Capitolo 33: la prima mossa -1°parte

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Meran, città del regno dei quattroventi, 5 settembre 495, anno della Lira.

Racchiusa in una possente cinta muraria, quella notte Meran era più splendida che mai. Gli stendardi decoravano le bifore ovali delle case. I vasi di fiori abbellivano i sontuosi davanzali dei palazzi. Dovunque vorticavano profumi dalle note speziate e aromatiche che si univano al rumore degli zampilli della fontana, posta nel centro della città. Regale quanto ammaliante, la scultura a forma di anemone sbocciato scandiva con grazia il tempo. Spruzzando a intermittenza dai pistilli getti d'acqua che ricadevano a cascata da un petalo marmoreo all'altro. Mentre la luce soffusa della Luna illuminava le vetrate delle botteghe, la calma soffiava in ogni angolo e via. Sibilando nei vicoli più stretti. Infiltrandosi nelle fughe dei muri in pietra delle abitazioni quadrate. Danzando infine con le fiamme azzurre delle torce collocate di fronte a un imponente castello, posto a est della città.

Di sabbia e di granito erano le sue pareti. Di legno e di metallo il suo ponte levatoio. Con le bifore a mezzaluna. Le numerose torri e un profondo fossato, il maestoso edificio pareva uscito da un libro di antiche leggende per le rifiniture con cui era decorato il tetto spiovente in alabastro. Sculture della medesima pietra erano collocate in ogni terrazza. L'ampia scalinata priva di passamano, invece, era ricoperta da petali blu che scendevano di scalino in scalino trasportati da rigagnoli d'acqua sgorganti dai fori del portone d'entrata.

Era ormai buio, e anche se la luce della Luna attutiva l'oscurità della notte nessun abitante di Meran avrebbe potuto distinguere nulla in quella distesa di ombre. Tranne una persona. Dalla torre più elevata del castello. Con le mani premute sul bordo del cornicione, una donna osservava l'orizzonte. Un panorama privo di nubi, ma irto di incognite. Scorgeva le dune alla sua destra chiedendosi se nel reame della Rosa del deserto fosse scoppiata l'ennesima tempesta di sabbia. Direzionò poi gli occhi alla sua sinistra dove sconfinate praterie e immense distese di alberi spezzavano la monotonia di un paesaggio brullo e solitario. Una folata improvvisa alle spalle le ricordò con l'intenso odore salmastro cosa avesse dietro di lei. Ruotò il collo in direzione del reame della Perla del mare dando un'occhiata veloce alle imbarcazioni muoversi in una sconfinata distesa d'acqua. Scosse la testa accantonando l'ipotesi che fosse imminente una burrasca, e in un battito di ciglia ritornò a fissare ciò che aveva di fronte a sé. Rimase con le iridi puntate verso la catena montuosa della Fenice del vento, mentre soffi d'aria persistenti le scompigliarono i capelli ondulati. Di tanto in tanto mise dietro le orecchie alcune ciocche color mogano che le sfioravano con insistenza le guance.

Le cime dei monti, con i loro crepacci e ghiacciai, non sfuggirono ai suoi occhi in grado di scorgere la luce anche nell'oscurità più totale. Neppure la distanza faceva paura a quelle iridi cristalline come quarzi, e ambrate alla pari del miele. Le sue dita però stavano tremando. Scosse al contatto con il ciondolo che aveva sulla fronte. Lo sfiorò più volte percependo la superficie liscia del topazio incastonato in un districato groviglio di fiori e foglie d'argento. Tastò in seguito la sottile catenina di metallo nella quale era appeso il gioiello tirando un sospiro di sollievo. Era ancora salda all'acconciatura, e neppure la folata più violenta avrebbe potuto farla cadere sul pavimento di granito.

«Mi manchi» sussurrò sottovoce stringendo con forza i lembi del mantello che le avvolgevano le spalle mentre inclinò il capo verso la volta celeste.

Una vibrazione improvvisa delle ciglia. Poi un'altra a distanza di un secondo la indussero a scrollarsi dalla mente ogni istante del passato, non permettendo che alcuna lacrima iniziasse a emergere dagli occhi. Fece confluire tutta la sua attenzione nell'osservare la porzione di territorio più impervia della Fenice del vento. Dove l'asprezza del gelo, e la spietatezza dei terremoti avevano squarciato in due una montagna. La breccia creata dalla natura le consentì anche quella sera di guardare uno scorcio di quel regno che da lustri non osava raggiungere.

Durò solo una manciata di minuti l'illusione di poter proseguire a fissare il reame. In un attimo una fitta nebbia si impadronì delle pareti rocciose. Velò le città. Oscurò i laghi, e inghiottì le colline lussureggianti. Di pari passo si diffuse nell'aria un intenso odore di bruciato. Fu allora che la quarantenne lo capì. Non si trattava di un banco d'umidità, ma di fumo. La coltre grigiastra si riempì di luccichii e di fiammate scarlatte. Stringendo con forza un lembo del vestito, la donna trattenne il respiro ogni volta che gli uccelli luminosi vennero colpiti dalle sfere incandescenti. In un frangente di tempo, ne vide polverizzarsi a dozzine svanendo nel nulla sotto lo sguardo compiaciuto dei draghi neri. Tuttavia una piccola sagoma lottò con tutte le sue forze per sopravvivere. Schivò le code appuntite degli animali feroci. Compì improvvise piroette acrobatiche, e bruschi cambiamenti di direzione pur di sfuggire da quelle fauci crudeli e prive di pietà. La nuvola acre divenne così densa da apparire un muro imperscrutabile. Ciononostante il volatile non si spaventò per la scarsa visibilità. Si tuffò nel vapore cinereo combattendo con la cenere e i vortici di calore, per poi emergere vittorioso lasciandosi alle spalle il confine.

Di pari passo il silenzio si frantumò con i battiti d'ali del piccione che scese rapido di quota, raggiungendo in breve tempo il castello di Meran. Solo quando la donna lo vide atterrare sul cornicione tirò un sospiro di sollievo. Nell'attimo in cui lo afferrò, il volatile si dissolse in una nuvola di fumo. Le rimase soltanto una minuscola pergamena arrotolata sul palmo della mano. La tenne stretta fra le sue dita correndo a perdifiato, e premette con forza le scarpette sui gradini della scala a chiocciola della torre.

Desiderava essere veloce quanto una folata di vento. Più rapida di un cavallo al trotto, ma lo strascico del vestito le impedì di procedere spedita. A tal punto che decise di arrotolare l'ingombrante tessuto ricamato e tenerlo serrato fra le braccia. Non appena raggiunse il sesto piano scansò con le mani i cavalieri che stavano pattugliando il corridoio per poi fermarsi di scatto di fronte una porta. Bussò tre volte sulla superficie lignea prima di inclinare la maniglia dorata verso il basso.

Il fiato le mancava. I muscoli delle gambe le dolevano, eppure non esitò un singolo istante a compiere qualche passo in avanti. Procedette rapida sul tappeto ovale non facendo caso ai mazzi di fiori appoggiati sui mobili. Passò a fianco alla finestra socchiusa, e solo quando si trovò di fronte a una persona seduta su un divano dischiuse le labbra.

«È arrivato il messaggio che attendevamo» esordì respirando con affanno «però» proseguì rammaricata «le Ierule sono state tutte eliminate da un gruppo di draghi neri. Temo che d'ora in poi sarà difficile ricevere notizie.»

Tenendo le gambe a cavalcioni, l'uomo incrociò le sue iridi perlacee con quelle della donna per poi afferrare il foglietto che gli stava porgendo. «Ti ringrazio Claudia. Per quanto riguarda le Ierule avverti le spie di ricorrere soltanto ai piccioni. Non possiamo permetterci di perdere gli aggiornamenti sulle mosse del tiranno. Proprio ora che le previsioni scritte da Agata stanno per finire» le rispose iniziando a leggere il pezzetto di carta.

"Re Alessandro ha compiuto la prima mossa, dando l'incarico di svolgere la missione a una persona sconosciuta. Quando avremo occasione di incontrarci, ti consegnerò il ritratto di quel ragazzo per scoprire la sua identità. M."

La Fenice del vento - Fiore di PeoniaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora