Capitolo 49 - Tempo

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Quando entrai, già sapevo cosa mi avrebbe aspettata.

Come al solito lei era lì, seduta dietro la sua scrivania minimalista, con poco più di una penna sopra, una bozza tra le mani e gli occhiali da vista squadrati e mascolini bel calcati sul naso.

Glielo dissi. Senza troppi fronzoli. Il cerotto è meglio toglierlo velocemente.

Solo allora se li tolse. Lì iniziai ad avere davvero paura.

Mi squadrò, silenziosa, guardandomi fisso nei miei occhi che probabilmente rimbalzavano da una parte all'altra della stanza cercando la via di fuga più vicina.

Non so quanto tempo passò. So solo che mi sembrò un'eternità, ma alla fine lei disse: "Ho capito... nessun problema. Prenditi tutto il tempo che di cui ha bisogno. La rubrica rimarrà qui aspettandoti."

Rimasi sorpresa di quel: "Tutto il tempo di cui hai bisogno".

In realtà, avevo immaginato vetri che tremavano, urla, penne lanciate, fogli di carta che volavano per aria... niente di tutto questo. Solo un mite e alquanto preoccupante: "Prenditi tutto il tempo di cui hai bisogno."

Quando girai i tacchi per uscire dal suo ufficio, lei si rimise seduta esattamente nella posizione in cui l'avevo trovata.

Volevo solo correre, ma non potevo. Volevo solo scappare e accettare che fosse andata così. Ma ero ottimista.

Stavo per chiudere la porta. Poi lei aggiunse: "Ah Beverly! Hai una settimana per pensarci dopodiché sei licenziata!"

Mi era sembrato troppo bello... e forse pensandoci bene lo avrei fatto pure io.

Susanne era così. Anzi, in realtà forse avrebbe voluto accoltellarmi, piantarmi una penna nella schiena. Forse se non fossi stata io avrebbe urlato fino alla rottura di vetri, licenziando la malcapitata in tronco.

Probabilmente la rubrica mi ha salvato dopo avermi tolto tanto. Perché aveva successo, perché la mia scrivania ogni mattina era sempre piena di lettere di ammiratrici che mi dicevano di continuare, di far soffrire questi uomini, di ferirli come loro le avevano ferite... sono stanca.

Sono stanca di tutto questo.

Mi chiedo: se non fosse arrivato Shawn, sarei arrivata alla stessa conclusione? Probabilmente anche lei, anche Susanne, aveva pensato al mio orologio biologico, al tempo che passa. Chissà, magari era stata così tranquilla perché era così anche per lei, o almeno per una parte di sé che non l'avrebbe mai ammesso. Ma io le avevo raccontato tutto. Le avevo detto chi era, chi era stato, quello che mi faceva provare e che forse avevo sbagliato.

Ma devo dare una svolta alla mia vita! Devo decidere cosa farne della mia esistenza!

Così è passata un'altra settimana.

Mercoledì mi è venuto a prendere sotto casa, con la sua macchina sportiva. Sempre lui, ultimamente sempre lui, alla guida di una macchina diversa. Non che mi colpiscano particolarmente le macchine. Ciò che mi ha sorpreso è il totale rifiuto di avere altre persone all'infuori di noi due ai nostri appuntamenti. Nessun autista, nessuna spocchiosa assistente. Solo io e lui.

Ora, però, sono due giorni che non lo sento e che non lo vedo. Non è mai successo. Quando lo chiamo, risponde a quella bionda con la solita frase di rito.

« Il signor Johnston al momento è occupato e non può rispondere. Per favore richiami più tardi! »

Più tardi, sempre più tardi.

Ora che ci penso, è stranamente coinciso con la chiusura della rubrica.

Il fine settimana di solito sono i nostri giorni, il giorno in cui finalmente riesco a stare ventiquattr'ore con lui. Nella settimana sono solo ritagli di tempo, cene tra un'assemblea e l'altra, tra un viaggio e l'altro. Eppure mi chiedo perché ora, il nostro sabato, quando potremmo stare da soli lontano da New York e dal suo caos, mi ha fatta chiamare.

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