Capitolo 23

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« Ti senti bene?» mi chiese per l'ennesima volta Bea.
Non aveva fatto altri che guardarmi di nascosto durante tutta la lezione e io facevo finta di non accorgermi del suo sguardo su di me.
« Sto bene, Bea!» dissi sorridendo.
« È successo qualcosa fuori? Forse con quel tipo, come si chiama Tyler?» chiese.
Mi venne subito caldo, come poteva pensare una cosa del genere?
« Certo che no! Cosa dovrebbe essere successo?»
Arrivammo davanti al mio armadietto. Staccai un foglietto attaccato alla porta e lo arrotolai.
« Non lo so, solo che appena tu sei uscita lui si è alzato senza dire una parola ed è uscito. Ho fatto due più due.» disse alzando le mani.
« Non è successo niente! Abbiamo solo parlato.» dissi rigirandomi la carta tra le mani.
« Ok, cos'è quello?» chiese strappando il volantino dalle mie mani.
« Non lo so e, sinceramente, non mi interessa.» risposi in tono pacato.
Vidi che apriva la pallina che avevo fatto e iniziò a leggere.
Sul suo viso si susseguirono molteplici espressioni: il dubbio, la curiosità, la gioia, l'indecisione ed infine, come se gli fosse venuta un'idea, un sorriso si aprì sul suo volto.
Non potevo rimanere impassibile e presa dalla curiosità chiesi.
« Cosa dice?»
Mi guardò facendomi intendere la mia contraddizione, prima non volevo saperlo ma adesso... beh ero curiosa.
« Ci sarà un ballo per l'inizio della scuola. Non l'organizzavano più da quasi tre anni ma quest'anno l'hanno riproposto. Sarà questo week-end nella palestra della scuola. Dobbiamo assolutamente andarci, ci divertiremo. Prima però dobbiamo trovarci dei cavalieri, non si fa al ballo da sole! Oppure potremmo andare in coppia io e te, lo so è inusuale ma vi divertiremo comunque. Dobbiamo anche comprarci qualcosa, non possiamo usare i soliti vestiti, insomma è il ballo della scuola non una festicciola qualunque!.» disse tutto d'un fiato.
« Vuoi calmarti?» chiesi.
Prese un respiro profondo e annuì.
« Bene - dissi incamminandomi verso l'uscita della scuola- non penso di venire.» dissi tutto d'un fiato senza giri di parole.
Lei mi seguì.
« E perché?» chiese quasi scocciata.
« Non sono il tipo da feste e so che non mi divertirei, anzi, tu rovinerei solo la serata. Poi...» mi zittì con un gesto della mano.
« Non pensarci neanche! Non puoi ripetermi sempre la solita scusa, " non sono il tipo da feste"- disse imitando la mia voce- Non è una festa è un ballo e sarà diverso dalla scorsa domenica. Ci divertiremo, tu ti divertirai. Devi goderti la vita Élodie sei giovane! Cosa ti costa?» chiese.
A quelle parole mi bloccai. Volevo urlarle che c'erano persone che si meritavano di godersi la vita più di me, ma non potevano. Volevo gridare che non potevo divertirmi quando altre perspne, a me care, non avrebbero mai potuto. Non potevo fare finta che non fosse successo niente e divertirmi come una normale adolescente, ma non ci riuscivo, ogni cosa mi ricordava loro e non riuscivo a fare finta di niente.
Non dissi nulla di tutto questo. Risposi a Bea senza guardarla negli occhi perché sapevo che si aspettava una risposta che non ero in grado di darle.
« Ci penserò» dissi e me ne andai diretta verso la palestra.
Avevo bisogno di distrarmi e dimenticare tutto, conoscevo solo un posto che poteva aiutarmi. Così, prima di andare da Marcus, deviai verso quel luogo.
Devi godersi la vita!
Quella frase mi stava tormentando. Sapevo che Bea aveva ragione, ma non riuscivo ad ammetterlo ad alta voce. Per questo ero andata via prima di scoppiare a piangere davanti a lei iniziando ad elencare i motivi per cui ero così. Odiavo esprimere le mie emozioni in pubblico e, odiavo ancora di più, piangere davanti a qualcuno.
Ero un fascio di emozioni pronto ad esplodere da un momento all'altro. Una lacrima mi rigò la guancia e mi affrettati subito ad asciugarla. Mi passai entrambe le mani sugli occhi per scacciare indietro le lacrime, ma ormai era tardi. Una dopo l'altra iniziarono a scendere sulle mie guance, era un pianto silenzioso, ma che significava molto e urlava tutti i miei stati d'animo.
Dovevo smetterla, nell'ultima settimana avevo pianto quasi tutti i giorni e non era un bene.
Cercai nella tasca dei pantaloni un fazzoletto per asciugarmi le lacrime ma non ne avevo.
C'era un leggero venticello e decisi di tirare su il cappuccio della felpa per non fare notare che stavo piangendo.
Camminavo ormai da quasi cinque minuti e non mancava molto all'arrivo.
Iniziai a contare i passi per distrarmi, funzionava sempre e anche quella volta questo metodo non fallì. Ero concertata sui numeri quando sentii una voce a me conosciuta.
« Ehi ragazzina!» disse.
Non mi voltai, probabilmente non era neanche rivolta a me perciò continuai a camminare aumentando il passo.
« Élodie?» disse ancora.
Non mi voltai, non volevo sapere chi era.
Ad un certo punto qualcuno mi tirò giù il cappuccio dalla testa e io sobbalzai per la sorpresa.
Quella volta mi voltai.
« Pensavo di aver sbagliato nome visto che non rispondevo.» disse.
« Cosa vuoi?» chiesi freddamente.
Sapevo per certo che era qui solo per prendermi in giro o cose simili.
« Stai piangendo?» chiese stupefatto.
Mi girai di nuovo, strinsi gli occhi per un istante e ripresi a camminare.
« Ripeto la domanda: cosa vuoi?»
Sentivo i suoi passi dietro di me e in meno che non si dica, me lo ritrovai di fianco.
« Sei sempre così sgarbata?» chiese.
« Quando qualcuno non mi lascia stare si!» sorrisi falsamente.
« Comunque, non volevo niente, ti ho vista camminare da sola e ti ho raggiunta. Dove stai andando?» chiese.
« Fai sempre così tante domande?»
Alzò le spalle e non rispose. Calò il silenzio per alcuni minuti e poi parlò di nuovo.
« Perché stavi piangendo?»
Aveva cambiato tono di voce, da scherzoso era diventato serio.
Mi limitai a scuotere la testa.
« Dimmelo!» disse autoritario.
Se pensava di potermi dare ordini so sbagliava di grosso.
« Senti un po' tu! Chi ti credi di essere? Non puoi pretendere di venire qui e ordinarmi di dirti qualcosa che non ti riguarda. Non ti conosco e non hai il diritto di farti gli affari miei quindi lasciami stare!» lo canzonai.
Come se non avessi detto niente mi rispose.
« Qualcuno ti ha fatto male?» chiese.
« Sei irritante!» dissi.
« Rispondi alla mia domanda per favore» disse scocciato.
« No, per l'amor del cielo, no!» dissi gesticolando come una pazza.
« E allora perché piangi?» chiese ancora.
Mi arresi e risposi.
« Ti capita mai di pensare al significato della vita e della morte? Al perché gli altri muoiono mentre tu sei in vita? Al perché proprio tu devi sopravvivere?» chiesi.
Lo vidi confuso. Per un momento pensai mi rispondesse sì, ma quando scosse la testa mi arresi.
« Lascia stare!» dissi sconfortata.
Sentii qualcuno che lo chiamava, lui si girò e li salutò.
« Tutto capita per un motivo. Non puoi controllare tutto e le cose succedono perché sono destinate a succedere. È inutile riflettere su queste cose perché non hanno spiegazione.» disse
« Il destino non esiste!» risposi scocciata.
« Come vuoi. Ci vediamo in giro ragazzina.» detto questo raggiunse i suoi amici.
Quel ragazzo misterioso diventava sempre più difficile da interpretare. Non mi dispiaceva parlare con lui, soprattutto quando non c'erano i suoi amici. Sembrava una persona completamente diversa, più aperta e sociale. Peccato che una volta che riuscivi a farti dire qualcosa se ne andava.
Raggiunsi la piazza dove ero diretta. Come immaginavo lo stand del mago era sempre al solito posto. Mi sedetti sulla panchina di fronte e spendi il cervello. Non so come o perché ma in quel posto riuscivo a disconnettermi dalla realtà.

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