18 - Siamo destinati a non incontrarci mai

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Sono le undici di mercoledì. Oggi incontrerò Abigail.

Dovrei essere felice...

Ma non mi sento io. Non vedo nè sento Zahira da sabato notte.

Mi manca da morire...

La mattina che se n'è andata ha lasciato un vuoto enorme dentro me. Un'impronta incolmabile con la sua forma. Mi deprime pensarci, cerco di non farlo. Devo cercare risposte, non rimuginare sulle domande.
Oggi conoscerò Abigail.

Sembra fatto apposta.
A Big Eye, il grande occhio.

Ho aspettato questo momento fino all'inverosimile e ora che è arrivato non so come sentirmi. L'ho immaginato in tutte le salse possibili.

L'ho disegnato e costruito, nella mente, come fanno gli abili artigiani di Napoli che espongono presepi realizzati a mano su Via San Gregorio Armeno. Con tutti i personaggi al loro posto. Con tutti i crismi del caso. Che ti stupisce la cura del dettaglio, la ricerca del particolare. Che ti fanno dire guarda, c'è persino la luce nel forno a legna. Sembra fuoco vero! Di quelli che hanno persino il ruscello che scorre per davvero e il pastorello che dorme sulla collinetta.

Ma io non mi sento così.

Mi sembra di essere una pallida imitazione di me stesso. Un pupazzo venuto male, di quelli che ha i colori tutti spostati, bocca e occhi traslati in posizioni improbabili e imbarazzanti.
Imperfetto. Una copia mal riuscita.
Uno scarto recuperato solo per essere svenduto a metà prezzo sulla bancarella del mercante di strada.

Mi avvolgo nel bavero della giacca, mi attorciglio su me stesso aggrappandomi al nulla.

Ho i brividi.

Non fa freddo, è che il gelo ce l'ho dentro.

Attraverso l'ingresso dell'hotel Mercure, quattro stelle più una in omaggio. Molto bello. Vista mozzafiato sul mare. Rifugio fisso dei VIP che vengono a fare visita, per un motivo o per un altro, alla città.

Mi fermo nella hall, al banco. Non c'è nessuno ad accogliermi. Aspetto qualche minuto. Non ho pazienza, colpisco il ding un paio di volte. Con stizza. Si presenta dopo pochi secondi il receptionist, spuntato dal nulla, da una porta che non s'era vista.

«Buongiorno. Cosa posso fare per lei?»
Mi dice, con la falsa cortesia della professionalità.

«Buongiorno. Vorrei sapere a che ora è previsto l'inizio del convegno sull'ambiente»
Monotòno, freddo e distaccato.

«Sì, un momento solo»
Controlla il terminale.
Un minuto. Due minuti. Tre minuti.

Ci sta mettendo troppo.

Finalmente smette di digitare su mouse e tastiera, alza lo sguardo con aria rammaricata.
«Mi spiace, ma il convegno è stato rimandato a data da destinarsi. La prenotazione della sala conferenze è stata annullata dagli organizzatori, ma non saprei spiegarle il motivo però»

Annuisco. Afferro.
Me ne vado, senza salutare. L'occhiataccia del receptionist la sento alle spalle, è una stilettata nella schiena. La merito.

La mia solita fortuna...
Che faccio adesso?

Nessun cambio di programma. Mi dirigo con un anticipo cosmico Al Bistrot.

* * *

Mi piace questo posto. Il suo calore. È speciale. Conosco i proprietari, due fratelli di una squisitezza unica ma sfortunati, questo posto è sempre deserto. E mi maledico per ciò che penso, ma mi piace anche per questo.
Non è necessario prenotare, c'è sempre un tavolo libero.
Anzi tutti i tavoli sono sempre liberi.

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