Capitolo 70 - Segno

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Esco in strada insieme ad altre milioni di persone.

È sabato sera e mi chiedo come sempre, se tutta questa gente voglia davvero uscire questo giorno della settimana o se è solo convenzione sociale che attira i singoli dietro il vuoto lasciato dalle masse al loro passaggio, un po' come una foglia quando le sfreccia vicino un'auto a tutta velocità.

Non posso credere sia solo dovuto al fatto che domani è domenica. Ma parlo bene io, mentre i proprietari dei locali si fregano le mani vedendo il branco avvicinarsi. Io, che sono la prima a dirigere rapida lungo la diciassettesima. Certo poi che camminare qui non è come a Cape Cod. Qui non c'è il mare, non ci sono le casette a schiera dallo stile rustico, leggermente scrostate sulla facciata e con il legno vivo che si intravede sotto.

Qui no. Qui non c'è legno. Qui c'è solo cemento, pietra perlopiù grigia ovunque guardi. Sotto di me, ad ogni lato, vedo solo grigio ed anche il cielo qui non è come quello della mia infanzia. Ora è grigio e plumbeo ed io non ne posso più.

Non posso fare a meno di pensare quanto sono cambiata, a quanto il mio andare e tornare, cambiare personalità e pensiero, sia dovuto a questa città e alle sue persone. Pensare a quanto io sia stata l'artefice del mio lavoro e viceversa, a quanto esso mi ha cambiata.

A volte è vero quello che dicono: spesso si fa un lavoro che si odia per soldi che non serviranno mai e che non si sa neppure con chispendere.

Senza alcun dubbio, io faccio parte di questa categoria. Di quelli che hanno scambiato lavoro per vita ed affetti con colleghi.

Ma camminare mi ha sempre fatto bene. L'ultima volta che l'ho fatto sono finita in chiesa e non è stato poi così traumatico come me lo  ricordavo. Il tempo cura ogni cosa... chissà se cura proprio tutte le malattie, chissà se ha curato anche la sua.

Non so se, su me invece, ha funzionato o se ha peggiorato i sintomi o alla fine la fortuna, o la ragione, ha girato anche per me. Già con Shawn avevo questi pensieri e, nonostante ciò che era e ciò che è stato, ha avuto un merito: quello di accendere una piccola scintilla in me e, per un attimo, mostrarmi una persona che avevo dimenticato da tanto tempo. Passo dopo passo l'ho capito, gli stessi passi che mi ci vogliono per raggiungere il Fourtynine.

C'è una fila assurda all'entrata che fa quasi il giro dell'isolato. Come sono cambiata... adesso quasi mi vergogno ad usare la mia amicizia per entrare. Ma è l'ultima volta, questa volta davvero. Questa volta è una mia decisione. Nessuno mi ha mosso, non è dovuta a nessun uomo, a nessun sentimento che credo vero e che poi si rivelerà finto.

Questa volta sono io. Questa volta è la vera me che parla e che decide per sé. Un ultimo lavoro, un ultimo articolo e Susanne si dovrà rendere conto che non mi importa nulla se vengo licenziata ma che, anzi, forse ciò che voglio. Andare via con stile e speriamo che questo lavoro, dopo avermi tolto tutto, dia qualcosa.

Ci spero poco.

«Ehi! Beverly, vieni! » Jim mi chiama. « Come stai? »

Una domanda facile.

Difficile.dire come sto, difficile dire anche chi sono io stasera.

« Potrebbe andare meglio... »

« Sai che mi avevi spaventato con quel l'ultimo articolo! Avevi detto di voler lasciare. »

« Già... »

« Vorrei dirti che sono contento di vederti, ma ti guardo e non vedo una persona felice di quello che fa. »

« Si vede tanto? »

« Un po'. »

« È solo lavoro Jim. »

« Ma fa che non diventi la tua vita! »

« Hai ragione come sempre! »

« Ora vai dentro e falli a pezzi! »

« Farò del mio peggio! » rispondo accennando una sicurezza che non mi descrive.

"Del mio peggio".

In realtà l'ho sempre fatto. È per questo che uso un nome finto, che mi proteggo, che proteggo la mia identità, quella che sono e che non mostro al mondo.

Ma questa Beverly deve entrare per l'ultima volta, senza pretese, solo per portare a casa il risultato. È lei che entra sapendo che se non si salva da sola, nessuno potrà salvarla, ma sapendo comunque che ciò che sta facendo è sbagliato e che una via d'uscita sovrannaturale non esiste.

Certo se arrivasse un segno...

Non si riesce quasi a camminare all'interno del locale. La musica è forte. C'è una band stasera che suona dal vivo. Una sorta di stonato Indie rock rivisitato. I flash delle luci danno solo il tempo di ambientarsi prima di accecarti di nuovo. Tutto come sempre insomma, come il lavoro

Prossima vittima: rinuncio a quelli seduti nel privé in alto... brutte esperienze. Elimino quelli troppo anziani o troppo giovani entrati con un documento falso. Tolte le donne ho eliminato il settanta percento dei presenti.

Rimangono quelli della mia età o poco sopra. Tolti quelli con cui nessuna donna andrebbe mai, un gruppo di ragazzi sulla destra fanno branco divertendosi come scimmioni a darsi vigorose pacche e accentuando le risate. Probabilmente ubriachi.

Anche al bancone del bar c'è un gruppo più piccolo. Composto da tre ragazzi stanno brindando a qualcosa. Non li vedo bene. Sono di spalle ma li osservo come faccio sempre con le mie prede. Ne devo scegliere uno. I due seduti ai lati del primo si alzano. Levano in alto i bicchieri. Ora li vedo tutti e tre in faccia.

Quello seduto sembra carino. Sì devo ammettere non è niente male.

Un ultimo brindisi. I due in piedi si allontanano, uno verso il bagno, uno a parlare con una ragazza forse già intuendo che andrà in bianco a giudicare dagli occhi al cielo di lei.

Rimane solo un ragazzo al bancone a bere uno Scotch. I capelli tagliati corti, il viso perfettamente rasato. Guarda quel liquido nel bicchiere come alla ricerca di una risposta. Mi sono sempre piaciuti quelli malinconici e un po' complessati. Mi avvicino pensando a quale frase ad effetto sfoderare.

Eppure...

Più mi avvicino più mi accorgo di quanto il suo profilo sia perfetto e di suoi occhi mi raccontino una storia.

« Ciao! Piacere, mi chiamo Beverly! »

Quasi al rallentatore la sua attenzione lascia il bicchiere e si posa su di me. Qualche secondo, movimenti infinitesimali delle palpebre. Prima a socchiudersi come tentare di capire, di leggere chi ha di fronte, poi a sgranarsi, quasi sorpreso che mi sono presentata.

Non so chi sia ma il suo sguardo mi intimorisce. Cerca di leggere un perché che neppure io so.

Socchiude la bocca e allontana il viso da me come per vedermi meglio.

Non è la reazione che mi aspettavo. Non mi guarda per capire se gli piaccio. Mi guarda per capire se sono davvero io.

Ciò che esce dalla sua bocca è qualcosa che non avevo neppure io il coraggio di sentire.

« Brianna? Brianna Chapman? »

Cazzo. Questa non me l'aspettavo.

« Luke? »

© Giulio Cerruti (The_last_romantic)

Angolo dell'autore:

Lasciate anche solo una stella per coronare i miei sforzi o, se vi va, commentate consigliandomi costruttivamente come dovrebbe continuare o eventuali modifiche in modo da potervi offrire scritti sempre migliori. Grazie infinite a tutti!

Come Mondi Opposti | Prima StesuraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora