47 - Ho perso anche la guerra...

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L'aroma del caffè si spande per la casa. Caldo, buono, invitante.

L'ho guardata compiere ogni gesto, ogni operazione necessaria a ultimare quel compito. Studiandola, in ogni dettaglio possibile. Le sue mani, abili e veloci, sicure. Come dovessi imparare qualcosa dal mio guardarla. Come mi stesse insegnando qualcosa, di sè stessa, del suo mondo.

Il caffè è uscito da un po' e lei ha già chiuso il gas. Ha posato i suoi occhi sui miei. E niente più. Siamo rimasti così, in silenzio, a fissarci per un tempo indeterminato.

È una sensazione strana quella che provo in questo momento. Non saprei descriverla a parole. Un risveglio, credo che sia la parola più affine che riesco a trovare. Come una brace, fatta di tizzoni consunti, anneriti e ricoperti di cenere, che riprendono vita sotto un soffio di vento.

La cosa mi spaventa.
Ancora di più se penso a quanto mi affascini.

Ho desiderato fino allo stremo vederla di persona, poterla incontrare, parlarle, toccarla. Se ci penso, mi assale la stessa angoscia che ho provato quel giorno, quando l'aspettai per quattro ore al bistrot. La credevo sopita, quella brace, ma scopro che non è così. E me ne vergogno molto, se penso ai mesi di vita passati con Zahira.

Rompo il ghiaccio di questo silenzio ambiguo. Mi soffermo su ciò che quei due occhi azzurri mi trasmettono.
«Sembri stanca»

Sorride lieve.
«Sì, lo sono molto. Sono appena tornata a casa da...»
«Da?»
«Taranto»

Cosa? Taranto?

«Perché sei stata lì? Ancora lavoro?»
«No. Sono andata a incontrare te. Il te... di questo lato»

Esattamente come ho fatto io. Ma perché l'ha fatto?

«Perché...»

M'interrompe.
«Non mi rassegnavo all'idea di averti perduto per sempre. Quell'addio è stato...»

Replico io.
«Straziante»

Sorride, solo con il viso. Gli occhi sono cavità oscure. Buie, fredde.
«Già. Straziante si avvicina»

Versa il caffè in due tazzine.
«Zucchero?»
«Sì, grazie»

Me ne porge una, insieme alla zuccheriera. Coccio, verde, stile Ikea. Un cucchiaino mezzo sdraiato dentro, con la testa affogata nel bianco e il manico da fuori. Lo uso, anche per girare.
Non sono un dimentico o un maleducato, a lei non serve. Lei lo beve amaro.

Inizia un racconto che ascolto in ritirato silenzio.
«Dopo l'addio ho avuto un crollo psicologico. Ti sognavo, tutte le notti. Mi chiedevi di venirti a cercare. Sentivo di stare perdendo il contatto con la realtà. Mi sentivo impazzire, giorno per giorno»

Pausa. Sorso.
Imito.

«Ho tirato avanti così per tre mesi e mezzo, senza riuscire a dormire una notte completa. Mi ha distrutto...»
Si corregge con la lama di un coltello, affondando nei miei famosi sensi di colpa.
«Mi hai distrutto, pure il gusto di sognare. Ero un'onironauta, prima di conoscerti»
Sorvolo l'affondo, indago la parola.
«Che significa?»
«Ero capace di pilotare i sogni a piacimento. Stavo per dirtelo e per confessarti una cosa, quella notte che parlammo a lungo. Non so se ricordi...»
«Certo. La ricordo bene, invece»
Sorride, malinconica.
«Tentennai, indecisa. E alla fine non ebbi il coraggio»
«Per dirmi cosa?»
«Che sono un po' di anni che ti sogno»

Sorpresa mi coglie.
«Ma com'è...?»
«Non lo so. È sempre stato un mistero, per me. Una cosa strana davvero. Dicono che nella vita capitino cose strane, a volte»

La Frattura [Completa - In perpetua revisione]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora