42 - Solo quando il gioco vale la candela

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Il Sanremo, com'era facilmente intuibile, è un bar. L'ho trovato facilmente, sia sulla rete che fisicamente.
È in una zona di mare, lungo la litoranea tarantina. La strada è obbligata, quasi, impossibile perdersi. Anche per me.

Parcheggio la mia Audi sul lato destro, lungo la piccola striscia di strada che forma uno spiazzo sul quale il bar affaccia.

Prendo posto a uno dei tavolini piazzati davanti l'ingresso del locale, sotto la tettoia in legno che, come un manto protettivo, ripara gli avventori da eventuali ire di cielo.

Non sono sola. Poco più avanti un anziano e il suo cane. Lui immerso nelle pagine di un quotidiano, il pastore tedesco semi appisolato con il muso poggiato sulle zampe anteriori.

Ho la visuale piena e libera della strada che, molto probabilmente, Gio percorrerà per raggiungermi. Dovrei riuscire a vederlo arrivare, da qui.

Una ragazza viene a chiedermi l'ordinazione, ma la rimando indietro con gentilezza, dicendole che aspetto qualcuno.

È un deja-vù che mi contorce le budella.
Inizio a farmi domande, a darmi risposte con altre domande. Sola, nella testa. Come una pazza...

E se non dovesse presentarsi nemmeno lui?
E perché non dovrebbe?
E perché dovrebbe?
Ti avrebbe invitato al bar, se non fosse interessato?
Sicura che fosse interessato?
Perché non dovrebbe?
Perché dovrebbe?

Domande folli e da stupida.
Folli perché non credo sia molto normale parlare da sola nella testa.
Da stupida perché non ci sono motivi reali per cui non dovrebbe presentarsi.

Lui è qui, in questa città, probabilmente in un raggio di qualche chilometro. È reale, tangibile.

Eccome se lo è, tangibile...

La mano. La mia.
La osservo. Riesco ancora a sentire la sensazione sulla pelle della sua stretta, umidiccia e calda. Salda, sicura.

Rombo di motore. Alzo lo sguardo sulla strada e spalanco la bocca senza volerlo.

Lui.
Che arriva a bordo di una Mercedes classe S Coupè, grigio ferro. Decappottabile. Due posti.
La riconosco con uno sguardo, l'auto dei miei sogni...

Guida spavaldo, ma con lenta sicurezza, capelli al vento e Ray Ban Aviator inforcati sugli occhi.

Parcheggia accanto alla mia A3 che, dall'imbarazzo del confronto, trascolora di un paio di gradazioni.

Scende al rallentatore.
Camicia bianca, giacca di pelle scura e denim blu. Una sigaretta, tra dita fasciate da un paio di anelli in acciaio.

È bello. Forse troppo belloccio, specie se paragonato al Gio della frattura, per i miei gusti. Resta comunque un notevole bel vedere.

Specie da dietro...

La prima domanda che mi pongo mentre Lui, sorridendo, mi viene incontro è la seguente.

Come fa un inoccupato a potersi permettere quel bolide?

Penso che glielo chiederò. Non subito, ma lo farò...

«Ciao di nuovo»
Mi fa, prendendo posto di fronte a me.

Replico, salutando di rimando.
«Ciao a te»

«Hanno cercato di investirti di nuovo?»
«Fortunatamente no, ma grazie per l'interessamento»

Toglie gli occhiali e li appunta nella V alla base del collo, formata dal secondo bottone della sua camicia che se ne sta abbracciato saldamente alla sua asola, posta sul lembo di tessuto speculare a esso.

La Frattura [Completa - In perpetua revisione]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora