Capitolo 5

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Stephanie





Due colpi alla porta e un «buongiorno», ecco qual è la mia sveglia.
Il volto di Jordan fa capolinea oltre il legno bianco, i suoi occhi mi scrutano nervosi, in attesa della mia prossima mossa.
Sbuffo. «Dai, entra.»
Lui non se lo fa ripetere due volte e mi raggiunge sul lettone, sedendosi al mio fianco da sopra le coperte.
«Sei arrabbiata con me?» mi chiede, pizzicando il mio naso tra pollice e indice.
Un gesto che odio, perché capace di attivare un tremendo prurito che sembra non voler più andare via.
«A che ora sei rientrato?» domando, osservando i suoi vestiti, ancora identici alla sera precedente.
«Uhm, da non molto» risponde vago.
Incrocio le braccia al petto e lo scruto attentamente. «Jordan...»
Lui, però, mi interrompe ancor prima che possa cominciare il mio infinito monologo su quanto sia irresponsabile.
«Lo so, non mi ridurrò in quel modo di nuovo, puoi stare tranquilla. Voglio solo divertirmi, niente di eccessivo, okay?»
Sospiro. «E dovrei fidarmi?»
«Sì, dovresti» dice sicuro di sé, mostrandomi un sorriso dolce.
Mi arrendo, per ora, e mi lascio cullare dalle sue braccia. Lo faccio per lui, perché non posso forzare troppo la mano senza aspettarmi che mi chiuda fuori dalla sua vita. Lo ha già fatto in passato.
«Preparo la colazione e poi andiamo a fare un giro, ti aspetto sotto» stabilisce dopo qualche minuto e, senza concedermi possibilità di replica, esce dalla mia camera.
Consapevole di non avere altra scelta, dopo una rapida doccia, inizio a frugare dentro il mio armadio alla ricerca di qualcosa da mettere. Alla fine opto per un paio di leggins e una maglia oversize.
Quando raggiungo la cucina, il profumino dolce dei pancake inonda le mie narici, estasiandole. Eppure non posso permettermi di ingerire tutte queste chilocalorie, già di primo mattino. Ma, dato che non ho voglia di subirmi gli infiniti discorsi su quanto io sia disturbata, addento giusto qualche boccone.
Un'ora dopo ci ritroviamo a passeggiare per il centro commerciale. Jordan mi trascina qua e là per negozi, provando decine di completi e acquistandone altrettanti, con la carta di credito di nostro padre.
«Te l'ha data lui?» indago, stringendo gli occhi in due fessure.
«Sì.»
«Dov'è il bluff?»
Rotea il capo. «Non ti sfugge proprio nulla, eh? Okay, gli ho detto che serviva a te.»
Inchiodo le mie scarpe al suolo e incollo le mie mani ai fianchi in modo teatrale. «Non mettermi in mezzo, Jor.»
«Non essere melodrammatica, la restituisco appena finisco con le compere» dice.
«Promettimelo.»
«Te lo prometto, va bene? Ora andiamo!»

Quando rientriamo in casa, nel pomeriggio, allungo una mano verso mio fratello. Lui sembra non capire, ma la lampadina dentro la sua testa non ci impiega molto tempo prima di accendersi. Perciò infila una mano nella tasca posteriore dei suoi jeans e mi consegna la carta di credito.
«Rompipalle» borbotta, poi fila in camera sua senza aggiungere altro.
Io raggiungo mio padre in cucina, impegnato in una conversazione al telefono, attendo che riattacchi prima di restituirgli ciò che gli appartiene.
«Com'è andata a scuola?» mi domanda, dopo aver riposato la carta dorata nel suo portafoglio.
«Normale» rispondo. «Tu con chi parlavi?»
«Con Lukas, a quanto pare il nostro manager ha intenzione di farci ripartire prima del previsto» m'informa.
Annuisco. «Starai via molto?»
«Tre settimane al massimo, giusto il tempo di qualche concerto nell'Oregon, visto non è stato inserito nella scorsa tournée.»
«Capisco» rispondo distrattamente, poi mi metto ai fornelli e lo aiuto nella preparazione della cena, in silenzio tombale.
Proprio quando sto per chiamare Jordan, per invitarlo a sedersi a tavola, mi precede spuntando dal corridoio all'improvviso, facendomi quasi morire d'infarto.
Con ancora una mano ben salda sul mio petto, lo osservo da capo a piedi. Indossa un completo total black. «Stai uscendo?»
Annuisce e mi supera, senza degnarmi di alcuna spiegazione. Ma la voce di mio padre lo inchioda sul porticato.
«Porta Stephanie con te» asserisce severo.
Sbarro gli occhi e quasi mi strozzo con la stessa saliva. «Come? No, ma io... io vorrei mettermi in pari con i compiti e...»
«Non si discute» aggiunge mio padre, riaffermando il concetto.
Jordan stringe le mani in pugni e gli lancia uno sguardo ricco di astio. «Sei abbastanza ricco da assumere una babysitter, non serve che ingaggi mia sorella per questo patetico ruolo.»
Un clacson attira la mia attenzione. Una Jeep lo attende alla fine del vialetto e, quando la voce di uno di quei cavernicoli arriva alle mie orecchie, mi rendo conto che mio padre ha ragione. Che devo seguirlo, che non è un bene lasciarlo andare senza supervisione.
«D'accordo» stabilisco, incamminandomi.
«Come? No! Non puoi venire con me» ribatte Jordan a denti stretti, afferrandomi per un polso.
«Invece sì, l'hai sentito» replico.
I suoi occhi bruciano i miei. «Torna dentro.»
Ma io non gli permetto di darmi ordini, così saluto mio padre con un cenno della mano per invitarlo a rientrare, poi mi libero dalla presa di mio fratello e mi incammino verso l'auto.
Quando apro la portiera e salto su, tre paia di occhi mi osservano in modo insistente. Appartengono proprio a coloro che dovrei tenere alla distanza minima di sicurezza di almeno dieci metri.
«È un cazzo di scherzo?» esplode proprio Carter, colui che più degli altri mi disgusta.
«Non possiamo portarci dietro una ragazzina» aggiunge Danny, passandosi una mano tra i ciuffi biondi.
Jordan chiude gli occhi per un istante e prende un respiro profondo prima di parlare. «Non ho altra scelta.»
«Ehi! È tardi, vorrei ricordarvi... se non importa a lui di mettere la sua cara sorellina in pericolo, perché cazzo frega a voi? Parti e basta!» esclama Kevin, il rossiccio, con la solita canna tra le dita.
Carter e Danny si scambiano una lunga occhiata. Io, invece, al suono di quelle parole mi pietrifico sul sedile. Una sensazione strana cresce dentro di me, qualcosa che non promette niente di buono.
In pericolo? Perché?
«Dove stiamo andando?» domando durante il tragitto buio e tortuoso, verso la periferia della città, con il cuore che minaccia di esplodere fuori dal petto.
Nessuno si degna di rispondermi, nemmeno mio fratello, nonostante il mio sguardo supplichevole.
Quando la Jeep si ferma, attorno c'è solo erba alta e oscurità. Neanche il cielo sembra essere dalla mia parte, dato che le nubi non permettono alla luna di illuminarci.
I ragazzi scendono dall'auto.
Soltanto a quel punto Jordan decide di rivolgermi la parola. «Resta qui e non scendere per nessuna ragione al mondo.»
Gli lancio un'occhiata torva, ma non attende risposta e scompare oltre gli alberi.
Io cerco di ingoiare il groppo che sento in gola, ma non ci riesco. Qualcosa mi dice che ovviamente mio fratello si sta cacciando in altri guai.
Perciò prendo coraggio e, nonostante la paura matta del buio, accendo la torcia del mio cellulare e proseguo nella direzione in cui li ho visti sparire.
Passi lenti e respiro pesante per cinque minuti buoni, poi sento delle voci. Mi nascosto dietro un tronco e tendo le orecchie il più possibile.
«Questi sono spiccioli per Shein. Non ti conviene farlo incazzare, lo sai bene, Baysen.»
«Ci vuole pazienza, i soldi non crescono sugli alberi» risponde il diretto interessato.
«Pazienza?» prosegue una risata che fa accapponare la pelle. «L'ha finita con te e sinceramente anche io, questo è l'ultimo avvertimento.»
Mi sporgo per riuscire a vedere l'uomo in questione: ha la testa rasata ed è molto robusto, non riesco a scorgere altri dettagli.
La figura di Kevin attira la mia attenzione, muove la mano dietro la sua schiena lentamente, proprio all'interno dei suoi jeans e tira fuori qualcosa.
Danny cerca di fermarlo, io non capisco di cosa si tratti perché sono troppo lontana. Ma il rumore prorompente che arriva ai miei timpani l'attimo successivo svela ogni cosa.
Uno sparo.
Ogni muscolo del mio corpo si gela.

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