CAPITOLO 115

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«Ti amo.» Gli occhi di Rubyo tremarono nei miei. «Sulla nave, prima, non ho finito. Non ti amavo, Lyra. Ti amo. L'ho sempre fatto.» Un sospiro tremante gli scivolò fuori dalle labbra. «È questo ciò che stavo cercando di dirti.»

Tutta la sicurezza che lo aveva caratterizzato fino al quel momento, scomparve. Anche la sua statura sembrò farsi più piccola mentre si chiudeva nelle spalle.

Dietro di lui, i due soli accecanti disegnavano un'aura attorno al suo corpo.

«E quando ti ho detto che per me eri solo un dovere... stavo mentendo. Non ti ho mai considerato tale. Ma è la scusa che mi sono raccontato per tutti questi anni. Sono solo una guardia imperiale e, anche se nessuno lo sa, tu sei e rimarrai sempre la Principessa. Come potevo io, anche solo sperare che accadesse qualcosa tra di noi?»

Nonostante fosse in controluce, riuscii a distinguere ugualmente lo sguardo, tenuto basso, di una testa piegata verso il terreno in cui Rubyo sembrava star sprofondando ancora di più.

«Mi sarei accontentato di starti solo affianco, e proteggerti in nome del mio dovere. Ma Gideon ha ragione, sono stato solo un codardo. Da quando è arrivato, nascondere i miei veri sentimenti è stato sempre più difficile. Ho sbagliato tante di quelle volte per colpa del mio stupido orgoglio e quando ti ho vista scivolare lentamente dalle mie braccia e andare nelle sue...» Si zittì un attimo, come per soppesare le sue parole. «...non ho mai voluto uccidere così tanto qualcuno. Ma la verità è che ero invidioso di quel maledetto Kelpie, che era riuscito ad avere quello che io avevo sempre voluto. E l'impotenza mi corrodeva dentro, perché sapevo che non avrei fatto nulla, che non potevo fare nulla. Non ti avrei mai tolto una persona a cui tieni, sapendo quanto ti avrei fatto soffrire. Non avrei mai potuto sopportarlo. Ma poi, quel bastardo...»

Lo sentii ispirare, in un vano tentativo di calmarsi. Stava tremando.

«Quel bastardo ci ha traditi, ti ha tradita. In prigione ho pensato che non avrei mai più rivisto la Lyra che conoscevo. Poi un giorno mi hanno preso e lasciato a morire nell'Isola d'Inverno e a quel punto ero convinto che non ti avrei mai più rivista.»

Finalmente alzò la testa, ma vederlo negli occhi fu come una coltellata dritta al cuore. Riuscivo a percepire tutta la sua sofferenza come se fosse la mia, mentre le lacrime gli solcavano il volto.

Sentii il bisogno di allungarmi verso di lui, asciugargli il volto tra le lacrime e stringerlo forte a me, rassicurarlo... eppure non feci niente di tutto ciò.

Il mio corpo pietrificato.

«E invece sei riapparsa. Non potevo crederci. Ma senza i nostri ricordi io ero un estraneo per te. E in un attimo ero convinto di aver perso tutto. E lo credevo davvero... fino ad adesso. Cercavo di non pensarci, ma ogni volta che sussultavi al mio tocco o ti allontanavi da me era come se una lama ardente mi trafiggesse la carne, perché dovevo fare i conti con la realtà che cercavo di ignorare. Allora ho provato a chiudermi dentro di me, a non lasciar spazio a nessun sentimento, a considerarti davvero come un dovere... ma non ci riuscivo.»

Mentre lo vedevo piangere e mettere a nudo il suo cuore, sentivo di dover dire qualcosa, volevo dire qualcosa, fargli capire quanto valesse per me quel gesto, che anche se non avevo più ricordi non era uno sconosciuto per me, che percepivo un legame tra di noi... ma non riuscii a dir nulla. Nessuna parola mi sembrava adatta, nessun gesto sufficiente.

«Ma ora l'ho capito: non sei tu ad essere cambiata, sono io ad essere diventato più avaro. Ti aspetterò.» Disse infine, gli occhi, ancora lucidi, gli brillavano. «L'ho fatto finora, continuerò a farlo.» Un dolce sorriso gli sollevò lievemente gli angoli delle labbra. «E, se alla fine, non sceglierai me... Rispetterò la tua scelta.»

In quel momento non vidi, nei suoi occhi, alcuna pressione. Non si aspettava, da parte mia, nessuna risposta. Eppure il bisogno di dire qualcosa mi pesava sul petto.

«Rubyo, i-»

Ma proprio quando feci per parlare, vidi il suo corpo allontanarsi improvvisamente dal mio.

Qualcosa lo aveva afferrato e ora lo tirava dalla gamba, trascinandolo.

Colto di sorpresa, i suoi occhi si spalancarono, ma mai tanto velocemente quanto i suoi riflessi, che già lo avevano indotto ad afferrare uno dei pugnali che teneva sul fianco.

Con un movimento secco e deciso accoltellò il terreno, in un tentativo di ancorarsi a qualcosa.

Ma quello sforzo si rivelò vano nel momento in cui la daga iniziò a sollevare zolle gelatinose, lasciando dietro di sé un solco, come un aratro farebbe.

Non feci neppure in tempo a gridare il suo nome, figuriamoci a tentare di liberarmi da quella mucosa, che anch'io venni afferrata e trascinata dal lato opposto a quello di Rubyo, sotto il suo sguardo tanto terrorizzato quanto impotente.

«La spada!» Gridò a squarciagola, mentre le vene gli si gonfiavano sul collo. «Usa la spada di tuo padre!»

Quanto avrei voluto poterlo fare, ma Dollarus l'aveva presa dopo che Rubyo aveva ferito Aerin, senza più restituirmela.

Non feci in tempo a dirlo, che si presentò un problema più grande: la crescente distanza dei nostri corpi, unita alla luce accecante di quella pianura, ci fece presto perdere di vista.

Iniziai a contorcermi ed infilare le unghie nel terreno pur di cercare di guadagnare, seppur di poco, del tempo, ma dentro di me sapevo fin troppo bene quanto quegli affanni fossero inutili. 

Sentivo solo la mia mano sprofondare in quella viscida sostanza e scavare a vuoto. Era come cercare di fare un buco nell'acqua.

O almeno era ciò che credevo, prima che il mio palmo afferrasse qualcosa di duro. Non sapevo di cosa si trattasse, ma era l'unica sporgenza pseudo-rocciosa nascosta da tutta quella gelatina. 

Mentre il rapido flusso del sangue mi stringeva lo stomaco, mi rigirai prona, facendo perno su quell'unico punto fisso che avevo trovato, per poi afferrarlo con entrambe le mani.  

«Rubyo!» Lo chiamai, nella speranza che anche lui avesse avuto la mia stessa fortuna, ma fu il silenzio a rispondermi. «Rub-!» Feci per ritentare, ma in quel momento, con lo stesso rumore che un tappo stappato dalla bottiglia farebbe, mi ritrovai un'enorme pepita d'oro in mano.

Non mi ci volle molto a realizzare che quella era la mia ancora. Ancora che, adesso, non mi assicurava più. 

Iniziai nuovamente a venire trascinata. Mi rigirai supina, ma quando vidi cosa mi aspettava davanti preferii non averlo fatto. 

Come una bocca mostruosa, o un mulinello marino, il terreno gelatinoso si era aperto, rivelando un cratere oscuro.

Urlai.

Sola, impotente e cosciente di ciò che stava per accadermi, urlai. 

Royal Thief IIWhere stories live. Discover now