Capitolo 69

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Scesi dall'auto appena Tyler si fermò nel vialetto di casa sua.
Non aspettai che mi raggiungesse ed entrai subito in casa diretta nella sua stanza.
Mi buttai sul letto mettendo le mani sugli occhi. L'odio che aveva invaso il mio corpo poco prima non se ne era ancora andato e avevo una voglia matta di prendere a pugni qualcosa, o meglio qualcuno. Quel qualcuno...
Sentii Tyler avvicinarsi a me e sedersi sul letto, ma non accennai a muovermi per lasciargli posto.
« Ti ha toccato.» dissi.
Lo so che potevo sembrare infantile, ma pensare che quella persona orribile avesse toccato il mio ragazzo mi faceva venire il voltastomaco.
« E sorrideva.» dissi ancora.
« Volevo prenderla a pugni e umiliarla davanti a tutti come lei aveva fatto con me.» continuai emettendo un gridolio.
« Non doveva parlarti in quel modo.» disse a quel punto lui.
« Mi chiamava anche in modi peggiori, ma non me ne importava. Quello che lei pensava di me non aveva alcun significato per la sottoscritta.» dissi.
Lo sentii muoversi e, in pochi secondi, si sedette nuovamente vicino a me, ma quella volta di fianco alle mie spalle.
Cominciò a farmi un lento massaggio per farmi distendere i nervi e, con mia grande sorpresa, funzionò.
« Pensavo che con gli anni fosse cambiata. In fondo da ragazzini si fanno sempre stupidaggini, ma poi si cerca di rimediare. Lei invece no, cinque anni fa era esattamente come l'hai vista tu oggi.» dissi più tranquilla.
Sapevo che stava cercando di capire chi lei potesse essere e perché si comportava così con me.
« Andavamo nella stessa scuola a Miami. Lei era quella popolare, quella da farsi amica e quella a cui nessuno poteva dire niente. Per lei non esistevo e a me non interessava avere la sua attenzione. Le cose mi andavano bene così com'erano.» dissi rispondendo in parte alle sue domande.
« Però, dopo l'incidente, per mia grande sfortuna si accorse di me. All'inizio mi diceva che se avevo bisogno di qualcosa bastava chiamarla e che non dovevo preoccuparmi perché le cose si sarebbero sistemate. Andammo d'accordo per quasi due settimane poi si accorse che stava perdendo popolarità perché in quel momento non era più lei il centro dell'attenzione.» continuai.
« Eri diventata tu.» finì al mio posto Tyler.
« Erano tutti che mi aiutavano, non volevano farmi sentire sola e mi tenevano compagnia per non farmi pensare a ciò che mi era successo. Susan però pensava fosse un tentativo di rubarle la scena e ben presto mi mise contro tutta la scuola. Quelli che credevo miei amici mi lasciarono sola e coloro che fino a quel momento mi avevano aiutata mi etichettavano come una ragazza egoista e che pensa solo a se stessa. Dicevano che li avevo sfruttati e che non ero l'unica che soffriva al mondo. Inoltre preferivano essere considerati da lei invece che oerdere il loro tempo con me. Quindi Susan tornò ad essere il centro dell'attenzione. Quando io venni emarginata lei diventò "l'eroina" perché aveva aperto gli occhi a tutti.» conclusi.
Raccontare quella storia, la mia storia, mi aveva fatto venire i brividi lungo tutta la schiena. Era ripugnante quello che Susan aveva fatto, ma in un certo senso mi aveva aperto gli occhi e avevo capito definitivamente che quella città non mi apparteneva più.
« Per questo ti sei trasferita qui. Non erano solo le persone che non c'erano più, ma anche quelle che ti hanno accusata che ti hanno fatta andare via.» ragionò ad alta voce.
« Quando ti ha accarezzato il braccio non ci ho più visto dalla rabbia. Aveva rovinato la mia vita più di quanto non lo fosse già e non potevo sopportare l'idea delle sue mani su di te.» dissi.
A quel punto mi alzai e mi misi a sedere accanto a Tyler portando le ginocchia al petto. Non ero mai stata capace ad incrociare le gambe e, anche se mi sarebbe piaciuto, ormai avevo rinunciato ad imparare e mi sedevo sempre come in quel momento.
« E questo era l'ultimo pezzo che mancava al puzzle della mia storia.» dissi per alleggerire l'atmosfera.
Gli sorrisi non appena alzò lo sguardo ma, quando non ricambiò, la mia espressione cambiò di nuovo.
« Non doveva parlarti in quel modo.»
« Questo lo hai già detto.» dissi sorridendo.
Non volevo si arrabbiasse per quello che era successo, in fondo lui non aveva colpe.
« Dovrei tornare là e farle rimangiare quello che ha detto. Sarei potuto intervenire, avrei dovuto difenderti invece sono rimasto immobile.» disse alzandosi dal letto e raggiungendo la porta.
Mi affrettai a seguirlo.
« Dove stai andando?» chiesi anche se già conoscevo la risposta.
« Torno subito.»
Lo presi per un polso e si fermò.
« Non andare, lasciala stare. Non ne vale la pena, torna in camera con me. Voglio godermi la serata visto che metà è già stata rovinata e non voglio farlo da sola.» dissi portandolo di nuovo in camera sua.
Lo feci sedere sul letto e mi misi a cavalcioni sopra di lui per impedirgli di andarsene di nuovo.
« Voglio che stai con me, non con lei. Ho bisogno di te adesso.» dissi guardandolo negli occhi.
« Scusa, ho avuto una reazione esagerata.» mi rispose prima di baciarmi.
Mi lasciai trasportare dal bacio, tirai leggermente i suoi capelli e lasciai che le sue mani accarezzassero le mie cosce.
Quando si allontanò da me spostai una mia mano sulla sua guancia e mi stupii delle parole che uscirono dalla mia bocca.
« Non volevi togliermi il vestito?»
Mantenni il suo sguardo anche dopo che mi resi conto di quello che avevo appena detto e sentii le mie guance diventare calde.
La stretta sui miei fianchi divenne più salda e in poco tempo la situazione si ribaltò. Ora ero io sotto di lui.
« Questo non dovevi dirlo.» disse prima di tornare a baciarmi.
Alzò poco il mio busto così che potesse aprire la zip del vestito.
Le spalline scivolarono lungo le mie braccia scoprendo il mio petto.
Tyler continuava a lasciarmi baci umidi lungo il collo e sulle clavicole ed io tenevo le mani nei suoi capelli. Mi sorpresi quando mi lasciò un piccolo morso sul collo appena sotto la mascella e non riuscii a trattenere un gemito che lo invogliò a continuare.
Dopo che lui sfilò completamente il vestito dal mio corpo rimasi in intimo sotto di lui e gli permisi di guardarmi per pochi secondi prima di cominciare a baciarlo di nuovo.
Dovevo agire anch'io perciò cominciai a sbottonare la sua camicia e gliela tolsi lasciandolo così a petto nudo. Mi presi anch'io qualche secondo per guardarlo e percorsi con le mani le linee perfetti dei suoi addominali fino ad arrivare al bottone dei suoi pantaloni.
Sentivo che aspettava che glielo sbottonassi, ma nonostante ciò mi bloccò le mani.
« Sei sicura?» chiese guardandomi dritto negli occhi.
Annuii convinta, volevo farlo.
« Mi fido di te.» dissi dando voce ai miei pensieri.
Vidi qualcosa nei suoi occhi, forse un segno di esitazione, ma fu come se volesse evitare i suoi pensieri e fu di nuovo sulle mie labbra. Gli accarezzai ancora per qualche secondo la parte bassa dell'addome e poi sganciai il bottone dei pantaloni.
Continuò a baciarmi lasciandomi abbassare la zip dei suoi pantaloni.
Non ero mai stata così sicura delle mie azioni.
Quando si alzò da me pensai volesse toglierseli lui, ma presto capii che le sue intenzioni erano ben altre.
Aveva le mani nei capelli e camminava avanti indietro per la stanza. Mi alzai sui gomiti e lo guardai.
« Non possiamo. Cazzo! Cosa sto facendo?» disse senza guardarmi negli occhi.
