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Veronica

Serro gli occhi e smetto di respirare, mentre la parola "scusatemi" si continua a ripetere nella mia testa. Proprio quella mi inizia a fare male, mentre porto una mano sul mio cuore. Piano piano si sta spegnendo, mentre la rabbia di quel povero uomo si riversa su di me. "Perdonalo" e faccio proprio così, non voglio morire con rancore.
"Ti perdono."
Il cuore si ferma ed è proprio in quel momento in cui pensi che tutto andrà bene. In cui la calma torna, quando la vita ti scivola tra le mani e tu la guardi con un sorriso, sapendo che non puoi riaverla indietro. È proprio in quel momento che capisci ciò che hai perso, ma continui a sorridere ricordando i momenti felici, i momenti in cui hai riso con la tua famiglia e con gli amici, quando ti ricordi di quanto aspettavi l'estate per poter rivedere ancora i tuoi stupidi compagni di avventure. Mi ricordo delle belle foto che mi ritraggono sorridente con i miei amici quando eravamo ancora illusi della bellezza del mondo. Mi ricordo delle persone che ho perso durante la mia vita, mi ricordo degli ostacoli che ho superato e tutte le volte in cui pensavo che avevo toccato il fondo del baratro e pensavo al suicidio. Mi ricordo dei miei sogni, del mio carattere brusco, delle mie figuraccia per strada, a scuola, con gli altri. Mi ricordo delle miei più grandi fobie, della mia paura delle altezze, cosa ereditata dei miei genitori, e contro cui ho lottato e vinto; della paura della gente, di quanto mi spaventava parlare in pubblico, di quanto mi inceppavo mentre parlavo o leggevo ad alta voce. Mi ricordo di quanto ammassi cantare, di quanto amassi la musica. Era la mia vita. Ogni minuto, ogni attimo, io cantavo, anche durante le verifiche continuavo a cantare le strofe delle canzoni.
Mi ricordo tutto e io sorrido, stranamente felice, nonostante tutto, nonostante non aver concluso il mio piano.

Dylan (Attenzione: ora ci sarà presente una scena forte, non scriverò della violenza, ma solo delle sensazioni, però chi non volesse leggerla può saltare la parte.)

Torno a casa sbattendo la porta e incapace di non pensare allo sguardo triste di Veronica. Inciampo su una bottiglia vuota di vodka e trattengo tutte le mie lacrime, perché gli uomini non piangono. Vado in salotto quando mio padre mi chiama e abbasso lo sguardo alla sua presenza.

«Ti avevo detto di non andare alla tua stupida festa!» mentre mi urla contro agita la sua bottiglia, ormai vuota e me la scaglia contro. Non faccio neanche un passo per evitarla, incapace di muovermi. La bottiglia si infrange sulla mia testa e esplode in una pioggia di schegge. Il sangue inizia a colarmi sulla faccia e io mi inginocchio a terra, ormai consapevole della mia pena. Lui si sfila la cintura sottile e micidiale, mi gira attorno e si ferma dietro di me, mentre io mi sfilo la giacca e la camicia. So cosa mi aspetta, per la disobbedienza: tre frustate. È da quando sono adolescente che non fa altro che educarmi, così dice. Ora potrei benissimo ribellarmi dalla sua violenza, ma non ce la faccio, non ne sono capace. Le ferite iniziano a riaprirsi e anche i miei ricordi, che cerco di sotterrare da anni e che vengono a galla ogni dannata volta. Il dolore fisico non è niente in confronto a quello emotivo. Non ho mai detto a mia madre di questa cosa perche non volevo farla soffrire. Ho sempre patito tutto, aspettando il mio diciottesimo compleanno pazientemente. Mio padre torna davanti a me e mi ignora mentre io mi alzo da terra e mi trascino fino al piano superiore, dove c'è il mio bagno. Appoggio le mani sul lavandino e mi guardo allo specchio. Sono uno schifo. Apro il mobiletto e tiro fuori il disinfettante, iniziando a tamponarmi le ferite sulla schiena, altre ferite che si aggiungono alle altre cicatrizzate. È sempre un impresa arrivare da per tutto sulla schiena, ma ormai sono esperto. Quando finisco mi sdraio di pancia sul mio letto per far asciugare le ferite e mi addormento.

Mi risveglio con delle urla provenienti dal piano di sotto. Accendo il telefono e vedo che sono circa le 3:15 del mattino, ho dormito per solo due orette. Cerco di sentire le parole che si urlano, ma riesco solo a riconoscere la voce di mio padre e una di una donna, ascolto bene e sento le parole di Veronica. Quasi non riesco a crederci, è venuta fino a qua, solo per me? E io l'ho lasciata da sola là?
Mi riscuoto dai pensieri e mi tiro su dal letto, mentre la schiena mi brucia e mi fiondo giù dalle scale mentre le urla cessano. Cerco in salotto, in cucina e in tutti gli altri posti della casa finché non noto la porta di casa semi-aperta. La apro velocemente e corro fuori. La scena che mi si presenta davanti mi stringe il cuore. Mio padre tiene Veronica per il collo e lei è attaccata al muro con una mano sul cuore, mentre del sangue sgorga dalla sua bocca. Mi muovo immediatamente e butto mio padre da una parte, iniziandolo a picchiare senza sosta, togliendo dal suo viso quel suo stupido ghigno malefico. Con quei pugni esprimo tutta la mia rabbia e la tristezza che provo verso di lui. Vendico la ragazza che non ho mai smesso di amare e vendico mia madre. Lo lascio lì per terra svenuto e finalmente capisco che ho sbagliato a proteggere un uomo come lui, perché era l'unica cosa che avevo. Mi giro verso Veronica, il cui corpo è accasciato al muro e le corro incontro. Vedo i lividi sul suo collo e cerco di svegliarla.

«Veronica! Ti prego svegliati! Ho bisogno di te, perché senza di te non faccio altro che sbagliare! Ti amo.» Sussurro alla fine perché so che non aprirà gli occhi con le mie parole.
Tiro il telefono fuori e chiamo in lacrime l'unica speranza.

~spazio autrice~
Sto cercando di finire il libro al più presto perciò pubblico subito questo capitolo. Spero di avervi coinvolto abbastanza nelle vicende e tornerò di nuovo con un altro capitolo.

Solo noiWhere stories live. Discover now