Capitolo 27: Apatura Iris -1°parte

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Solarbiom, città della regione Fiamma

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Solarbiom, città della regione Fiamma. 4 settembre 495, anno della Lira.

Schiamazzi e nitriti, provenienti dall'esterno, non lo lasciarono indifferente. Deglutendo gli ultimi sorsi di sidro, Ademaro impiegò una manciata di istanti per appoggiare il calice ormai vuoto sulla scrivania. Ancora meno secondi per avvicinarsi a una finestra del suo appartamento. Bastarono infine tre eventi per indurlo ad affacciarsi fulmineo alla bifora: una carrozza blu cobalto fermarsi all'entrata della scuola per poi sfrecciare verso il centro di Solarbiom. Le ante del cancello che si aprirono repentine per poi chiudersi fulminee, e ora due voci che stavano echeggiando nel giardino. L'una era più forte dell'altra, e si intrecciavano con i canti dei grilli che scandivano le uniche note melodiose della serata. Una sinfonia che proseguì nei minuti successivi mescolandosi a una rapida successione di parole del tutto incomprensibili.

Tuttavia il nobile non si voltò verso Brancaleone che era a fianco a lui. Prima di agire voleva assicurarsi che si trattasse della persona che stava aspettando di scorgere da ore. Udendo dei passi metallici risuonare sempre più forte nel parco. Percependo un timbro di voce profondo sovrastare le chiacchiere dei fanti che perlustravano il perimetro del castello, il conte afferrò il cannocchiale appoggiato alla mensola marmorea della bifora. Direzionò lo strumento in un punto ben preciso, dove le chiome degli alberi erano così rade da permettere di osservare una parte del vialetto sgombro da ostacoli. Rimanendo in attesa, con gli occhi fissi sull'obbiettivo, si augurò che il vice capitano avesse indossato l'uniforme ufficiale come gli aveva richiesto di fare. Solo attraverso questo stratagemma l'avrebbe riconosciuto fra la moltitudine di soldati che accompagnavano gli studenti all'interno della scuola. Di conseguenza avrebbe dedotto all'istante chi fosse Noemi. La conferma che Andrea gli aveva obbedito arrivò dopo qualche minuto osservando l'armatura che l'uomo indossava mentre conversava con una ragazza. Tuttavia il giovane aristocratico non fu l'unico a fissarli in quel preciso istante.

«E così lei sarebbe Noemi! Sembra una stracciona, e per giunta non ha nessuna grazia nel camminare. Faresti meglio a ordinare ad Andrea di rispedirla a casa» esordì il barone puntandola con un dito. Notando che il conte non si scompose, il nobile rincarò la dose proseguendo l'arringa con tono sprezzante.

«Non è degna di frequentare questo istituto. È una plebea e la sua presenza metterà a disagio i nostri amici. Oltretutto è a rischio la reputazione della scuola se accoglierai un altro popolano» rimarcò cocciuto, e per sottolineare il suo disappunto batté il palmo della mano destra sulla parete affrescata. «Devi cacciarla via, e riportare l'onore e il prestigio della scuola del Sole ai vecchi splendori espellendo tutti gli studenti plebei. Sai cosa mi ha riferito Maurizio? Che il marchese di Luesor... » il barone si fermò di colpo a parlare notando che Ademaro lo stava fulminando con lo sguardo.

«Sono il figlio del presidente di questa scuola. Ergo spetta a me il compito di selezionare i candidati. Solo a me. La prossima volta che osi impartire ordini al sottoscritto, tieni a mente chi sono io e chi invece sei tu» tuonò severo squadrandolo dalla testa ai piedi.

Il tempo di compiere un respiro e poi il conte riprese a parlare. «Perché pensavi che lei fosse una popolana? Ti rammento che il vice capitano accoglie soltanto ragazzi aristocratici. La tua ipotesi dunque non è solo scorretta ma pure insensata. Per quanto riguarda l'andatura goffa della ragazza è dovuta alla stanchezza del viaggio. Chiunque al suo posto avrebbe gambe e piedi doloranti dopo aver trascorso molte ore all'interno di una carrozza» replicò infastidito per l'eccessivo disprezzo che il barone stava scagliando contro Noemi.

Tuttavia non aggiunse una sola parola in più. Proseguire a difendere una popolana, per giunta a lui sconosciuta, lo considerò inappropriato al suo lignaggio e del tutto fuori luogo.

Pur di evitare ulteriori figuracce, Brancaleone optò per il silenzio. Si limitò a scagliare delle occhiatacce contro la guardia che era presente nella camera. Non gli era di certo sfuggito che le labbra dell'uomo vibrassero con intensità, e non servì a nulla minacciarlo con lo sguardo. Non solo il movimento della bocca accelerò all'improvviso, ma nel minuto successivo sfociò in una fragorosa risata. Eco sonoro che fece ribollire il nobile dal risentimento inducendolo a cambiare subito strategia. Voleva riscattarsi. Dimostrare che nessuno poteva sminuirlo e declassarlo con un pugno di parole, neppure il conte. Ricompose il suo orgoglio ferito e lo saldò attraverso il desiderio di rivalsa. Trasse da essa la forza per controbattere l'offesa ricevuta e rispedirla al mittente. La prossima risata che sarebbe rimbombata all'interno della camera sarebbe stata rivolta ad Ademaro.

Incrociando le braccia al petto, Brancaleone gli espose il suo punto di vista. «Fatico a credere che lei sia un'aristocratica» sentenziò deciso. «Quella stracciona proviene da Ventalun. Perfino Mattia» gli indicò con un cenno la guardia «è al corrente che in quel borgo sperduto fra le montagne sono tutti contadini. Ergo lei è una banale popolana munita di zappa e del tutto priva di un titolo nobiliare» lo disse tutto d'un fiato convinto di aver in pugno la situazione.

Se in un primo momento il conte sobbalzò, nell'attimo seguente ritornò a raddrizzarsi la schiena come se il turbamento non lo avesse sfiorato nemmeno un istante. Tuttavia l'espressione serena del suo viso non rispecchiava ciò che stava accadendo all'interno della sua mente. Il giovane era in balia di un vortice di pensieri. Catapultato al centro di una burrasca in cui l'ansia acquistava potenza di pari passo al timore di non riuscire più a celare la verità. Si arrabbiò con se stesso per essere stato avventato ad averlo provocato. Quando veniva messo alle strette e punzecchiato a dovere, Brancaleone era capace di esibire una perspicacia che perfino lui temeva. Dote che in quel momento avrebbe preferito che non fosse mai emersa. Scrollò infine le spalle sospirando. Un patto è un patto. Va rispettato fintanto che rimane valido pensò fra sé impiegando qualche secondo per trovare una risposta appropriata da pronunciare. La trovò subito dopo direzionando gli occhi sul quadro appeso sopra la scrivania. Fissò ancora una volta il castello raffigurato nel dipinto, e quando si voltò verso l'aristocratico la messinscena prese forma.

Prima lo fissò scuotendo la testa, poi Ademaro sbuffò appoggiando una mano sulla spalla del suo amico. «Sei stato avventato a concentrarti su un'unica informazione. Hai mai considerato l'ipotesi che lei avesse dei lontani parenti a Ventalun? Per questo motivo lei è partita da quel borgo ma non è una popolana» mentì con naturalezza e nel proseguire a parlare alzò il tono di voce. «Proviene da una famiglia aristocratica di Isilas perciò possiede un titolo nobiliare. La prossima volta che spalanchi la bocca assicurati di dire cose sensate» l'ammonì autoritario dandogli alcune pacche leggere sulla testa per poi distanziarsi da lui.

La sconfitta lo ferì più delle risate che percepì alle spalle. Il barone serrò le dita di una mano stringendole con forza a tal punto che le nocche divennero bianche in pochi secondi. Non poteva controbattere di fronte a un'informazione solida come una roccia. Prove non ne aveva per smentire le parole del nobile, e neppure poteva riferirgli che fosse al corrente che la messaggera aveva recapitato la lettera a una contadina. Se l'avesse pronunciato ad alta voce sarebbe stato smascherato, e la sua tattica per stroncare le candidature dei plebei ancora prima di giungere alla scuola sarebbe naufragata per sempre. Ne era convinto. Ademaro gli stava mentendo ma si tenne per sé i dubbi annuendo e compiendo qualche passo sul tappetto rosso. 

Quando poi passò di fronte alla guardia non ci pensò due volte a dargli una gomitata sul fianco approfittando che l'uomo indossasse un'armatura in cuoio. Soddisfatto nel vedere il soldato piegato in due dal dolore, Brancaleone si sedette sulla poltrona a fianco al letto a baldacchino proseguendo a tenere serrate le labbra. Permise invece alla sua superbia di non avere limiti condensandola in un obbiettivo ambizioso. Ancora non sapeva come riuscirci, ma un giorno sarebbe stato lui a gestire la scuola del Sole prendendo il posto del conte.


La Fenice del vento - Fiore di PeoniaWhere stories live. Discover now