Era agitato e nervoso, ma per cosa?
« Vestiti, ti accompagno a casa.» disse prima di dirigersi verso il bagno.
Non capivo. Cosa gli era preso? Stava andando tutto bene, era perfetto.
« Tyler?» dissi bussando alla porta del bagno appena fui vestita.
Non volevo andarmene, ma sapevo che se volevo affrontare una conversazione con lui era meglio vestirmi.
La porta si aprì e, senza guardarmi in faccia, Tyler uscì recuperando una sua maglietta dall'armadio.
« Che ti prende?» chiesi.
Lui non mi rispose, si limitò ad uscire dalla stanza e a scendere al piano di sotto.
Mi stavo arrabbiando.
« Vuoi rispondermi?» sbottai.
« Non c'è nulla da dire.» disse freddo e senza guardarmi negli occhi per l'ennesima volta.
« Cazzo Tyler! Stavamo per fare sesso, stavamo per farlo e tu te ne esci con un non possiamo. Stiamo assieme da sei mesi e negli ultimi tre tu sei diventato strano e non ti apri più con me. Cosa sta succedendo?» chiesi ormai con un tono di voce alto.
Aveva lo sguardo basso, non lo avevo mai visto così, ma non mi rispose.
A quel punto mi arresi.
Io gli avevo detto tutto, mi ero completamente esposta con lui, ma lui non voleva dirmi nulla.
« Portami a casa.» sussurrai andando verso la porta.
Il viaggio in auto fu silenzioso. Lui non voleva parlare e io nemmeno.
Quando finalmente fummo davanti al mio palazzo presi un respiro profondo e parlai.
« Cosa succede adesso?»
Era quello che avevo pensato durante tutto il tragitto. Non avevamo mai litigato così. Di solito ero io che mi chiudevo in me stessa, ma poi gli parlavo. Invece sembrava che lui non volesse dirmi niente.
« Ho bisogno di pensare e non voglio metterti in mezzo ai miei casini.» disse con un filo di voce.
Scossi la testa, non volevo che mi lasciasse. Me lo aveva promesso.
« Non vuoi più stare con me?» chiesi.
« Forse una pausa ci farebbe bene. Abbiamo bisogno dei nostri spazi, stiamo troppo insieme ultimamente.» disse.
« È per questo? Ti sto troppo addosso?» chiesi ancora.
« Non ho detto questo.» rispose continuando a guardare dritto davanti a se.
Non ce la facevo più, mancava poco e avrei cominciato a piangere.
« Guardami negli occhi e dimmi che non vuoi più stare con me. Io me ne andrò.»
« Io voglio stare con te, ma ho bisogno di riflettere.» disse.
« Quanto durerà questa pausa?» chiesi.
« Quanto necessario.»
Annuii ed aprii lo sportello dell'auto scendendo.
« Guardami negli occhi.» dissi seria.
Solo allora si girò nella mia direzione e puntò i suoi occhi nei miei. Vidi ancora speranza nel suo sguardo, ma sapevo che lui non la vide nel mio.
« Ti chiamo io.» disse.
Sorrisi amaramente.
« Non lo farai.» risposi prima di chiudere lo sportello della sua macchina.
Mi voltai e camminai verso l'ingresso del palazzo.
Aspettò che io entrassi prima di ripartire e, quando vidi sfrecciare la sua auto lontana da me, capii che ormai era la fine.
Si sa che le pause finiscono sempre con una rottura ed io quel giorno ne fui ancora più convinta.
Corsi velocemente su per le scale e mi chiusi in camera.
Mi buttai sul letto e cominciai a tirare pugni al materasso.
Faceva male, il mio cuore era stato rotto senza una motivazione. Cominciai a piangere senza sosta, ma il dolore non diminuiva.
Piangevo. Non potevo farci niente, le lacrime non volevano smettere di uscire. Erano ore ormai che continuavo così e non avevo la ben che minima idea di fermarmi.
Piangere era l'unica maniera per scaricare le mie frustrazioni e i miei problemi. Lasciavo che le lacrime si riversassero come se a me non servissero e fossero dei pesi.
Odiavo piangere, ma non potevo farci nulla.

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