Capiitlo 42: Sangue sotto i ponti

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Il liceo classico Silvio Pellico si trova in pieno centro, nella zona universitaria di Torino, a pochi passi dalla Mole Antonelliana.
Le lezioni sono terminate da pochi giorni, ma per gli allievi dell'ultimo anno è appena iniziato il periodo della Maturità. Quindi c'è un bel viavai di studenti. E di ragazze.
La ricostruzione è ciò che l'ha spinto a tornare in Piemonte, ma questa volta dovrà superarsi.
Non intende limitarsi a replicare quello che ormai fa da anni e anni. Ha variato il modus operandi nel corso del tempo, per non correre rischi, ed è stato un bene per lui. Forse la decisione più saggia che abbia mai preso. La stampa non ha parlato di serial killer, fino ad ora. E ne è passato di sangue sotto i ponti, pensa, mentre è seduto su una delle tante panchine di fronte al cancello d'ingresso della scuola. Un sorriso spento e gelido, simile a quello di un rettile, fa capolino sul suo viso, senza che lui se ne renda conto.
Ha di nuovo cambiato aspetto. È stato obbligato a farlo, dopo l'omicidio di Michela. La parrucca comprata mesi prima in un grande magazzino in Toscana si è rivelata perfetta. È un caschetto nero corvino che ricorda vagamente il look dei figli di papà dei primi anni 2000. Ha eliminato i baffi finti e accantonato il proposito di farli crescere, sostituendoli con una barba di media lunghezza, sempre finta, che intende tenere finché la sua non sarà abbastanza lunga.
È stato cauto, per quanto riguarda l'uccisione di Michela. Si è accertato che il dehor esterno del bar in cui hanno preso il caffè non fosse inquadrato da alcuna telecamera, comprese quelle appartenenti ad altri edifici. Non è entrato a pagare, chiedendo a lei di occuparsene, fingendo di aver dimenticato il portafoglio nell'auto (che non ha mai avuto).
C'era molta confusione. Sa che di lì a poco verrà fuori un identikit messo insieme dai testimoni presenti nel locale, primo tra tutti il cameriere che li ha serviti, ma è convinto che il nuovo travestimento gli consentirà di sentirsi al sicuro, almeno per un po'.
Il suo ritratto diffuso dai media qualche giorno prima, dopo l'uccisione della prostituta cinese, è piuttosto somigliante, ma non abbastanza da risultare un problema.
In ogni caso, un pensiero si è insinuato nella sua mente, di recente. In parte ne è spaventato, in maniera quasi... riverenziale. Ma in parte ne è sollevato. Riguarda sé stesso. La sua nuova pelle. Ha come l'impressione che dopo la ricostruzione che ha pianificato, tutto il resto diverrà secondario. 
Potrebbero catturarlo, e sente che forse andrebbe anche bene.
Potrebbero addirittura ucciderlo.
Avrebbe importanza morire, dopo?
Pensa a tutte le città in cui si è spostato fino ad ora, come uno zingaro, come un nomade. Soltanto per uccidere.
Uccidere e andarsene, per poi rifarlo da un'altra parte. E dopo, ancora.
E ancora.
Ogni vita che ha preso ha rappresentato un tentativo di mettere a tacere la fame che da anni lo divora dentro. In parte ci è riuscito, ma ormai ha imparato che il sollievo, il senso di appagamento che prova dopo l'atto, è soltanto un breve intervallo prima della nuova uccisione. E soprattutto, il sogno della vera ricostruzione ha preso forma nel corso del tempo, corrodendo i suoi pensieri, invadendoli come un'enorme macchia oscura, sempre più definita, sempre più reale.
Più realizzabile.
Osserva l'ingresso del liceo. È rimasto identico a come lo ricordava. Ripensa ai tre anni che ha trascorso lì dentro. Non è riuscito a concludere gli studi. Tempi difficili, sussurra, spostando lentamente gli occhi nella direzione in cui una biondina esile sta camminando, a pochi metri da lui.
Tempi difficili, quando papà ha fatto la brutta cosa.
La brutta cosa, ripete, sottovoce, spostando lo sguardo verso un'altra ragazza. Meno esile, un po' più attraente. Ma non adatta.
Non importa, ha abbastanza tempo a disposizione.
La scelta dovrà essere accurata ai limiti della perfezione.
Lo deve a lei, si dice.
Sposta gli occhi verso il muretto alla sua sinistra, che costeggia la breve salita da percorrere per arrivare all'ingresso del liceo, una volta superato il cancello principale.
Si sono conosciuti su quel muretto, ricorda. Tanti anni prima.
Troppi.
Lei era di una bellezza delicata e pura. Soprattutto, però, lo trattava con gentilezza.
Era stato questo a colpirlo più di qualsiasi altra cosa.
Era entrata nella sua vita proprio mentre lui a casa stava attraversando l'inferno.
Poco prima della brutta cosa commessa da papà, sussurra, come se stesse parlando con qualcuno. 
Era stata il suo raggio di luce.
Ci aveva creduto, lo ricorda bene.
Chiude gli occhi e scivola in quei giorni.
Lei glielo sta ancora domandando...
(Come ti chiami?)
Si sta ancora rivolgendo a lui, sì, proprio a lui, che è in piedi con il suo zaino troppo grosso, troppo carico.

<<Come ti chiami?>> gli chiede. Ha gli occhi grandi e vispi e un sorriso abbagliante stampato in viso.
<<Teodoro>> le risponde.
<<Teodoro? Che nome strano!>>

Un ragazzino distratto inciampa nei suoi piedi, quasi cadendo a terra, riportandolo alla realtà.
<<Oh! Mi scusi, signore!>> esclama, guardandolo.
Lui non gli risponde. Attende che se ne vada.
Quando lo fa, torna a fissare il muretto all'ingresso della scuola.
E a perdersi nei ricordi.

Verdiana leggeva il futuroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora