CAPITOLO 97

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Fuori dall'insenatura nell'albero, il freddo era insopportabile.

Per un momento esitai davanti a quella bufera: forse sarebbe davvero stato il caso di aspettare che Gideon e Aerin si fossero svegliati, loro conoscevano quel posto meglio di me.

Ma infine scossi la testa, come per scacciare, assieme al freddo, quel pensiero, riparandomi meglio nel mantello.

La mia momentanea alleanza con Aerin aveva raggiunto in suo termine nel momento in cui avevamo ritrovato Gideon e, di quest'ultimo, non potevo più fidarmi.

Non c'era motivo per attendere oltre.

Proseguii nella direzione opposta alla quale eravamo arrivati, ritrovandomi nuovamente a camminare in quel bosco di vetro.

Come aveva detto Gideon, la notte non era mai calata e la spessa coltre nebulosa sopra la mia testa lasciava filtrare pochi raggi di sole, spargendo su tutto il bosco una luce tetra.
Era fin troppo fievole da poter essere definita accecante, ma con il tempo mi stava procurando un forte male agli occhi e alla testa.

E fu proprio a causa di uno di questi riflessi fastidiosi, per cui distolsi un attimo lo sguardo dal suolo, che scivolai nuovamente sul pavimento ghiacciato, questa volta urtando la mano ferita.

Niente.

Oltre ad un gelo immobilizzante mi sarei aspettata una fitta dolorosa, ma invece nulla.

Deglutii.
La gola seccata dal vento e dal Gyft.

Mi toccai il braccio con l'altra mano.

Niente.

Era come se quel braccio non mi appartenesse più. Avevo totalmente perso la sensibilitá e la pelle si era colorata di raccapriccianti sfumature cianotiche che prima, sforzandomi di nascondermi sotto al mantello, non avevo avuto modo di notare.
Fortunatamente riuscivo ancora a muovere l'arto, ma capii ben presto che la cosa non sarebbe durata a lungo: le dita mi si erano già intorpidite.

Mi rialzai, riprendendo a camminare senza scoraggiarmi troppo. Si, ora non ero nelle migliori condizioni, ma presto l'astinenza dal Gyft mi avrebbe riscaldato il corpo, facendomi guadagnare del tempo prezioso.

Una grande ombra ed un fischio assordante mi spinsero a guardare sopra la mia testa.
Non seppi dire se rabbrividii per il collo improvvisamente scoperto o se per l'immensa balena che aveva appena cantato sopra la mia testa.

Era impressionante, ma mi scossi di dosso qualsiasi distrazione e, in un vano tentativo di sollevare il cappuccio, ripresi a camminare controvento.
A passi pesanti, procedevo con una lentezza indescrivibile e la cosa mi faceva bollire di rabbia. Non riuscivo ad accettare la mia impotenza davanti a quella bufera tagliente in un momento in cui ogni secondo sarebbe stato vitale.

Dopo non so quanto tempo passato a lottare contro quella tormenta, che però mi parve un'infinità, il paesaggio iniziò a cambiare, il bosco a diradarsi, dando spazio a quella che si sarebbe potuta definire una vallata.

L'Isola d'Inverno, al contrario di quella d'Estate, era totalmente pianeggiante, come se il vento avesse levigato tutto, al di fuori degli alberi.
Nonostante questa consapevolezza però, un luogo così spoglio mi risultò disturbante, soprattutto considerando la vegetazione simile a delle alghe che, indisturbata dal vento, si allungava oltre il cielo nebuloso.

Zigzagai tra quegli spessi fili verdi, sbattendoci contro più e più volte a causa del vento che, in luogo cosi aperto come quello, soffiava ancora più forte.
Ogni volta che il mio corpo colpiva quelle piante, una sostanza gelatinosa mi impregnava i vestiti, rendendomi sempre più difficili i movimenti.

Tutta la mia relativa flemma iniziò a scemare nel momento in cui notai come quella sostanza viscida fosse in realtà un collante: più mi divincolavo, meno riuscivo a venirne a capo.

