Capitolo 23

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Danny





Siamo in piscina, con la sola compagnia di un bagnino adulto, che è stato agganciato dal padre di Keira per tenerci d'occhio e assicurarsi che tutto fili liscio e nessuno si faccia male.
I riscaldamenti sono elevati, permettendoci di sfilare in costume, senza sentire freddo. La sala è illuminata dalle vetrate, che sostituiscono il soffitto, lasciando penetrare i raggi solari.
E io, comodamente steso sulla seconda fila delle sdraio, non posso fare a meno di lanciare occhiate interrogative al mio migliore amico, mentre sorseggio una limonata fresca.
È di cattivo umore, non ci vuole un genio per capirlo, anche più del solito. Ma lui non sembra avere intenzione di parlare, la sua bocca è cucita da questa mattina e dalle sue occhiaie deduco non abbia dormito bene.
La cosa che meno passa inosservata ai miei occhi, è la sua attenzione continuamente concentrata sulla piccola Dickens. La studia in ogni suo movimento, anche adesso, che ride allegramente, mentre ondeggia i fianchi a ritmo di musica, sul bordo piscina. Nessuno se ne accorge, grazie alle ombrose occhiate furtive, ma io lo conosco meglio di chiunque.
E non riesco a darmi pace, perché so che nella sua testa sta frullando qualcosa che, con ogni probabilità, ci metterà tutti nei guai.
Keira si stacca dalla sua amica attuale del cuore, avvicinandosi rapida verso di noi, sculettando animatamente. «Tra venti minuti, nella sala conferenze, verrà allestito un buffet per il pranzo» ci annuncia
Kevin alza il pollice all'insù, in segno di comprensione. Poi lei punta il suo sguardo su Carter, posizionando in modo teatrale le mani sui fianchi esposti.
«Sembri uno zombie, scappato via da una puntata di The Walking Dead» esclama.
Carter la guarda annoiato e le mostra il dito medio, invitandola a lasciarlo in pace. Keira accoglie il segnale e, ridacchiando, se ne torna al suo divertimento, tuffandosi in acqua.
Questa ragazza sa molte cose su Carter, si vogliono bene in un modo un po' stravagante, ma si preoccupano l'uno per l'altra. E aver scopato non c'entra. È andata a letto anche con Kevin, come con un sacco di altre persone, ma poi è finita lì.
Invece il loro rapporto è mutato in qualcosa di più speciale, hanno intrapreso il ruolo di confidenti. Ma Carter è questo quello che fa, si infila dentro le persone con prepotenza, e non riesce a lasciare il posto nel loro cuore.
Credo si tratti del suo continuo bisogno d'amore, che forse supera un po' i limiti, ma non lo biasimo. Cerca di far sentire tutti adeguati, di prendersi cura del prossimo, anche se utilizza un modo malato. L'unico che conosce e che gli è stato insegnato.
«Allora» inizia Kevin, tentando di fare conversazione. «Marisa mi ha detto che hai dato il ben servito a Vanessa, questa notte.»
Naturalmente si rivolge a Carter, che si limita a stringere le spalle. «Niente di nuovo.»
«Niente di nuovo? Ti rendi conto che è la più figa della scuola, e tu te ne stai qui, invece di scopartela fino all'infinito?» ribatte Jordan.
Carter ride. «Dopo un po' lo stesso gusto di gelato ti annoia, no? Fattela tu, se ci tieni tanto.»
Jordan solleva le sopracciglia e punta gli occhi da predatore sulla diretta interessata, nel momento in cui si abbassa in modo provocante, mostrando il culo coperto da un misero perizoma, per recuperare la crema abbronzante dalla borsa.
«Potrei farci un pensierino.»
Alzo gli occhi. «Mi sa così tanto di mercatino dell'usato...»
Jordan mi lancia un'asciugamano addosso e continua a ridere. «Tutte, qui, sono già state usate da qualcun altro. Che mi consigli di fare, eh, idiota?»
Tranne una.
Che sia forse questo il motivo che spinge Carter a provare interesse per la piccola Dickens? Che la veda come un nuovo premio da aggiungere alla collezione? Non riesco a decifrarlo. Ma non credo nemmeno che sarebbe tanto sleale nei confronti di un suo amico.

