due.
Infila la mano nella tasca dei jeans e prende il telefono.
Tremando, cerca di comporre il numero della polizia, ma è talmente sconvolto da non ricordarlo.
Si piega sulle ginocchia, lasciandosi scivolare a terra.
Poi si rialza e vomita di nuovo.

Verdiana leggeva il futuroWhere stories live. Discover now