Il giaccio mi colpì dolorosamente la tempia: ero nuovamente al suolo.

Questa volta però, non ero scivolata, anche se preferii lo avessi fatto.

Una moltitudine di quelle pseudo-alghe si era ripiegata su di me, bloccandomi prima i piedi, poi le gambe, il busto e le braccia, racchiudendomi in un bozzolo soffocante.

Uno scoppio di adrenalina esplose nel mio corpo, facendomi annaspare.

Mi graffiai il fianco, cercando di raggiugere il pugnale con la mano sana, ma quel bozzolo si fece ancora più soffocante, bloccandomi la mano in una posizione innaturale.

Provai allora a gonfiare i muscoli, cercando di aumentare il mio volume per allentare la presa, ma ebbi l'effetto opposto.

La mia mente si svuotò. Nel Regno dell'Altro Sole ero impotente e vulnerabile e qualsiasi riflessione logica non sembrava funzionare.

Senza che potessi far nulla, il mio corpo iniziò a prendere quota.

Tremai. Dovevo far qualcosa prima che fossi troppo in alto, prima che fosse troppo tardi.

Tentai nuovamente di prendere il pugnale, ma un grido muto bloccò il respiro. Quella morsa mortale si era rafforzata a tal punto da incrinarmi una costola. Mi immobilizzai, troppo sofferente anche solo per respirare.

Le alghe ora mi stringevano il collo e dopo pochi secondi mi coprirono la bocca.
Il resto del corpo, invece, aveva preso a formicolare e la testa a diventare pesante, mentre gli occhi non riuscivano più a mettere a fuoco il ghiaccio sotto di me.

Faceva freddo, incredibilmente freddo. Volevo tremare, battere i denti, ma non ci riuscivo; il bozzolo era troppo stretto.

Sentii la testa abbandonarsi alla forza di gravità poi il buio.

Rubyo...

Spalancai gli occhi. Non potevo morire così. Ero venuta qui per lui, per cercare Rubyo. Sapevo che stava ancora aspettando che lo salvassi e non lo avrei deluso.

«Lyra!» La voce di Gideon echeggiò nel silenzio.

Sentii un paio di passi rapidi ma pesanti battere sul ghiaccio, poi un'altra voce.

«Fermo!» Era Aerin.

Mi sforzai di mettere a fuoco la scena, nonostante le immagini mi risultassero capovolte per la mia posizione.

«Sai cosa sono quelli? Ti farai uccidere!»

«So perfettamente cosa sono, ed è proprio per questo che devo andare!»

«Ci tieni così tanto a morire?» Aerin si appendeva al braccio del figlio con tutta la sua forza.

Sembrava così esile in confronto a Gideon, eppure questo faticava a liberarsi.

«Non lo capisci? Io sono già morto!»

A quella frase Aerin allentò la presa abbastanza da far si che Gideon potesse sfuggirne.

«Con quella pugnalata, io sono morto!»

Non lo avevo mai visto gridare in un modo simile e mai me lo sarei aspettato nei confronti di sua madre, per cui aveva macchiato la sua intera vita.

Capii perfettamente che la pugnalata a cui si stava riferendo fosse la mia, quella a palazzo, dopo aver scoperto il suo tradimento... per un momento mi sentii quasi in colpa.

Ma prima che potessi elaborare i miei sentimenti contrastanti, un'improvvisa sensazione di vuoto mi colpì lo stomaco.

Stavo cadendo.

Era stato così improvviso ed inaspettato che lo realizzai solo dopo abbondanti secondi.

Non osai guardare in basso e l'ultima cosa che i miei occhi videro prima di chiudersi fu lo svolazzare del mio mantello.

«Torna qui! Gideon!»

Ma io sapevo che non ce l'avrebbe mai fatta ad arrivare in tempo, era troppo lontano.

Irrigidii i muscoli e mi preparai all'impatto.

Royal Thief IIWhere stories live. Discover now