Il mio cellulare vibra, costringendomi ad agganciare il piatto di porcellana ancora vuoto sotto un braccio, per afferrarlo. Guardo il display. È mia madre, perciò mi allontano dal buffet e dai tavoli allestiti con gran classe, già circondati da ragazzi affamati, per rispondere.
Non mi telefona mai, non per chiamate di cortesia o per assicurarsi che il suo amato figlio unico stia bene, perlomeno. Perché non le importa, proprio come non importa a mio padre.
Quando mi accerto di essere da solo, rispondo, premendo il dito contro l'icona verde.
«Danniel» il suono del mio nome di battesimo per esteso, che soltanto lei utilizza ancora, mi fa già scattare i nervi.
Cerco di mantenere la calma. «Mamma.»
«Ti stai divertendo?» mi domanda, con costruito tono rincuorante.
«Devi dirmi qualcosa, no?» vado dritto al dunque, senza troppi finti convenevoli.
Inutile fingere una sana conversazione tra madre e figlio, perché so che non è questo a cui punta. L'unica cosa a cui da credito sono i soldi di mio padre, il country club di cui è socia e i vantaggi di far parte dell'alta società.
«Domani ti vorrei a casa, per pranzo, dobbiamo discutere di una faccenda importante» dice, mostrandosi per quel che è, una donna fredda.
«Il ritorno è previsto per le dieci, non credo di poterti accontentare» ribatto aspro.
Il suono della sua risata risuona attraverso l'altoparlante, facendomi quasi venir voglia di lanciare il cellulare contro il muro.
«Vorrà dire che partirai prima, non te lo sto chiedendo, Danniel» e senza attendere replica, interrompe il collegamento.
Digrigno i denti come un animale rabbioso, poi afferro i miei capelli tra le mani, strattonandoli. Non so cosa voglia, ma non prevedo nessuna buona notizia in proposito. Non riunisce mai la famiglia, se non in pubblico, per apparire la famiglia perfetta che non siamo mai stati. Quindi sì, so che è qualcosa di urgente.
«Ma dov'eri finito?» mi domanda Carter, spuntando all'improvviso, oltre l'angolo del corridoio. «Non è quasi più rimasto un...» poi si blocca e mi scruta. Deve aver notato la mia espressione, perché mi chiede: «Che cazzo è successo?»
Prendo un respiro profondo. «Mia madre, vuole che torni a casa entro domani mattina.»
Aggrotta la fronte. «E per quale dannato motivo?»
«Non lo so.»
«Hai intenzione di darle retta?»
«Non lo so, maledizione» sbuffo.
Carter annuisce. «Posso venire con te.»
Non ne rimango affatto sorpreso, ma non gli rovinerò il weekend di relax con il mio egoismo, per una volta che decide di staccare la spina da suo padre e da tutta quell'altra merda.
«No, devo farlo da solo. Ti aggiorno, intanto parto domattina presto» dichiaro.
Lui, per tutta risposta, mi stringe in un abbraccio fraterno, che è l'unica cosa di cui sento di aver bisogno. Può sembrare strano, il sangue non si può scegliere, ma la famiglia sì. E lui è proprio questo per me.
Decidiamo di tornare dal resto del gruppo ma, mentre colpisce la mia spalla con una pacca, non mi lascio scappare l'opportunità e sferro la mia domanda, ora che siamo da soli.
«Che stai tramando, con Stephanie Dickens?»
Le sue braccia si irrigidiscono, così come il suo mento, stretto in una morsa. «Un bel niente, che cazzo ti viene in mente?»
Alzo le sopracciglia. «Ti ho beccato, di nuovo
«Non stressarmi, andiamo a mangiare, prima che questi morti di fame ripuliscano tutto quanto» taglia così l'argomento, come farebbe qualsiasi persona con la coda di paglia.
Scoppio a ridere. «Ne riparleremo!»

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